economia, lavoro

«Il governo non c’è. Sia l’opposizione a fare proposte concrete», di Laura Matteucci

Nei prossimi mesi la situazione difficilmente migliorerà: la ripresa è debole, le imprese fragili, e il dualismo tra il lavoro protetto e il lavoro senza alcuna rete di protezione tenderà a rafforzarsi. Prima della recessione solo 3 su 10 nuovi contratti erano a tempo indeterminato, ma adesso siamo a meno di 1 su 10. Tutto questo nell’assenza totale di politiche pubbliche a sostegno del lavoro, giovanile in particolare». L’economista Tito Boeri, docente alla Bocconi, tra i fondatori del sito lavoce. info, commenta gli ultimi i dati Istat: «Confermano un fatto molto preoccupante, la posizione relativa dei giovani, il cui tasso di disoccupazione è tre volte e mezza quello degli over 25». Impensabile che un governo in agonia promuova riforme efficaci. Dunque, nessuna via d’uscita? «L’appello è per l’opposizione, perchè prenda in mano la situazione con proposte concrete. E vale anche per i sindacati, che hanno non poca responsabilità rispetto al dualismo del nostro mercato del lavoro. Il Pd sembrava orientato a promuovere alcune riforme, ha dimostrato più d’una apertura rispetto alla proposta del contratto unico in ingresso, ma poi si è come bloccato. C’è anche un problema sociale di cui la politica dovrebbe tener conto: se i giovani non troveranno rappresentanza e modo di esprimersi, il rischio di conflitti e tensioni sociali aumenterà esponenzialmente». Il tasso didisoccupazione in Italia è alto in assoluto,m aper i giovani siamo al di sopra di qualsiasi media. Perchè? «Gioca un insieme di fattori. Le poche riforme attuate hanno introdotto elementi di flessibilità solo ai margini, creando una schiera di lavoratori non protetti, i primi ad essere licenziati durante la fase recessiva. Un problema che persiste, perchè l’uscita dalla crisi è frammentaria, le imprese vivono una forte incertezza e offrono solo contratti temporanei. Inoltre, si è fatto ampio ricorso a strumenti come la cassa integrazione, che di fatto hanno bloccato le assunzioni». Ma tutto questo, con una crisi globale, è accaduto anche in altri Paesi. «È vero. Prendiamo la Spagna, dove la disoccupazione è in aumento, ma che non accusa la nostra stessa concentrazione sui giovani. Lì le barriere d’ingresso alle professioni sono inferiori, ad esempio costi e regolamentazioni per la creazione di nuove imprese e le tasse sul lavoro. Da noi non si è fatta nemmeno la riforma fiscale per alleggerire il prelievo sul costo del lavoro. Quello italiano è un problema complesso, che parte dal sistema educativo sul quale si sono concentrati gli ultimi tagli, di fatto spingendo le persone a studiare sempre meno. Del resto, anche il ministro Sacconi ha mandato il messaggio più volte, esortando i giovani ad accettare anche i lavori più umili». Un problema culturale? «In parte. Le stesse famiglie italiane sono sì molto attente ai giovani, ma solo nel privato:non si rendono conto che la questione andrebbe affrontata con regole e riforme. Anche per questo il discorso del presidente Napolitano, che ha citato 26 volte i giovani e i loro problemi, è stato molto importante. Ma c’è scarsa consapevolezza del problema. Ho partecipato ad un convegno dell’Ocse sul tema: ogni Paese ha illustrato i propri progetti per affrontare la questione giovanile, l’unico a non avere nemmeno un’idea è stata l’Italia».

L’Unità 08.01.11

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“La disoccupazione è giovane. Dato record dal 2004”, di La.Ma.

