Ricucire lo strappo nelle relazioni industriali dopo Mirafiori. Anche Confindustria spinge in questa direzione, «noi siamo molto interessati ad un’intesa sulla rappresentanza», dice la presidente Emma Marcegaglia, «ma prima si devono mettere d’accordo Cgil, Cisl e Uil». Vista oggi, sembra ci sia più sintonia tra Marcegaglia e Pierluigi Bersani piuttosto che tra i confederali. Il segretario del Pd accelera: «Entro un anno, prima che parta tutto il meccanismo a Mirafiori, bisogna avere un modello di rappresentanza sindacale, di diritti, di esigibilità dei contratti, che metta in situazione di certezza il sistema, non questa o quell’altra azienda. È ora che le forze sociali e politiche si prendano le loro responsabilità». Primo vis-à-vis dopo il referendum di Torino – mentre Marchionne già pensa di applicare lo stesso accordo anche a Melfi e Cassino, e il governo agonizza sempre più per lo scandalo Ruby e le altre ragazze del mucchio – tra la leader degli industriali, la segretaria Cgil Susanna Camusso e il segretario Bersani. L’occasione è la presentazione, a Milano, del libro Il futuro è di tutti, ma è uno solo di Valeria Fedeli, per anni segretaria dei tessili Cgil, ovvero uno dei settori che più ha subìto, ma ha meglio affrontato, le sfide di un’economia in rapida trasformazione. La mitica globalizzazione. «Eppure, nessuna azienda si è mai comportata come la Fiat – dice Fedeli – I punti cardine sono sempre stati innovazione, diritti del lavoro, e nessuna deroga al contratto nazionale». Ma Marchionne, si sa, è un outsider, fuori anche da Confindustria (anche se Marcegaglia sottolinea: «lunedì ci sarà un incontro Federmeccanica-sindacati per definire il contratto dell’auto », e «non appena ci sarà, c’è la volontà di rientrare attraverso le due newco di Mirafiori e Pomigliano») e, come ribadito ancora ieri, andrà avanti per la sua strada. Una posizione «molto difensiva» la sua, la definisce Camusso: «Come al solito non racconta il piano di Fabbrica Italia, e disegna un modello che scarica i costi solo sui lavoratori». «Il cuore del discorso – continua la leader Cgil – mi pare che sia quello di Paesi che fanno una politica industriale e attraggono investimenti e una dichiarazione della Fiat che, invece, dice che in questo Paese non c’è politica industriale».
IL FILOSOFO E IL RAGIONIERE E questo è un altro punto sul quale Bersani e Marcegaglia sembrano pensarla in modo non dissimile: «Le vicende di questi giorni allontaneranno ancora di più il Paese dai suoi reali problemi», dice la presidente degli industriali. «Questo governo – riprende il segretario Pd – ha un disinteresse micidiale per l’economia reale, è tutto in mano a Tremonti che un po’ fa il filosofo, un po’ il ragioniere, ma non si occupa mai dei problemi come farebbe un idraulico». E i problemi, l’ha riconfermato ancora ieri Bankitalia, sono assai. «Non è che li può risolvere solo chi sta alla catena di montaggio, e non possiamo nemmeno diventare cinesi – dice Bersani – Lo sforzo bisogna distribuirlo, e chi ha di più deve dare di più. Il problema del made in Italy riguarda qualità, produttività, tempi, c’è bisogno di conoscenza, di ridurre lo stress e la pressione sull’organizzazione del lavoro. Di meccanismi che consentano la stabilizzazione dei lavoratori ». Perchè questo è un altro tema sull’importanza del quale si trovano d’accordo tutti: la precarietà, in Italia vera conseguenza della flessibilità, «il fatto che le giovani generazioni si sentono abbandonate dal Paese», dice Camusso. Marcegaglia invita la Cgil a riprendere la discussione al Tavolo per la crescita e l’occupazione, per chiudere un accordo raggiunto su tutti i punti, tranne quello della produttività. E Camusso, parlando di relazioni industriali, indica come parole chiave reciprocità e democrazia. «È essenziale un sistema di regole – spiega – Una stagione così difficile ha bisogno di maggiore rappresentanza e democrazia che in passato». Una nota anche sulla Fiom, che «può aver fatto errori,ma ha il grande merito di pensare ai lavoratori e alle loro condizioni», dice Camusso.Eche nonsi può identificare come il problema della Cgil. Del resto, chiude, «io non mi permetterei mai di dire a Confindustria che il loro problema si chiama Marchionne».
Laura Matteucci