«Scusate, ma qual è la proposta alternativa? ». Bersani butta lì la frase dopootto ore di discussione a porte chiuse, dopo che ha aperto i lavori della Direzione insistendo sul «progetto per la riscossa del paese» che il Pd «vuole discutere» con le forze di sinistra e di centro, dopo essere venuto a sapere che la minoranza di Movimento democratico vuole votare contro la sua relazione, dopo aver ascoltato Fioroni minacciare le dimissioni sue e di Gentiloni (che nulla sapeva della mossa del compagno) dagli incarichi di partito perché il franceschiniano Bressa ha sollevato il problema di come si possa mantenere un incarico «in un partito di cui non condividono la linea », e dopo aver continuato a scorrere sul suo Ipad (regalatogli a Natale dai suoi collaboratori) i siti web che per tutto il pomeriggio hanno parlato di un Pd spaccato.
OTTO LUNGHE ORE
Bersani per tutto il tempo ascolta gli interventi dei compagni di partito, quelli a sostegno della sua linea e quei «casi isolati», per dirla con D’Alema, che la contestano, osserva Veltroni andar via a metà pomeriggio senza prendere la parola (così come prima di lui Chiamparino e Renzi), registra la distanza tra la discussione sulle colpe del governo, sui problemi del paese, sulla Fiat che si fa nel salone al terzo piano del Nazareno e l’immagine del partito che esce all’esterno.
Così nella replica finale Bersani un po’ fa delle aperture alle proposte dell’area Marino (verrà costituito un gruppo di lavoro per definire la linea del partito sulla legge per il biotestamento che si vota a febbraio e verrà organizzato un seminario sulle primarie a cui saranno invitati anche con consiglieri politici di Obamae della Clinton), un po’ disinnesca la polemica su dissenso e incarichi dei due Modem («erano in minoranza già prima, sono il segretario enon ho maiposto il problema, vedano loro»), un po’ rilancia la proposta «tutt’altro che politicista» di lavorare al progetto «per una riforma repubblicana e un patto per la crescita e il lavoro» da discutere con le altre forze dell’opposizione. Ma aggiungendo: «Non capisco quale sia la proposta alternativa alla mia, visto che per meil Pd deve stare al centro del campo delle opposizioni e nella sua autonomia lavorare a un progetto da discutere poi con gli altri. Vogliamo chiamare questo vocazione maggioritaria? Facciamolo, io non lo faccio perché non voglio un Pd da solo alle elezioni, anche se siamo gli unici in grado di tenere unito il paese».
Parole forse anche più dure di quelle pronunciate in mattinata e che avevano irritato gli esponenti di Movimentodemocratico (aveva chiesto un voto alla sua relazione per fare «chiarezza» e aveva lanciato un«richiamo » per «uno stile di discussione composto e solidale»). Ma una rapida consultazione tra quelli della minoranza rimasti al quartier generale del Pd e Veltroni è stato sufficiente per far cambiare linea: niente voto contrario, non si partecipa e basta. Così la linea di Bersani passa con 127 sì, due astenuti (gli ulivisti Zampa e Santagata, chetemono una messa in discussione delle primarie anche se Bersani ha detto che quelle in programma per le amministrative si faranno e che in generale è necessaria una «revisione» per non logorare lo strumento) e due voti contrari (le calabresi Corea e Frascà, che contestano il commissariamento del partito regionale). Dopodiché le versioni divergono.
Lasciando il Nazareno i veltroniani spiegano il cambio di linea col fatto che hanno apprezzato, della replica finale, il cambio di tono e la ripresa di alcuni passaggi di Ichino sulla Fiat. I bersaniani spiegano che sulla Fiat il segretario non ha detto niente di diverso da quanto sostenuto aprendo i lavori (rispettare l’esito del referendum, attenzione agli investimenti) e che gli esponenti di Movimento democratico hanno solo puntato a tenere alta l’attenzione su di loro in vista del “Lingotto 2” (il 22 a Torino) ma hanno temuto di andare alla conta.Comeche sia, quella siglata ieri rischia di essere solo una tregua. Bersani si dice soddisfatto, ma nona caso saluta i compagni di partito citando Papa Giovanni XXIII: «Quando tornate a casa… – si ferma e sorride rendendosi conto dell’incipit della “carezza ai vostri figli” – pensiamo a come il Pd può tirare fuori dai problemi il paese, sapendo che non si può vivere senza una visione e affetto. La visione del mondo posso aiutare a metterla, l’affettonon so come inventarlo, se non c’è non c’è».
