economia, lavoro

"Piccoli Marchionne crescono", di Bruno Ugolini

Il modello Marchionne di relazioni tra sindacati e imprenditori, basato sul prendere o lasciare, in nome della crisi e della globalizzazione, sta trovando imitatori. È il caso di Giuseppe Bono, a capo della Finmeccanica. Ha deciso di liberarsi dal legame con la Confindustria cominciando col non pagare più le quote dovute all’associazione (340 mila Euro). Un atto che potrebbe avere come conseguenza la liberazione dal contratto nazionale. Lo stesso Bono del resto nei giorni scorsi aveva esaltato “il metodo Marchionne”. Un altro caso interessante coinvolge la stessa presidente della Confindustria Emma Marcegaglia. Proprio nelle aziende del suo gruppo è in corso un braccio di ferro. Oggetto della controversia sono duecento giovani lavoratori. Costoro dovrebbero essere assunti nelle imprese del gruppo, ma le loro buste paga saranno assottigliate. Non soltanto per i primi anni di apprendistato ma anche per gli anni futuri. Tutto questo violando un accordo aziendale che decideva per gli apprendisti condizioni migliori. Ma non si era forse detto e scritto che il futuro avrebbe dovuto essere dedicato agli accordi aziendali, considerati la stella polare di una rinascita produttiva? La verità è che si intende rinnegare non solo il contratto nazionale ma anche i contratti aziendali quando questi invece di peggiorare migliorano la situazione operaia. I promotori di questo voltafaccia, ovverosia il gruppo Marcegaglia, sono gli stessi che spesso si riempiono la bocca circa la necessità di assicurare un futuro ai giovani, magari contrapponendoli agli esosi anziani. Nelle loro pretese i giovani neoassunti dopo il periodo di apprendistato (dai 36 ai 42 mesi), continueranno a ricevere un salario ridotto. Una volta riconosciuti come “normali” lavoratori con contratto fisso, avranno incrementi col contagocce per anni e anni. Sono episodi che testimoniano di un progressivo processo di sfaldamento. Disegnano un modello di relazioni, un modello di società che, come ha mirabilmente spiegato il ministro al Welfare Maurizio Sacconi, chiudono una fase. Quella della concertazione, quella che egli chiama del “controllo sociale”. Il “requiem” decretato al contratto nazionale e all’accordo del 1993 sulle rappresentanze sindacali ha questo significato. Il nuovo modello è all’ insegna del “liberi tutti” e chi è più forte vincerà. Il mercato prende il posto della politica, come ha scritto Mario Deaglio su “La Stampa”. Ed è straordinario il fatto che oggi ministri e imprenditori (non tutti per fortuna, come ha rammentato una recente riunione dei presidenti delle diverse associazioni della Confindustria) conducano una crociata contro l’accordo del 1993. E che nella difesa strenua di quell’intesa ’93 militino anche alcuni esponenti della estrema sinistra sindacale che all’epoca consideravano quell’accordo un tradimento.

L’Unità 10.01.11