Con tre voti di maggioranza, strappati in extremis ai finiani nell´ultima compravendita notturna, Berlusconi rimane a Palazzo Chigi. Ma per fare che cosa? Quel margine precario, appeso a mille promesse impossibili, nel giorno per giorno non consentirà al Premier di far approvare più nulla. Ma a Berlusconi i voti non servono per governare: gli servono per comandare. Ieri li ha avuti, e tanto gli basta. La politica può aspettare, il Paese anche.
Per il Cavaliere era più importante la prova di forza con Fini, sulla fiducia. L´ha vinta e, letteralmente, questa vittoria per lui non ha prezzo. Ma da oggi, l´opposizione conta un partito in più, e comperando i pontieri il Premier ha divorato anche l´ultimo ponte coi finiani. L´unico modo per sopravvivere davvero alla vittoria di ieri, è allargare la maggioranza all´Udc. Ma Casini non ha alcuna convenienza a cambiare una linea costruita negli anni, e dirà di no.
La Lega aspetta di intascare il federalismo, e dà i 30 giorni a Berlusconi. O riesce a catturare Casini, o si andrà al voto. Dunque le elezioni sono l´esito più probabile e alla fine più giusto. Ecco perché Fini dovrà dimettersi dalla presidenza della Camera, per fare liberamente la sua battaglia politica decisiva: e farla probabilmente dal centro – in una posizione che fa comodo anche al Pd – visto che a destra l´eredità post-berlusconiana gli è preclusa.
Insomma, il Cavaliere ha vinto, ma la partita è appena cominciata.
La Repubblica 15.12.10
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“Il profeta delle illusioni”, di Barbara Spinelli
C´è chi dirà che l´iniziativa di sfiduciare Berlusconi era votata a fallire: non solo formalmente ma nella sostanza. Perché non esisteva una maggioranza alternativa, perché né Fini né Casini hanno avuto la prudenza di perseguire un obiettivo limpido, e hanno tremato davanti a una parola: ribaltone.
Parola che solo per la propaganda berlusconiana è un peccato che grida vendetta al cospetto della Costituzione. Hanno interiorizzato l´accusa di tradimento, e non se la sono sentita di dar vita, guardando lontano, a un´alleanza parlamentare diversa. Hanno ignorato l´articolo 67 della Costituzione, che pure parla chiaro: a partire dal momento in cui è eletto, ogni deputato è libero da vincoli di mandato e rappresenta l´insieme degli italiani. Non manca chi già celebra i funerali per Fini, convinto che la sua scommessa sia naufragata e che al dissidente non resti che rincantucciarsi e pentirsi.
Per chi vede le cose in questo modo Berlusconi ha certo vinto, anche se per 3 voti alla Camera e spettacolarmente indebolito. Il Premier ha avuto acume, nel comprendere che la sfiducia era una distruzione mal cucita, un tumulto più che una rivoluzione, simile al tumulto scoppiato ieri nelle strade di Roma. Neppure lontanamente gli oppositori si sono avvicinati alla sfiducia costruttiva della Costituzione tedesca, che impone a chi abbatte il Premier di presentarne subito un altro.
A ciò si aggiunga la disinvoltura con cui il capo del governo ha infranto l´etica pubblica, esasperando lo sporco spettacolo del mercato dei voti. Il mese in più concesso da Napolitano, lui l´ha usato ricorrendo a compravendite che prefigurano reati, mentre le opposizioni l´hanno sprecato senza neanche denunciare i reati (se si esclude Di Pietro). Eugenio Scalfari ha dovuto spiegare con laconica precisione, domenica, quel che dovrebbe esser ovvio e non lo è: non è la stessa cosa cambiar campo per convinzione o opportunismo, e cambiarlo perché ti assicurano stipendi fasulli, mutui pagati, poltrone.
Ma forse le cose non stanno così, e la vittoria del Cavaliere è in larga misura apparente. Non solo ha una maggioranza esile, ma è ora alle prese con due partiti di destra (Udc e Fli) che ufficialmente militano nell´opposizione. Il colpo finale è mancato ma la crisi continua, come un torrente che ogni tanto s´insabbia ma non cessa di scorrere. Quel che c´è, dietro l´apparenza, è la difficile ma visibile caduta del berlusconismo: caduta gestita da uomini che nel ´94 lo magnificarono, lo legittimarono. È un Termidoro, attuato come nella Francia rivoluzionaria quando furono i vecchi amici di Robespierre a preparare il parricidio. Non solo le rivoluzioni terminano spesso così ma anche i regimi autoritari: in Italia, la fine di Mussolini fu decretata prima da Dino Grandi, gerarca fascista, poi dal maresciallo Badoglio, che il 25 luglio 1943 fu incaricato dal re di formare un governo tecnico pur essendo stato membro del partito fascista, responsabile dell´uso di gas nella guerra d´Etiopia, firmatario del Manifesto della Razza nel ´38.
