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«I nostri Atenei non sono così malati», di Luciano Modica*

Accetto la sfida che Vincenzo Cerami ha lanciato nel suo veemente attacco all’università italiana pubblicato sull’Unità del 19 dicembre. Sì, oso negare risolutamente che le nostre università e i nostri docenti siano “l’ultima ruota del carro in Europa”. Oso oppormi con i fatti – e, perché no, con un orgoglio che, caro Cerami, non ha nulla di patetico – a quest’attacco mediatico generalizzato che da qualche mese i più accreditati opinionisti conducono su tutti i quotidiani in appoggio all’azione riformatrice del Ministro Gelmini, di cui per ora conosciamo solo i pesanti tagli finanziari e le ennesime norme tampone.
Verifichiamo insieme “la validità delle migliaia di saggi cosiddetti scientifici editi ogni anno”, come Cerami propone. Ma facciamolo non sulla base di chiacchiere pettegole o di esperienze personali, per loro natura limitate, ma di studi internazionali sulla qualità della ricerca. Uno dei più autorevoli esperti mondiali, il consigliere per la ricerca di Blair Sir David A. King, pubblicò nel 2004 su “Nature” uno saggio sull’impatto scientifico delle diverse nazioni. Cerami non ci crederà ma se ha un attimo di tempo può controllare che nella classifica di King l’Italia risulta quarta tra i Paesi dell’Unione Europea e settima nel mondo. Se poi si considera che l’Italia è diciottesima sui diciotto Paesi OCSE dell’Unione Europea sia per quote di PIL e di spesa pubblica nazionale destinata all’università sia per quota di PIL destinata alla ricerca, e inoltre che per ogni mille lavoratori ha meno della metà dei ricercatori della media europea, il risultato appare ancora più lusinghiero. Si badi bene: è un giudizio che si basa sulla qualità e non sulla quantità delle pubblicazioni.
Allora va tutto bene nell’università? Certamente no. Il governo ombra del PD, forse mentre Cerami era distratto, ha varato il 28 ottobre un documento programmatico sul futuro dell’università contenente dieci proposte concrete di riforma per ovviare ai tanti mali che pure sono evidenti. Il senso è chiaro: un patto tra società e università che veda insieme sia maggiori investimenti finanziari (e innanzitutto la cancellazione dei tagli) sia profonde riforme strutturali in direzione della responsabilità, del premio al merito, dell’internazionalità e dell’equità sociale, per innalzare il livello del sistema e per far fiorire pienamente le tante eccellenze. Un decalogo a cui il Ministro Gelmini ha risposto il 10 novembre con linee guida che presentano non pochi spunti interessanti su cui si può avviare un confronto costruttivo.
Tengo a precisare che la qualità della didattica, oltre che della ricerca, sta a cuore a me quanto a Cerami. Sta a cuore anche al PD, come si può leggere nel decalogo, purché si comprenda e, spero, si condivida che il presupposto essenziale alla qualità dell’insegnamento universitario è la qualità della ricerca condotta dal docente. Questa affermazione sottende il senso stesso di Università in Europa, in particolare nel nostro Paese che ne è stata culla più di mille anni fa e che ancora oggi possiede uno dei più prestigiosi sistemi universitari del mondo.
Un’ultima nota politica. Certamente Cerami è libero di avere e dire le sue opinioni perché è “un cittadino che di mestiere fa lo scrittore”. E’ giusto e persino utile che ci spieghi perché “l’Università, così com’è, non gli piace”. Però in questo momento è anche ministro ombra del PD per i beni culturali e mi auguro senta tutta la responsabilità affidatagli di dirigere la politica del partito in questo ambito che fa parte della grande area strategica della cultura cui anche istruzione, università e ricerca afferiscono. Utilizzando il titolo di un intervento appassionato di un altro scrittore, Carlo Lucarelli, comparso sullo stesso numero dell’Unità, anch’io “voglio un partito credibile”, anzi di più: sento forte la responsabilità di rendere credibile il PD. Il sapere, un tema così delicato per la società della conoscenza di cui l’Italia fa parte e vuole continuare a fare parte, è una delle priorità politiche del PD. Lavoriamo tutti insieme ma non un elettore venga deluso, per favore.
*Responsabile Nazionale Università del PD
da Europa, 2 gennaio 2009

Ecco l’articolo di Vincenzo Cerami apparso sull’Unità
«Così i baroni affondano l’Università»
Ho osato dichiarare che la maggior parte delle pubblicazioni degli accademici sono strumentali, redatte ai fini dei concorsi e delle conferme. Ho osato ricordare che nelle nostre università la didattica non ha valore per la carriera di un docente. C’è stata la rivolta dei baroni. Ma nessuno di loro spiega per quale motivo il nostro mondo accademico sia agli ultimi posti in Europa. I nostri studenti sono piazzati in una classifica che li umilia. Colpa loro? No certamente. Colpa dei loro professori e delle guerre che si consumano nei dipartimenti e nei rettorati. I suddetti baroni glissano sul fatto che gli studenti pagano la retta non per far fare carriera ai docenti, ma per essere istruiti.
Sono pronto a incontrarmi con chiunque, testi alla mano, per verificare insieme la validità delle migliaia di saggi cosiddetti scientifici editi ogni anno. In Italia le pubblicazioni vengono giudicate più per quantità che per qualità. L’Università sta molto male, lo dicono i numeri, eppure lor signori si ostinano a difendere lo stato delle cose. È ovvio che non ci mancano né le eccellenze né professori coscienziosi. Ma non basta. Come si fa a difendere, con tanto patetico orgoglio, la situazione in cui si trova l’Università italiana? Siamo l’ultima ruota del carro in Europa e i baroni s’arrabbiano se dico che va cambiata la logica delle carriere.
Bisogna progettare una riforma che coniughi ricerca e didattica.
Trovo assurdo che non venga premiato l’insegnante che ha a cuore il destino dei suoi allievi. Sono convinto che vada scoraggiata la vocazione parassitaria degli accademici aristocratici.
Lor signori non mi convinceranno mai, essi sanno benissimo come stanno le cose, ma difendono corporativamente una rendita di posizione. Con ricattatorio atteggiamento mi ricordano che sono un ministro ombra del Pd e minacciano di orientare diversamente il loro voto. Per quanto mi riguarda tengo a precisare che queste mie convinzioni le ho espresse già prima di entrare in politica. Le mie dichiarazioni vengono da lontano e il partito non c’entra. Non mi occupo ufficialmente né di scuola, né di Università. Parlo a nome personale, occupandomi nel PD di Cultura, cioè del modo di essere e di crescere degli italiani, da quando vanno all’asilo a quando fanno testamento.
L’Università, così com’è, non mi piace. Non mi piace fino al punto che non mi taglio le vene se da domani i baroni, visto ciò che penso io, cittadino che per mestiere fa lo scrittore, decidono di votare per Berlusconi e la Gelmini. Votino pure per loro, io non rinuncio a dire la mia opinione. E sfido chiunque a negare che la nostra Università non funziona. Che almeno ognuno si prenda onestamente le proprie responsabilità.
19 dicembre 2008

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