La violenza, alla fine, è diventata l´unica realtà di una giornata che ha visto manifestare a Roma gli aquilani senza ricostruzione, i napoletani senza diritto alla salute, minacciati da tonnellate di rifiuti, e soprattutto – in decine e decine di migliaia – gli studenti senza futuro, agitati dalla riforma Gelmini. Una rappresentazione dunque del disagio, dell´insicurezza di un Paese che non riesce più a farsi ascoltare, che non trova più alcuna linea di condivisione tra se stesso e chi lo governa; un Paese abbandonato, dimenticato, smarrito nelle nebbie di un illusionismo mediatico che riscrive la realtà reinventandola con una narrazione spettacolare dove l´Aquila è stata già ricostruita.
Napoli è stata già pulita; scuola, università e ricerca sono state già risanate dalle innovazioni del ministro. Il racconto autocelebrativo e bugiardo semina in chi lo subisce – e, subendolo, è ridotto al silenzio – rancore, risentimento, rabbia. Sentimenti che in questi lunghi mesi – per Napoli e L´Aquila, anni – sono rimasti freddi, sotto controllo e non hanno mai prodotto brutalità perché lucida è la consapevolezza che la violenza cancella ogni ragione e ogni possibilità di averne.
Non è stato così ieri, quando la violenza si è fatta assoluta. Come sempre accade quando diventa assoluta, la violenza ha raschiato via gli obiettivi futuri dei movimenti che erano in piazza – le loro speranze, le loro ragioni – e si è fatta padrona della giornata. Ha dominato la situazione nella ellittica spirale dove la violenza della polizia reagisce alla violenza dei dimostranti e c´è posto soltanto per la tensione, la paura, le urla, il fuoco, il ritmo dei colpi, le bastonature.
Che cosa è accaduto? Quel che si sapeva da giorni sarebbe accaduto. Un gruppo di black bloc o anarchici, chiamateli come volete, si sono impossessati della protesta e del “cuore” della Capitale. Con logiche e organizzazione “militari” hanno cercato e ottenuto lo scontro diretto con le forze dell´ordine. Hanno costruito barricate. Hanno sistematicamente bruciato auto, vandalizzato «i simboli del capitalismo» come agenzie bancarie e bancomat e distrutto l´intera area del Tridente – via del Corso, via del Babuino, via di Ripetta – a ridosso dei palazzi della Repubblica, a Monte Citorio la Camera dei Deputati; a Palazzo Madama, il Senato; a Palazzo Chigi, la presidenza del Consiglio; a Palazzo Grazioli, la residenza privata del capo del governo. Con operazioni diversive, che hanno ingannato i “reparti mobili”, sono riusciti a far esplodere tre bombe carta agli Uffici del Vicario, a pochi metri dalla Camera; a minacciare Palazzo Grazioli, a “conquistare” per lungo tempo via del Corso e poi, per più di un´ora, piazza del Popolo.
Come è potuto accadere? E´ quel che il governo dovrebbe spiegare. Si sapeva che il “blocco nero” ci sarebbe stato. Si sapeva che con loro ci sarebbero state frange dei movimenti anarco insurrezionalisti greci e tedeschi, come poi è davvero stato. E allora? Perché si è accettato di subire la loro prepotenza con lo stesso fatalismo con cui si accetta che piova e faccia freddo? Ora naturalmente ci sarà l´intelligence che dirà «l´avevamo detto», le polizie che diranno: «l´allarme era troppo generico e sommario per intervenire». Il risultato non cambia: sotto gli occhi delle forze dell´ordine, un paio di centinaia di “neri” hanno potuto devastare il centro storico di Roma, il “cuore” politico e istituzionale della Capitale e imbruttire movimenti di protesta responsabili che finora hanno fatto leva soprattutto su parole, analisi, ragionevoli argomenti. Soltanto gli irresponsabili corifei del Sovrano possono sovrapporre le violenze dei black bloc al voto di fiducia. Soltanto un Gasparri può vedere nelle «violenze di piazza, la conseguenza della predicazione violenta di troppi apprendisti stregoni». Quale predicazione violenta? Quella paziente e pacata degli aquilani? Quella ostinata e mite degli studenti e dei ricercatori universitari che, con la più violenta delle scelte, salgono su un tetto per «farsi vedere»? La verità è che nel governo, nella maggioranza c´è chi valuta come un´occasione politica – non disprezzabile con i tempi che corrono – il ritorno a una stagione di violenza. Consente di invocare «repressione», come fa Sacconi, ancor prima di comprendere e giudicare. Permette di inaugurare una nuova emergenza e ancora uno “stato d´eccezione”. Soprattutto concede di nascondere, tra i fumi delle auto bruciate e le grida contro il “nuovo terrorismo”, il fallimento di un governo incapace di dare risposte a un´Italia sofferente e fragile. E´ quella che ieri, con Roma, ha pagato il maggior prezzo a tre ore di violenza annunciata.
La Repubblica 15.12.10