L’essenza della cultura riformista è fare un’analisi autonoma ed empiricamente fondata della realtà, tentare i risultati possibili in base ai rapporti di forza dati, valutare gli esiti effettivi dell’azione intrapresa, costruire le condizioni per equilibri più avanzati. Di fronte a “Fabbrica Italia”, riformisti e radicali, sul versante sindacale e politico non sono stati all’altezza della sfida. La divisione tra resistenza ideologica e rassegnazione pragmatica ha acuito le debolezze ed i rischi di irrilevanza degli uni e degli altri, a danno di lavoratori e lavoratrici. Il difetto principale è stato di analisi. Il timore di smarrirsi ha portato a rimuovere dalla discussione la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale, a caccia di lavoro low cost nelle sterminate praterie dell’economia globale, e lavoro relegato nella dimensione locale della politica e del sindacato. Abbiamo fatto finta di essere ancora nel ‘900, quando il lavoro negoziava con il capitale dentro i confini dello stato nazionale e lo sciopero era un’arma efficace. Abbiamo definito “accordo” un atto unilaterale dove è evidente la regressione del lavoro, mentre non si fa nessun passo avanti nella partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici alla governance e agli utili dell’impresa, anzi si torna indietro alle rappresentanze nominate dai vertici sindacali. Non abbiamo neanche tentato una valutazione del piano industriale per provare a capire le prospettive dell’adesione alla proposta “prendere o lasciare” di Fiat. Non abbiamo neppure ricordato che Fiat non sforna modelli competitivi e di conseguenza perde quote di mercato rispetto a marchi che pagano il lavoro il 30-40% in più che in Italia, hanno orari di lavoro ordinari di gran lunga inferiori e contrattano gli straordinari con i sindacati. Abbiamo anche dovuto apprendere dai soliti avanguardisti del riformismo che la modernità secondo Marchionne è l’unica modernità possibile. Da loro riascoltare il disco rotto dell’ideologia conservatrice: il canto della coincidenza di interessi tra lavoratori e azionisti, mentre nel 2011, anno segnato da mesi e mesi di cassa integrazione per il gruppo di Torino, i capital gains attesi dal dott. Marchionne sulle sue stock options Fiat ammontano ad oltre 100 milioni di euro, ossia più della somma dei salari degli operai e degli stipendi dei quadri delle Carrozzerie Mirafiori in un anno di lavoro a tempo pieno. Abbiamo dovuto ricevere lezioni di cambiamento da chi è senza bussola ed identifica, in ossequio ai cascami di una fallita cultura neo-liberista, i problemi di produttività dell’Italia e la sua carenza di investimenti esteri nella regolazione del mercato del lavoro e nell’indisciplina di qualche leader sindacale. Non abbiamo alzato lo sguardo per vedere che Detroit, Pomigliano e Mirafiori e smantellamento del welfare inUSA e in Europa per salvare le grandi ricchezze finanziarie di pochi alimentano la stagnazione in corso al di qua e al di là dell’Atlantico, lasciano le classi medie senza prospettive alla deriva populista e condannano l’Occidente alla marginalità. Abbiamo fatto finta di avere scelta. Hanno fatto finta i sindacati che hanno firmato e la Fiom che non ha firmato. Ha fatto finta nei partiti di centrosinistra chi ha sostenuto chi ha firmato e chi ha sostenuto chi non ha firmato. Avremmo dovuto riconoscere, come riconosceranno i lavoratori delle Carrozzerie Mirafiori il 13 e 14 Gennaio nel referendum a risposta unica, di non avere, oggi, scelta: non si può rinunciare al lavoro, nonostante l’arretramento delle condizioni del lavoro. Dobbiamo prendere atto della realtà, riconoscere i risultati del voto di Mirafiori, ristabilire le condizioni per la piena agibilità sindacale in Fiat e costruire insieme una controffensiva per riportare il lavoro a fondamento dell’ordine democratico, in Italia ed in Europa.
*responsabile economia PD
L’Unità 07.01.11
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“Fiat, si infiamma la partita referendum”, di Paolo Griseri
TORINO – Quattro giorni per un voto. Quattro giorni per la campagna elettorale più breve della storia Fiat. Dalle 6 di lunedì mattina, quando entreranno in fabbrica i lavoratori del primo turno, alle 22 di giovedì, quando inizieranno a votare le tute blu del turno di notte, meno di 200 persone in tempi di crisi, dando così il via all´apertura dei seggi. Tra lunedì e giovedì molti si giocheranno tutto. I sindacati del “sì”, che annunciano una vittoria intorno all´80%, la Cgil e la Fiom che dovranno verificare quanto paghi in fabbrica la loro stretegia. Ma anche la Fiat che in questa partita sembra più prudente di quanto non fosse alla vigilia del referendum su Pomigliano: «Con il 51% faccio l´investimento» dice Sergio Marchionne. Si gioca una fetta di futuro anche il Pd, più che mai diviso: «Con la vittoria del no sarebbe una catastrofe», dice Pietro Ichino all´Espresso. «L´accordo è una lesione della democrazia», replica Sergio Cofferati. La vigilia dei quattro giorni che possono cambiare il volto della Fiat è fatta di riunioni, dichiarazioni al vetriolo sui due fronti e annunci di volantinaggi. Lunedì mattina la porta 2 di corso Tazzoli, l´ingresso principale delle Carrozzerie, tornerà alle scene di un tempo: con volantinaggi contrapposti, qualche comizio improvvisato, le accuse reciproche. «No all´accordo della vergogna», annuncia la Fiom nel suo volantino distribuito ieri per la prima volta alla “Befana metalmeccanica” nel centro di Torino. Continuano ad aumentare le adesioni alla raccolta di firme di Micromega in solidarietà alla Cgil. «Sì agli investimenti, sì al lavoro, Mirafiori c´è» è lo slogan che campeggia sui volantini dei sindacati che hanno firmato l´intesa. Il Fismic accusa il segretario della Fiom, Maurizio Landini, di «frequentare i salotti radical chic più delle linee di montaggio». I sindacati del “sì” hanno rinunciato a tenere le assemblee informative sull´intesa: «Non abbiamo bisogno di ulteriori assemblee – spiega Rocco Palombella della Uilm – perché l´informazione che c´è stata è sufficiente». La Fiom invece parlerà ai lavoratori giovedì.
Dal Lingotto non ci sono annunci di iniziative particolari. A Pomigliano l´azienda aveva fatto distribuire un dvd per illustrare il progetto di ristrutturazione della fabbrica. In questo caso invece i tempi sono stretti. Ma l´ad nei giorni scorsi è stato esplicito: «Se vince il no, Mirafiori chiude». Le polemiche tra i sindacati riguardano anche lo svolgimento e la regolarità del voto. Lunedì mattina si riunirà la commissione elettorale per decidere il numero di seggi. La Fiom ha annunciato che i suoi delegati garantiranno la presenza ai seggi anche se l´organizzazione giudica illegittimo mettere in votazione diritti indisponibili. Lo scrutinio inizierà alle 17 di venerdì, appena chiusi i seggi del turno del pomeriggio. Il risultato intorno alle 21.
La Repubblica 07.01.11
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