Il mio primo viaggio negli Stati Uniti risale a tantissimi anni fa. Non saprei dire esattamente quando. Ricordo nitidamente un episodio particolare: stavo provando a mandare un telegramma in Italia da un’agenzia della Western Union e il commesso mi chiese: «Dov’è l’Europa? È in Inghilterra?». Oggi, nel 2010, Europa e Stati Uniti, ma direi il mondo tutto, è molto più vicino di quanto lo fosse allora. Anche perché la crisi ha accorciato ancora le distanze e ha messo tutti sullo stesso piano.
Il tornado partito dagli Usa ha raggiunto l’Europa
Il 2010 è stato l’anno in cui il tornado economico partito dagli Stati Uniti ha raggiunto l’Europa. Un tornado che – non servono grandi doti profetiche per prevederlo – si sposterà dalla finanza all’economia, poi si estenderà all’ambito “sociale” e infine a quello “politico”. Il percorso è già partito e ben visibile. Come spesso è accaduto, il panico del mercato produce risultati sul mercato. E non solo. Perché la frenesia in atto è un processo dalle molteplici sfaccettature. Un’onda, che – appunto – dalla finanza si è allargata all’economia, alla società, alla politica.
Stati Uniti ed Europa si ritrovano oggi più vicine che mai
Avvolte da questo clima perturbato, dunque, Stati Uniti ed Europa si ritrovano oggi più vicine che mai. Pur tra differenza di lungo corso. L’Europa non ha mai dovuto fare i conti con bolle immobiliari comparabili a quella americana, ma l’economia del nostro continente è tuttavia gravemente penalizzata dai difetti di progettazione della moneta unica. Uno fra tutti, il più importante: il principio fondamentale dell’imposizione di sanzioni finanziarie effettive è assente e non esiste nessun meccanismo per gestire realmente l’unione monetaria. Per questo, abbiamo verificato – e sofferto – il fatto che il mercato europeo sia stato danneggiato dall’incapacità di differenziare i tassi di interesse sui titoli di stato dei vari paesi. Da questo punto di vista, il 2010 è stato davvero quello della “resa dei conti”.
Non esiste la possibilità che nascano due zone euro
Il tracollo della fiducia dei mercati è stato tale da spingere qualcuno a ipotizzare uno scenario apparentemente impensabile solo qualche tempo fa. Formuliamolo così: esiste la possibilità concreta che nascano due zone euro, con l’Irlanda membro onorario dei paesi del Sud Europa, Portogallo, Spagna, Grecia, forse Italia? La risposta è no. Eppure la domanda si è posta e si pone ancora, non solo da parte di accademici o commentatori
La risposta deve partire dal tipo di reazione che, in questo anno difficile, è stata messa in atto. Se si confronta il tempo impiegato dagli americani per mettere insieme il programma Tarp volto a soccorrere il sistema finanziario con la velocità con cui gli europei si sono accordati per il salvataggio delle diverse aree di crisi, l’euro è stato più rapido e meno complicato. È un dato di fatto, e va tenuto presente. Certo, il mercato può attaccare l’euro, ma in definitiva cederà prima il mercato delle autorità, e questo è un segnale positivo. Tutto questo mi porta a concludere che, malgrado in Europa lo scenario sia in apparenza fatto di soluzioni alla bell’e meglio, se io fossi un investitore, oggi comprerei titoli di stato greci.
Occorre mettere un tetto alle componenti speculative del mercato
L’ultima domanda a cui siamo tenuti a rispondere alla fine di questo 2010 è la seguente: è giunto il momento di ridimensionare la finanza? La riflessione è obbligata. E la mia risposta è la seguente: occorre mettere un tetto alle componenti commerciali e speculative del mercato. E ricordare ai presenti che la classica risposta di mercato a questo genere di distorsioni è la tassazione.
Questo articolo è la sintesi dello speech tenuto da Tommaso Padoa-Schioppa alla Conferenza biennale di New York del Consiglio Italia-Usa. Padoa-Schioppa ha introdotto i lavori sui deficit di bilancio a cui hanno partecipato anche il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi e l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne. (Traduzione di Fabio Galimberti)
da Il Sole 24 Ore 21.12.10
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