Un´uscita dal berlusconismo organizzata dal centro-destra non è necessariamente una maledizione, e comunque non è il tracollo di Fini. Domenica il presidente della Camera ha detto a Lucia Annunziata che dopo il voto di fiducia passerà all´opposizione: se le parole non sono vento, la sua battaglia non è finita. Sta per cominciare, per lui e per chiunque a destra voglia emanciparsi dall´anomalia di un boss televisivo divenuto boss politico, ancor oggi sospettato di oscuri investimenti in paradisi fiscali delle Antille. Il successo non è garantito e se si andrà alle elezioni, Berlusconi può perfino arrestare il proprio declino e candidarsi al Colle.
Non è garantita neppure la condotta del Vaticano, che ha pesato non poco in questi giorni, facendo capire che la sua preferenza va a un patto Berlusconi-Casini che isoli Fini, ritenuto troppo laico. A Berlusconi, che manipola i timori della Chiesa e promette addirittura di creare un Partito popolare italiano, Casini ha risposto seccamente, alla Camera: «La Chiesa si serve per convinzione, non per usi strumentali».
Resta che il futuro di una destra civile, laica o confessionale, si sta preparando ora.
È il motivo per cui non è malsano che la battaglia avvenga in un primo tempo dentro la destra. Sono evitati anni di inciuci, che rischiano di logorare la sinistra e non ricostruirebbero l´Italia, la legalità, le istituzioni. Il Pd sarebbe polverizzato, se la successione di Berlusconi fosse finta. Un governo stile Comitato di liberazione nazionale (Cln) sarebbe stato l´ideale, ma tutti avrebbero dovuto interiorizzarlo e l´interiorizzazione non c´è stata. Anche tra il ´43 e il ´44 fu lento il cammino che dai due governi Badoglio condusse prima al riconoscimento del Cln, poi al governo Bonomi, poi nel ´46 all´elezione dell´assemblea che avrebbe scritto la Costituzione.
Oggi non abbiamo alle spalle una guerra perduta, e questo complica le cose. Abbiamo di fronte una guerra d´altro genere – il rischio di uno Stato in bancarotta–e ne capiremo i pericoli solo se ci cadrà addosso. L´impreparazione del governo a un crollo economico e a pesanti misure di rigore diverrebbe palese. Anche la natura dei due regimi è diversa: esplicitamente dittatoriale quello di Mussolini, più insidiosamente autoritario quello di Berlusconi. Il suo potere d´insidia non è diminuito, soprattutto quando nuota nel mare delle campagne elettorali o quando mina le istituzioni. Subito dopo la fiducia, ieri, ha anticipato un giudizio di Napolitano («Il Quirinale vuole un governo solido») come se al Colle ci fosse già lui e non chi parla per conto proprio.
L´opposizione del Pd è a questo punto decisiva, se non allenta la propria tensione e non considera una disfatta la battaglia condotta per un governo vasto di responsabilità istituzionale. Anche se incerte, le due destre d´opposizione sanno che senza la sinistra non saranno in grado di compiere svolte cruciali. Un Termidoro fatto a destra è un vantaggio in ogni circostanza. Se il governo dovesse estendersi a Casini e Fini e riporterà l´equilibrio istituzionale che essi chiedono, la sinistra potrà dire di aver partecipato, con la sua pressione, alla restaurazione della legalità repubblicana. Il giorno del voto, potrà ricordare di aver agito non per ottenere poltrone, ma nell´interesse del Paese. Se la destra antiberlusconiana non si emanciperà, se inghiottirà nuove leggi ad personam, la sinistra potrà dire di aver avuto, sin dall´inizio, ragione. Con la sua costanza, avrà contribuito alla fine al berlusconismo. Potrà influenzare anche la natura, più o meno laica, della destra futura. Potrà prendere le nuove destre d´opposizione alla lettera ed esigere riforme della Rai, pluralismo dell´informazione, autonomia della magistratura, lotta all´evasione fiscale, leggi definitive sul conflitto d´interessi. Per questo il duello parlamentare di questi giorni è stato tutt´altro che ridicolo o provinciale.
I partiti di oggi non hanno la tenacia dei padri costituenti: proprio perché il passaggio è meno epocale, i compiti sono più ardui. Ma non sono diversi, se si pensa allo stato di rovina delle istituzioni. L´unico pericolo è cadere nello scoramento. È farsi ammaliare ancora una volta dal pernicioso pensiero positivo di Berlusconi. Quando le civiltà si cullano in simili illusioni ottimistiche la loro fine è prossima. Lo sapeva Machiavelli, quando scriveva che con i tiranni occorre scegliere: bisogna «o vezzeggiarli o spegnerli; perché si vendicano delle leggieri offese, ma delle gravi non possono». Lo sapeva Isaia, quando diceva dei figli bugiardi che si cullano nell´ozio: «Sono pronti a dire ai veggenti: ‘Non abbiate visioni´ e ai profeti: ‘Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni´».
Il profeta d´illusioni ha vinto solo un turno, nella storia che stiamo vivendo.