L’Unità 14.01.11
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“Bersani incassa il via libera, i popolari litigano tra loro”, di Rudy Francesco Calvo
I veltroniani non votano la relazione. AreaDem attacca sugli incarichi
Alla fine, la conta non c’è stata. La direzione del Partito democratico si è conclusa con una approvazione quasi unanime della relazione e delle conclusioni del segretario (127 favorevoli, due astenuti, i prodiani Zampa e Santagata, e due contrari, Caterina Corea e Liliana Frascà, tra gli autori di un documento a sostegno delle primarie in Calabria), grazie al fatto che l’ex terza di mozione di Ignazio Marino si è espressa per il sì e la minoranza di Movimento democratico non ha partecipato al voto (Veltroni non è nemmeno intervenuto). «Nella sua replica, Bersani ha fatto passi avanti – ha spiegato questa decisione Marco Minniti – su questioni importanti come la Fiat, la centralità del Pd in fatto di alleanze e gli incarichi interni occupati dalle minoranze». Proprio su quest’ultimo punto, infatti, si era improvvisamente acceso un confronto in direzione che fino ad allora aveva mantenuto toni sereni, nonostante le differenze di vedute (MoDem aveva anche prospettato un voto contrario).
A far scoccare la scintilla è stato Gianclaudio Bressa, fedelissimo di Franceschini, che a margine della riunione ha dichiarato ai giornalisti: «Come si può continuare a gestire importanti incarichi in un partito di cui non si condivide la linea politica?». Obiettivo della sua domanda sono Paolo Gentiloni e Beppe Fioroni, rispettivamente presidenti dei forum comunicazione e welfare del partito. La reazione di quest’ultimo è immediata e, prendendo la parola in riunione, ha rimesso provocatoriamente al segretario il mandato proprio e del collega (ignaro dell’iniziativa). A chiudere la questione, nella sua replica, è stato il leader dem, dicendo quella «parola chiara» che gli esponenti della minoranza gli avevano chiesto: «Io sono il segretario e non ho posto il problema».
Il gentlemen’s agreement tra Bersani e Veltroni, d’altra parte, era nell’aria già dalla vigilia. I rappresentanti della minoranza avevano già spiegato al leader dem che non avrebbero potuto votare una relazione che confermava una linea da loro criticata fino ad allora (soprattutto per quanto riguarda la “timidezza” sul caso Fiat e la strategia di ricercare alleanze ampie, da Vendola a Fini), ma al contempo garantivano toni bassi e confermavano l’invito per l’appuntamento al Lingotto del 22 gennaio, che molto probabilmente Bersani accetterà.
Proprio per questo, MoDem avrebbe preferito non arrivare al voto e, alla fine, non ha partecipato a quella che riteneva «una conta inutile». Il segretario, nella sua relazione, ha ribadito che «l’iniziativa politica del Pd che ha portato al voto sulla mozione di sfiducia è stata giusta» e ha quindi rilanciato il proprio progetto, basato su una «riforma repubblicana», che comprenda anche una legge elettorale basata sull’uninominale a doppio turno con correttivi proporzionali, e «un patto per la crescita e il lavoro», da discutere «sia con le forze di sinistra e di centrosinistra interessate a una reale prospettiva di governo, sia con le forze di opposizione che si dichiarino di centro e non impegnate nella ristrutturazione del centrodestra». Chi vuole contestare questa linea, è la sfida rivolta alla minoranza, deve «presentarne altre e che si capiscano». Sulla Fiat, Bersani ha ribadito la necessità di «introdurre con urgenza nuove regole sulla rappresentanza», convergendo in parte anche con le proposte di Ichino. La discussione sulle primarie, invece, è rinviata a una conferenza nazionale che sarà convocata entro il 2011. «L’idea è di riformarle per preservarle – ha garantito il segretario – lo strumento ha mostrato vitalità, ma ha anche prodotto alcuni problemi. Nessuno comunque vuole cancellarle». Infine, Bersani ha invitato tutti i suoi a comportamenti più consoni a «un anno di combattimento » e, nelle conclusioni, si è appellato all’orgoglio di partito: «Solo il Pd può tenere unito il paese. Teniamo il passo e andiamo avanti».
Tra gli interventi più duri, in direzione, c’è stato quello di Sergio Chiamparino, che ha chiesto «parole più nette e certe a sostegno del sì al referendum di Mirafiori». Dario Franceschini, dal canto suo, ha chiesto di «andare avanti sulla strada dell’allargamento del campo delle nostre possibili alleanze per battere Berlusconi», mentre Massimo D’Alema ha spiegato che sul tema «non c’è nulla da decidere oggi, non ci sono le elezioni». E Enrico Letta ha ribadito: «L’ipotesi di una nostra coalizione guidata da Vendola non è tra le opzioni possibili».
da Europa Quotidiano 14.01.11