Manca ormai poco: domani il Pd sarà in piazza con “l’Italia che vuole cambiare”, poi martedì alla camera si voterà sulle mozioni di sfiducia al governo Berlusconi.
La piazza e il palazzo idealmente si uniranno per dire che questo governo se ne deve andare. Le voci di corridoio, le vere o presunte informazioni sui deputati in vendita, le polemiche e gli insulti del premier verso i traditori o i maneggioni (quando non verso il capo dello stato) sono stati il refrain di questa oscura settimana, in cui si è voluto impedire all’aula di Montecitorio di lavorare per evitare di rendere ogni giorno più evidente la crisi della maggioranza.
Fino al voto di martedì ogni previsione è fatua. È invece possibile fare un ragionamento politico sui diversi scenari. Primo scenario: Berlusconi prende la fiducia alla camera (oltre che al senato). Se non sarà stato frutto di un ripensamento di Fli il premier otterrebbe una fiducia risicata e frutto di pure casualità. Quanto a lungo potrà resistere un governo appeso a qualche voto? Ecco perché appaiono patetici i tentativi di acquistare qualche deputato. Galleggiare è il contrario di governare e non è nell’interesse del paese. Se invece Fini dovesse capitolare e accettare di rientrare in un governo in tutto simile a quello in carica saremmo di fronte ad un fatto clamoroso quanto incomprensibile del quale sempre il paese pagherebbe il prezzo e che richiederebbe da parte nostra una mobilitazione ancora più decisa.
Secondo scenario: le opposizioni compatte insieme a Fli, votano la sfiducia alla camera, Berlusconi si dimette e si reca al Quirinale. Da quel momento in poi sarà Napolitano a verificare se e a quali condizioni esiste, in entrambi i rami del parlamento, una maggioranza in grado di governare. Casini e Fini in questi giorni hanno detto più volte di essere pronti a sostenere un “nuovo centrodestra”, senza Berlusconi premier il primo, perfino un Berlusconi bis il secondo purché dopo le dimissioni. Ipotesi che ben si prestano ad allontanare la polemica sul “ribaltone” ma che sarebbero assolutamente inadeguate ad aprire davvero una fase nuova. Il paese attraversa, insieme al resto d’Europa, una crisi finanziaria, economica e sociale mai vissuta dalla Seconda guerra mondiale a oggi.
Pensare che un centrodestra allargato all’Udc, con o senza Berlusconi (che pure è stato sin qui un ostacolo ingombrante per il suo stesso governo), sia più capace di fare le riforme necessarie – in termini di risanamento e di politiche per la crescita – per affrontare le conseguenze della crisi è una mera illusione. Serve una netta discontinuità. Comunque sia, non sembra che la strada di un nuovo centrodestra, se essa dovesse passare per un passo indietro del presidente Berlusconi, sia davvero percorribile.
Un’altra ipotesi è che tra le forze che siedono in parlamento si configuri una maggioranza diversa, che coinvolga anche le opposizioni, in grado di sostenere un governo di responsabilità che realizzi un programma limitato ad alcune riforme economiche e sociali e approvi una nuova legge elettorale.
Sarebbe auspicabile e necessario che a guidare un tale esecutivo si chiamasse una grande personalità, come fu ai tempi della crisi del ‘92/93 con il presidente Ciampi. Il Pd non potrebbe e non dovrebbe sottrarsi, se davvero si creassero le condizioni per una soluzione di transizione di questo genere. Per il bene comune, per quell’interesse generale che sembra uscito dall’agenda della politica in nome della ricerca del consenso giorno per giorno, delle scelte fatte sulla base dei sondaggi istantanei. Le nuove regole della governance dei bilanci che si stanno decidendo in Europa imporranno all’Italia scelte dure e noi dovremmo spenderci per sostenere i meno garantiti, il mondo dei produttori, le famiglie, per un nuovo patto sociale che metta al centro, dentro una stagione di rigore, la crescita e l’eguaglianza delle opportunità.
Se il governo non avrà la fiducia dovremo d’altro canto fronteggiare una campagna violenta, la richiesta del voto come unica soluzione democraticamente accettabile. Il «me ne frego» di Verdini di qualche giorno è soltanto l’antipasto di quello che può accadere. Berlusconi è un leader al tramonto ma non si arrende, reagirà usando ogni strumento, ogni colpo, sopra e sotto la cintola. Anche per arginare i rischi di un’emergenza democratica è giusto lavorare per un governo di responsabilità che s’impegni per una nuova legge elettorale e per allontanare il rischio di un voto anticipato in un momento così drammatico della crisi finanziaria in Europa. Stabilità, crescita, responsabilità, giustizia sociale dovrebbero essere la bussola della discussione politico-istituzionale dopo il 14 dicembre. Senza dimenticare neppure per un momento i milioni di persone che si aspettano da noi una proposta per affrontare insieme le sfide del tempo presente e per costruire il futuro.
da Europa quotidiano 10.12.10