Il governo ha vinto, il governo ha perso. Tre voti in più degli avversari bastano a evitargli lo sfratto da palazzo Chigi; due voti in meno rispetto all’asticella della maggioranza assoluta lo trasformano, tecnicamente, in un governo di minoranza. Significa che a questo punto il gabinetto Berlusconi ha tutto il diritto di governare, ma non ne ha più il potere. A meno che, strada facendo, non sia capace di riconquistarlo.
Come? Con la politica, certo; ma anche con una diversa strategia istituzionale. Dopotutto il potere del governo dipende dai suoi rapporti con gli altri poteri dello Stato. Col Quirinale, in primo luogo. Davvero questi tre anni d’esperienza non hanno niente da insegnare a Berlusconi? La popolarità di Giorgio Napolitano è almeno doppia rispetto a quella del presidente del Consiglio; e certo quest’ultimo non ha tratto vantaggio dal suo repertorio di freddezze, scortesie, sgarbi più o meno plateali nei riguardi del Colle. Senza dire che il capo dello Stato è il timoniere delle crisi: un governo in condizione di pre-crisi permanente avrebbe tutto l’interesse a conservarne l’appoggio.
E la giustizia? Quanto è convenuto a Berlusconi partire lancia in resta contro i magistrati? Quanto potrà convenirgli cucinare una riforma per segare le basi costituzionali della loro indipendenza? Davvero gli ultimi comunisti abitano nei tribunali e alla Consulta, oltre che in Corea? A proposito della Consulta: fra meno d’un mese deciderà sul legittimo impedimento, l’ultimo scudo processuale del nostro premier. Accettarne il verdetto senza scomuniche o anatemi sarebbe un’esibizione di forza ritrovata, oltre a sfilare di tasca agli avversari uno dei loro argomenti prediletti. Rimane il Parlamento, rimane l’unico potere dello Stato ancora più infiacchito rispetto al governo in carica.
Per quale ragione? Perché il porcellum gli ha tolto autorità e prestigio, ha trasformato gli eletti in camerieri di partito. E infatti 11 italiani su 10 getterebbero volentieri la legge elettorale tra i rifiuti. Se il gabinetto Berlusconi fosse il motore della sua riscrittura, con un solo atto restituirebbe vigore a se stesso e al Parlamento. Ma raramente i deboli cedono alle ragioni altrui; in genere diventano aggressivi, convertono l’impotenza in prepotenza. Speriamo di sbagliarci.
Il Sole 24 Ore 15.12.10