La disoccupazione è ai massimi, ma a preoccupare è soprattutto quella giovanile, che a novembre ha raggiunto il livello record del 28,9%, con un aumento del 2,4% rispetto a un anno prima, e dello 0,9 su ottobre. Cresce anche il numero dei cosiddetti inattivi, le persone che hanno rinunciato o non possono più cercare lavoro. Il tasso generale della disoccupazione si è attestato sull’8,7%, ovvero la stessa percentuale registrata ad ottobre, anche se sui decimali si registra un lievissimo miglioramento. Nel complesso, le persone in cerca di occupazione sono 2 milioni e 175mila (+5,3% rispetto al novembre 2009). I dati Istat, insomma, continuano a scattare la stessa fotografia di un’emergenza nazionale che non sfuma e per la quale, insistono opposizione e sindacati, serve un piano straordinario: «Il governo pensa ad altro, è in crisi, inadeguato e inefficace – dice Fulvio Fammoni per la Cgil -Unpiano straordinario per l’occupazione e lo sviluppo sarà al centro della mobilitazione della Cgil in tutte le città d’Italia». DalPd l’appello alle forze politiche di confrontarsi per avviare una fase di riforma per la crescita e il lavoro «con un patto di natura costituente », dice il responsabile lavoro Stefano Fassina. «La fase è straordinaria, ci stiamo avvitando in una spirale di stagnazione, elevata disoccupazione, fragilità degli equilibri di finanza pubblcia». Anche la Cisl parla di emergenza, e sottolinea due dati «estremamente negativi »: l’ulteriore esplosione del tasso di disoccupazione giovanile che raggiunge l’apice mai toccato del 29%, e l’aumento dell’1,5% delle donne disoccupate rispetto al mese precedente, pur se temperato dalla crescita delle donne occupate e dal conseguente calo delle donne inattive. Tanto che dal governo sia il ministro Carfagna sia il collega Sacconi riescono a commentare con toni soddisfatti. «Le donne occupate compensano la quota persa dei giovani », dice il ministro del Welfare, che nei prossimi giorni incontrerà le Regioni per definire l’impiego degliammortizzatrori in deroga. In realtà, se si parla di donne, aumenta sia l’occupazione(+ 1,4% su base annua, tasso al 46,3%), sia la disoccupazione, il cui tasso è al 10%, in crescita su mese e su anno (+0,3%). Il tasso di occupazione maschile, invece, è al 67,4%, in calo dello 0,7% nell’ultimo anno. E, secondo gli artigiani della Cgia di Mestre, in realtà il tasso di disoccupazione è oltre il 10%, superando quello ufficiale dell’Istat, se si contano anche i cosiddetti sfiduciati, che in questi ultimi due anni di crisi sono usciti dalle statistiche ufficiali perché hanno deciso di non cercare più un posto di lavoro, e che a novembre risultavano essere 402mila. EUROSTAT Edecco i dati diffusi da Eurostat relativi all’eurozona: la disoccupazione a novembre è rimasta stabile rispetto a ottobre, a quota 10,1%. Nel novembre 2009 il dato era stato pari a 9,9%. Stabile il tasso di disoccupazione anche per l’Ue a 27, a novembre fermo al 9,6% come a ottobre. Nel novembre 2009 era al 9,4%. Eurostat stima i disoccupati nell’Ue a 23,24 milioni, di cui 15,92 nell’eurozona. Rispetto al novembre del 2009c’è stato un aumento di 347mila persone nell’eurozona e di 606mila nell’Ue-27. I paesi in cui si sono registrati i tassi più bassi di disoccupazione sono l’Olanda (4,4%), il Lussemburgo (4,8%) e l’Austria (5,1%), mentre i più alti si sono registrati in Spagna (20,6%), Lituania (18,3%) e Lettonia (18,2%).

L’Unità 08.01.11

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«Ai ragazzi diciamo solo arrangiatevi», di Irene Tinagli

Ancora una volta potrà dire «l’avevo detto». Due giorni fa il ministro Tremonti metteva in guardia contro facili ottimismi sulla fine della crisi, e ieri i dati Istat sull’occupazione confermano un quadro tutt’altro che positivo. Non accenna a diminuire la disoccupazione complessiva, restando inchiodata all’8,7%, il dato più alto dal 2004, e riprende a salire quella giovanile, che arriva al 28,9%. Certamente questi dati non vanno letti isolatamente, ma assieme a quelli che, per esempio, indicano come anche l’occupazione sia parallelamente cresciuta (+0,1% rispetto a novembre) e a quelli che indicano che un maggior numero di persone si è rimesso attivamente alla ricerca di un lavoro, andando a ingrossare le statistiche sulla disoccupazione. Ma cercare di nascondersi dietro uno zero virgola in più porta all’unico risultato di non affrontare un problema strutturale e molto grave del nostro Paese, ovvero l’incapacità di crescere (da questo punto di vista i dati sull’occupazione andrebbero letti assieme a quelli del Pil, che stenta a ripartire, e a quelli della produttività, ancora ferma) e, problema ancor più grave, l’incapacità di coinvolgere le giovani generazioni nel tessuto economico e produttivo del Paese.