La Repubblica 15.12.10
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I “traditori” infiammano Montecitorio, di Alessandra Longo
Rissa per un´offesa alla Polidori. Insulti dal Pdl al presidente della Camera. I leghisti intonano “Va´ pensiero”. Il pd Cuperlo li critica. Risposta: “Taci, faccia di c…”
Sono le 13.45 quando Gianfranco Fini, sconfitto, lascia l´aula di Montecitorio. Ed è il momento in cui tutto il rancore represso si scatena: «Dimettiti! Dimettiti!», urlano quelli del Pdl. E i toni più forti e sguaiati sono degli ex An. Spuntano dai banchi decine di tricolori e la Mussolini corre a metterne uno lassù, dove sedeva il presidente della Camera, quasi a voler disinfettare la postazione. Cantano, con il pallottoliere in mano, l´inno d´Italia e poi corrono fuori, in Transatlantico, per intercettare Fini che passa scortato da un nugolo di commessi. Finiscono il lavoro: «Dimettiti coglionazzo».
E´ il giorno dell´insulto, della rivalsa trucida. Il Pdl si scaglia contro Fini e i leghisti escono a squadre dall´aula, tronfi con le loro cravatte verdi, intonando il Va´ Pensiero. Gianni Cuperlo, Pd, osa criticare. «Faccia di c…», gli dicono. La cifra è questa. Fuori Roma è in preda al caos, blindati, auto bruciate, cariche della polizia, dentro c´è un Parlamento attraversato da rancori profondi.
Il “ripensamento” di Catia Polidori, futurista pentita, incendia l´aula all´ora di pranzo, quando ancora la conta lascia margine al dubbio. «Non voto la sfiducia», annuncia. «Sei una troia», grida il finiano Giorgio Conte, secondo la ricostruzione della deputata Nunzia De Girolamo (più tardi smentita dall´interessato). Parte il tentativo di scazzottamento tra maschi: Granata, Menia, contro un manipolo di leghisti, i commessi in mezzo a separare. Fini, lassù, sempre più pallido, sospende la seduta. Si preannuncia la Via Crucis. Polidori è persa e subito dopo il voto la signora, imprenditrice vicina al Cepu, se ne andrà a raggiungere Berlusconi e i ministri nella sala del governo, accolta come un´eroina. Esulta Maurizio Gasparri. Assiste dal Senato alla diretta e fa subito il gesto del dito medio rivolto al suo ex leader.
Più passano le ore e più il volto di Berlusconi si illumina, si apre la giacca, si rilassa sulla poltrona. Il calciomercato sta funzionando. E nemmeno il coraggioso presenzialismo delle tre quasi partorienti, Giulia Bongiorno, Giulia Cosenza e Federica Mogherini, tutte per la sfiducia, cambia l´evolversi delle cose. Eccole lì, con il pancione, tra tifo e disapprovazione, la Bongiorno addirittura in carrozzella. Tre sì bilanciati da no pesanti come quello di Maria Grazia Siliquini, un´altra donna che abbandona Fini. Siliquini, cui pare sia stato offerto uno strapuntino di governo, si nasconde in un´ultima fila, lontana dagli ex colleghi. Annuncia il suo voto di fiducia. Quelli del Pdl la strapazzano di baci. «Brava, sei grande!». E con altrettanto vigore fischiano il suo personale nemico, il piemontese Roberto Rosso che, invece, ha saltato il fosso passando con Fli.
Non c´è nulla di solenne nel nuovo perimetro della maggioranza. Men che meno il discorso dell´ex dipietrista Domenico Scilipoti che, con gli altri compagni di merenda Cesario e Calearo, si è inventato «un gruppo di responsabilità», promotore di «una scelta dolorosa e rivoluzionaria», quella del cambio di casacca. Pensavano di astenersi e invece, voilà, votano la fiducia al premier, che hanno visto a quattr´occhi. Grande il dispiacere di Dario Franceschini, spilletta portafortuna all´occhiello, invano al lavoro per convertirli.
Giornata di colpi di scena e giravolte. Paolo Guzzanti scarica Berlusconi, dopo averlo incontrato privatamente. Silvano Moffa, anche lui reduce da plurimi incontri ravvicinati, scarica Fini. La colomba Moffa diventa killer, non si fa trovare nemmeno alla seconda chiama. Aveva preannunciato un sì alla sfiducia in cambio della testa di Bocchino ma, alla fine, non vota per niente. Bocchino: pessima giornata, per lui. Interrotto da fischi e buuh, porta stoicamente a fondo il suo attacco contro il premier: «Il traditore sei tu. Mentre noi manifestavamo contro i comunisti, tu costruivi palazzi, beneficiando dei favori della prima Repubblica».
Antonio Gaglione di NoiSud, non si fa vedere. Antonio Razzi, che ha scaricato Di Pietro, si fa vedere eccome e vota con il Pdl. «Venduto!» sibilano dall´opposizione. Sempre più rilassato, Berlusconi va a votare, tra ali di sudditi adoranti, e ignora Fini. Poi sale veloce verso la postazione dell´Udc e cerca per ben due volte di dare uno schiaffetto sulla guancia a Casini, che si sottrae. Fini vede la scena, sorride amaro.
La Repubblica 15.12.10