L´anticipazione/Un brano del libro della studiosa dedicato alle discipline umanistiche. “I Paesi dovrebbero pensare a formare le persone senza occuparsi solo del profitto”. Negli esseri umani c´è un senso di incompletezza che porta spesso ad una instabilità. Le nazioni devono battersi per aiutare i cittadini ad avere il senso della democrazia. «Se continua così, le nazioni di tutto il mondo produrranno presto generazioni di macchine utili, docili, tecnicamente perfezionate, piuttosto che cittadini completi che possono pensare da soli, criticare la tradizione e comprendere il significato delle sofferenze di un´altra persona». È la tesi di nel suo Not for Profit, pubblicato da Princeton University (in Italia uscirà per il Mulino) e di cui anticipiamo un brano. È un messaggio appassionato in risposta alla crisi globale del sistema d´istruzione. Per le difficoltà finanziarie i Paesi concentrano le loro risorse verso attività che possano contribuire allo sviluppo economico. Perdono quota le discipline umanistiche per far posto a quelle scientifiche e tecniche. Ma l´accrescimento del Pil costa in termini di democrazia. La Nussbaum, cattedra di Diritto ed etica a Chicago, sottolinea come le discipline umanistiche possano creare nei giovani il rispetto per gli altri.
In che modo gli esseri umani diventano capaci di rispettare il prossimo e la democrazia? Che cosa, invece, li induce a cercare di prevalere? Per rispondere a queste domande, dobbiamo portare più a fondo lo “scontro di civiltà”, e cercare di comprendere le forze che in ogni individuo si attivano pro e contro il rispetto dell´altro (…).
Gli esseri umani nascono, del tutto privi di difese, in un mondo che non hanno creato e di cui non hanno il controllo. Tra le prime esperienze di un neonato c´è l´alternarsi di una beata sensazione di pienezza, durante la quale il mondo intero pare ruotare attorno al soddisfacimento delle sue esigenze – come nel ventre materno –, e un´agonizzante consapevolezza di assoluta impotenza quando le cose positive non arrivano al momento voluto e il neonato non può fare proprio nulla per procurarsele. Gli esseri umani hanno dunque un livello di inadeguatezza fisica assoluta, per altro estranea al resto del mondo animale, abbinata però a un altissimo livello di logica cognitiva. (Ormai sappiamo per certo, per esempio, che un neonato di una settimana riesce a distinguere l´odore del latte materno da quello del latte di un´altra madre). Per comprendere in che cosa consista questo “conflitto interiore” è necessario riflettere su questa strana enunciazione sui generis: l´abbinamento così strano e peculiare dell´essere umano di impotenza e competenza; il nostro problematico rapporto con la sensazione di impotenza, con la mortalità, con i limiti del nostro essere; il nostro persistente desiderio di trascendere le condizioni che implicano sofferenza e risultano difficili da accettare per un essere pensante. A mano a mano che i neonati crescono, diventano sempre più consapevoli di ciò che accade loro, ma continuano a non poter fare nulla di concreto in relazione a ciò. All´aspettativa di essere accuditi di continuo – quella “onnipotenza infantile” colta così bene dall´espressione di Freud “sua Maestà il bambino” – si aggiungono l´ansia e la vergogna di sapere che di fatto non si è onnipotenti, ma del tutto impotenti. Da questa ansia e da questa vergogna scaturisce un impellente desiderio di completezza, di pienezza, che non ci abbandona mai del tutto, a prescindere da quanto un bambino apprenda e capisca di essere soltanto un´infinitesima parte di un intero mondo di esseri che hanno dei limiti e dei bisogni da soddisfare. Questo desiderio di trascendere la vergogna per la propria incompletezza porta a una forte instabilità e a un rischio morale (…).