Nonostante continui a essere ignorata e sminuita dal nostro governo, la questione della disoccupazione giovanile in Italia è ormai da tempo un problema di assoluta gravità, che mortifica l’entusiasmo di milioni di giovani e delle loro famiglie e che frena la ripresa economica del Paese. Un problema al quale nessuno in Italia è stato capace di dare una risposta concreta. Uno scenario politico senza idee, diviso tra chi ha fatto leva sul disagio dei giovani semplicemente per cercare di indebolire il governo (compensando così un difetto dell’opposizione), e chi invece, all’interno del governo, ha liquidato la questione con dichiarazioni tanto incredibili quanto poco costruttive. Come l’ultima del ministro Sacconi, che durante le feste natalizie ha rimarcato come la disoccupazione giovanile sia colpa di cattivi genitori che li spingono a studiare e laurearsi quando invece potrebbero imparare un mestiere e adattarsi meglio alle esigenze del mercato. Chissà se è venuto in mente al ministro che il mercato del lavoro è anche frutto delle politiche economiche e sociali che un Paese persegue.

E che è il governo di un Paese che dovrebbe mirare ad adattare il proprio sistema economico e sociale alle dinamiche internazionali in modo da tenerlo competitivo, non i giovani che devono adattarsi al declino del Paese e all’incapacità dei politici di rimetterlo in moto. No, non è incitando i ragazzi ad accaparrarsi gli ultimi lavori da elettricisti o falegnami rimasti che risolveremo il problema della disoccupazione giovanile, ma intervenendo in maniera più incisiva sia su una effettiva riforma del mercato del lavoro (in modo da eliminarne la dualità che oggi marginalizza milioni di giovani), sia su politiche economiche lungimiranti. Politiche di sviluppo orientate a far sì che in Italia arrivino o nascano nuove imprese, in particolare imprese innovative, ad alta vocazione internazionale, capaci di far emergere nuovi settori e generare nuova occupazione. Certo, non sono interventi semplici, soprattutto in tempi di crisi, e anche altri Paesi hanno mostrato di fare degli errori di fronte alla crisi e di non riuscire sempre a ottenere i risultati sperati. Ma le cose si muovono, e sono pochi quelli che restano fermi.

Dopo aver investito gran parte di inizio mandato a riformare aspetti importanti del sistema di protezione sociale americano, Obama è passato a più aggressive misure di sviluppo, varando nel corso del 2010 un consistente pacchetto di incentivi alle imprese per supportare le nuove assunzioni e nuovi investimenti, con paralleli tagli alle tasse, per un totale di 150 miliardi di dollari. Sarà un caso, ma negli ultimi mesi l’occupazione negli Stati Uniti ha registrato continui miglioramenti. Proprio ieri i dati hanno indicato la creazione di oltre 100.000 posti di lavoro nel mese di dicembre – meno di quanto era stato precedentemente stimato, ma comunque un dato positivo soprattutto se lo si somma ai posti che erano stati creati a ottobre e novembre (210.000 e 71.000), nettamente al di sopra delle aspettative. La Germania, a sua volta, pur cercando di contenere il deficit con uno dei tagli di spesa del settore pubblico più pesanti dal dopoguerra, ha rilanciato il proprio sistema produttivo investendo in ricerca e sviluppo, negoziando con le imprese migliaia di posti di formazione per i giovani, orientando molti incentivi economici verso nuovi settori e le «industrie creative e culturali» (alla faccia di chi pensava che i tedeschi fossero solo interessati a costruire la propria potenza su macchinari e tecnologie), e finanziando numerose attività di supporto per le imprese orientate all’esportazione.

Il programma tedesco «Hermes», che offre garanzie di credito alle imprese esportatrici, nel 2009 ha emesso garanzie per 22,4 miliardi di euro, un record storico per la Germania. Una politica i cui risultati sono, fino a oggi, sotto gli occhi di tutti. In Italia oggi molti politici litigheranno su come leggere gli ultimi dati, ma se si avesse il coraggio di ammettere il fallimento di una politica che lascia quasi un terzo dei propri giovani senza lavoro e senza prospettive, e se si avesse davvero la forza di attivare politiche di sviluppo utili, e non solo predire o minimizzare disgrazie, forse un giorno potremmo dire a questi giovani qualcosa di più emozionante e utile di un semplice «arrangiatevi».

da www.lastampa.it