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"Le nuove sorprese della crisi", di Paul Krugman

Pillola di saggezza per il nuovo anno: anche se forse abbiamo finalmente smesso di sprofondare siamo ancora ben in fondo al pozzo. Spero che la gente lo capisca.
Perché sento il bisogno di dirlo? Perché ho notato che molti hanno accolto con eccessivo entusiasmo i recenti dati positivi in campo economico. A preoccuparmi è soprattutto il rischio di un magnanimo ottimismo, temo cioè che alla luce di qualche indicatore economico favorevole si decida che non serve più promuovere la ripresa e si prendano iniziative che ci facciano andare a fondo. Ma veniamo alle buone notizie: vari indicatori economici, a partire dall´andamento relativamente positivo delle vendite natalizie fino ai nuovi dati relativi alla disoccupazione ( siamo scesi finalmente a meno di 400.000 domande di indennizzo la settimana) indicano che la fase dei grandi tagli post bolla sta forse per concludersi. L´edilizia non dà segni di un ritorno ai livelli dei tempi della bolla e le famiglie oberate dai debiti non sembrano propense a tornare alla vecchia abitudine di spendere tutto ciò che guadagnano, ma per una modesta ripresa economica bastava bloccare il crollo del comparto edile e interrompere la crescita dei risparmi, cosa che pare stia avvenendo. Le previsioni sono state aggiornate: quest´anno una crescita economica del 4% sembra possibile.
Hurra! Ma di nuovo, non è molto. Sono i posti di lavoro che contano per le famiglie americane, non i dati del Pil. E se si parte da un tasso di disoccupazione prossimo al dieci per cento, l´aritmetica della creazione di posti di lavoro – ovvero la crescita economica necessaria a tornare ad una situazione occupazionale tollerabile – è scoraggiante.
In primo luogo è necessaria una crescita annuale del 2, 5 per cento circa solo per tenere il passo con l´incremento della produttività e della popolazione e per impedire che la disoccupazione aumenti. Ecco perché i diciotto mesi trascorsi tecnicamente si connotano come ripresa ma sono stati vissuti come recessione: il Pil cresceva ma non abbastanza rapidamente da far calare la disoccupazione.
Una crescita superiore al 2,5 per cento col tempo porterà a una riduzione della disoccupazione, ma non in maniera direttamente proporzionale. Per tutta una serie di motivi è storicamente dimostrato che servono due punti di crescita in più in un anno per far calare la disoccupazione di un punto.
Facciamo i conti allora. Supponiamo che l´economia Usa cresca del 4 per cento, a iniziare da oggi per i prossimi anni a venire. Sarà considerata in generale un´ottima performance, addirittura un boom economico. Senza dubbio una crescita superiore a tutte le attuali previsioni. Ma la matematica dice che anche in presenza di una crescita del genere il tasso di disoccupazione sarà prossimo al nove per cento alla fine di quest´anno e ancora sopra l´otto per cento alla fine del 2012. Non arriveremo a qualcosa di simile alla piena occupazione prima della fine del primo mandato presidenziale di Sarah Palin .
A parte gli scherzi, nei prossimi anni, anche in presenza di buoni livelli di crescita economica ci aspettano tassi di disoccupazione che fino a non molto tempo fa sarebbero stati giudicati catastrofici, e in realtà lo sono. Al di là delle aride cifre c´è una distesa di sofferenza e di sogni infranti. E i numeri dicono che la sofferenza continuerà a perdita d´occhio.
Cosa si può fare quindi per accelerare questo processo di risanamento troppo lento? Un sistema politico razionale avrebbe già da tempo creato una versione aggiornata al ventunesimo secolo della Works Progress Administration _ avremmo impiegato i disoccupati in lavori socialmente utili mirati a riparare e migliorare la nostra fragile infrastruttura. Ma nel sistema politico che ci ritroviamo la senatrice Kelly Ayotte, repubblicana, il primo dell´anno ha dichiarato che «La prima cosa da fare è porre fine agli sprechi di Washington».
Realisticamente, il meglio che ci possiamo aspettare dalla politica fiscale è che Washington non si metta d´impegno ad ostacolare la ripresa. Attenzione in particolare alle Idi di marzo: allora il governo federale avrà probabilmente raggiunto il limite di debito pubblico e il GOP tenterà di costringere il presidente Barack Obama a procedere a tagli alla spesa pubblica deleteri per l´economia.
Anche la politica monetaria mi preoccupa. Due mesi fa la Federal Reserve ha annunciato un nuovo piano per promuovere la crescita occupazionale attraverso l´acquisto di obbligazioni a lungo termine. All´epoca molti osservatori erano convinti che i primi 600 miliardi di dollari fossero solo l´inizio. Ma ora sembra che sia già la fine in parte perché i repubblicani stanno tentando di costringere la Fed a tirarsi indietro, ma anche perché una serie di dati economici leggermente migliori fornisce una scusa all´immobilismo. Esiste anche una buona possibilità che la Fed alzi il tasso di interesse quest´anno, o quantomeno sembra questa l´idea del mercato dei futures . Una decisione del genere a fronte di un alto tasso di disoccupazione e di un´inflazione minima sarebbe folle, ma non è detto che non accada. Per tornare al mio punto di partenza, qualunque siano gli ultimi dati economici siamo ancora sul fondo del pozzo. Possiamo solo sperare che al vertice se ne rendano conto in molti.

La Repubblica 07.01.11

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