Ho parlato della vergogna dei bambini per la loro impotenza, la loro incapacità di raggiungere quella beata sensazione di completezza che in alcuni momenti sono portati ad attendersi. Questa vergogna, che potremmo definire “vergogna primitiva”, va subito a confluire e unirsi con un´altra emozione molto forte: il disgusto nei confronti dei prodotti di scarto del proprio corpo. Disgusto che, al pari della maggior parte delle emozioni, ha un presupposto evolutivo innato, ma che si evolve altresì con l´apprendimento, e compare soltanto in coincidenza del periodo in cui si elimina il pannolino e si impara a utilizzare il gabinetto, quando le capacità cognitive del bambino sono sufficientemente mature. La società, pertanto, ha un notevole spazio per influenzare la direzione che l´individuo può imboccare. Le recenti ricerche sulla sensazione di disgusto dimostrano che esso non è qualcosa di meramente viscerale, ma ha una forte componente cognitiva, che comprende le idee di contaminazione o di profanazione (…).
Un modo molto efficace per prendere le distanze in maniera netta dalla propria animalità consiste nel proiettare le proprietà dell´animalità stessa – cattivo odore, trasudazione corporea, viscidità – su un gruppo di persone, per trattarle poi alla stregua di elementi di contaminazione o di profanazione, e trasformarle in una sottospecie, in un gruppo definito, in una zona cuscinetto interposta per così dire tra l´individuo ansioso e i temuti e stigmatizzati attributi dell´animalità (…).
Nel frattempo, i bambini apprendono dalle società degli adulti che li circondano, e che di solito orientano questa “proiezione del disgusto” verso uno o più gruppi reali di persone considerate inferiori – gli afroamericani, gli ebrei, le donne, gli omosessuali, i poveri, le classi inferiori nella gerarchia indiana delle caste. Di fatto, questi gruppi fungono da “altro” animale, e proprio escludendo tale gruppo gli individui privilegiati riescono a definirsi superiori a esso, perfino trascendenti. Una manifestazione assai comune di disgusto proiettivo è evitare ogni contatto corporeo con i membri di un gruppo ritenuto inferiore, e addirittura evitare ogni contatto con gli oggetti che i membri di tale gruppo possono aver toccato. Il disgusto, come sottolineano le ricerche psicologiche, è carico di pensiero magico irrazionale. Non stupisce che le idee di contaminazione siano sempre presenti nel razzismo e in altre forme di subordinazione di un gruppo (…).
Così se una nazione vuole promuovere una sorta di democrazia umana, fatta di individui sensibili, capace di dare le opportunità migliori per “la vita, la libertà e il raggiungimento della felicità” ad ogni individuo, quali competenze dovrà sviluppare nei propri cittadini? Ecco le principali:
1) La capacità di riflettere bene sulle questioni politiche che riguardano la nazione per saper esaminare, ponderare, argomentare e dibattere, senza mai sottomettersi e cedere né alle tradizioni né a un´autorità superiore.
2) La capacità di riconoscere i propri concittadini come individui aventi i medesimi diritti, anche se sono diversi per razza, religione, genere e orientamento sessuale; di considerarli con rispetto, come fine e non come mezzo da manipolare per il proprio tornaconto personale.
3) La capacità di preoccuparsi e avere a cuore la vita altrui, di comprendere che cosa implicano alcune politiche ai fini delle opportunità e delle esperienze offerte ai propri concittadini, diversi per vari aspetti, e per le persone che vivono fuori dalla propria nazione.
4) La capacità di immaginare tutta una molteplicità di questioni complesse che possono avere un´influenza sulla storia della vita umana nel suo svolgersi; di pensare all´infanzia, all´adolescenza, ai rapporti famigliari, alla malattia, alla morte e a molto altro ancora in modo informato e illuminato dalla comprensione di una vasta gamma di storie umane, non soltanto da semplici informazioni aggregate.
5) La capacità di giudicare criticamente i propri leader politici, ma sempre tenendo realisticamente conto, in modo informato, delle possibilità disponibili.
6) La capacità di pensare al bene della nazione come a un tutt´uno, non come a quello del proprio gruppo locale di appartenenza.
7) La capacità di vedere la propria nazione, al contrario, come un elemento di un ordine mondiale complesso, nel quale problemi di vario genere e natura per essere risolti esigono un´intelligente deliberazione transnazionale.
© Princeton University Press
(Traduzione di Anna Bissanti)
La Repubblica 10.12.10