Intervento dell’On. Manuela Ghizzoni in Aula durante la discussione alla Camera la legge di conversione del DL 180 su università, ricerca e diritto allo studio
“Signor Presidente, sottosegretario Pizza, onorevole relatore, colleghi,
per la seconda volta, in quest’Aula, discutiamo su provvedimenti di politica universitaria e – voglio sottolinearlo – per la seconda volta, il vettore normativo è quello della decretazione d’urgenza. Si tratta dell’ennesimo decreto-legge (personalmente ne ho perso il conto): non mi preoccupa tanto e solo il dato statistico, quanto piuttosto lo stato di salute della nostra democrazia. Dall’avvio della legislatura, infatti, l’attività del Parlamento è stata quasi totalmente dedicata alla conversione in legge di decreti-legge, poiché è convinzione palesata dell’esecutivo, che la discussione parlamentare sia poco più di un intralcio al proprio mandato. Appare chiaro a tutti, allora, il significato che il Governo Berlusconi attribuisce alle prerogative del Parlamento e al potere legislativo: discutere e confrontarsi nel merito delle questioni con l’opposizione, all’interno della stessa maggioranza, sono per questo esecutivo orpelli. Lo dico, naturalmente, con profondo rammarico.
Durante la conversione in legge del cosiddetto decreto Gelmini, il Presidente della Camera, onorevole Fini, aveva pronunciato parole importanti, che convinsero l’esecutivo – lo ricorderete, colleghi – a non porre la questione di fiducia sulla legge finanziaria. Ci auguriamo che la resipiscenza del Governo non si sia esaurita in quell’occasione. Signor Presidente, avevamo avuto la speranza, dopo la presentazione delle linee guida sull’università presentate dal Ministro Gelmini, preceduta dal decalogo programmatico del Partito Democratico cresciuto sull’idea di un approccio organico e strategico alla crisi universitaria, che un segnale in questo senso, al fine di ridare dignità a questa istituzione e sostanza alla democrazia, potesse avvenire proprio sulla politica universitaria. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema nazionale universitario richieda cambiamenti, anche profondi, che possono avere, però, il respiro necessario solo con il concorso di proposte e soluzioni provenienti da tutte le forze parlamentari, anche per evitare il fallimento delle solite “norme tampone”, prive del respiro di un disegno di legge. Invece, ci troviamo a discutere, ancora una volta, di un decreto-legge, che è chiuso al contributo parlamentare.
Tutto questo accade mentre la signora Ministro continua a rilasciare dichiarazioni sulla necessità di dialogo e di confronto. Signor Presidente, il dialogo, però, si costruisce sui contenuti e sulle azioni concrete, atte a creare le condizioni che permettano di confrontarsi nel merito delle questioni e non si compone sulle intenzioni annunciate sempre e solo mezzo stampa, perché la signora Ministro è spesso assente dalle sedi parlamentari, come lo è anche stasera. Davanti alla sordità del Governo, ci siamo appellati alla dignità dei deputati di maggioranza, componenti della VII Commissione, per non trovarci di fronte all’ennesimo testo blindato e per espungere l’eventualità che le nostre modifiche migliorative fossero tutte rigettate. Ciò anche a fronte di un malcelato disagio – signor Presidente, uso un eufemismo – di molti colleghi della maggioranza: qualcuno, per la verità, non ha usato mezzi termini e, con sincerità, ha affermato che il testo è scritto “con i piedi” (cito a memoria, ma credo correttamente); la senatrice Poli Bortone, inoltre, ha espresso “imbarazzo per la redazione del testo, frutto, a suo giudizio, di modalità eccessivamente burocratiche e di stesura che non facilitano la comprensione delle norme”.
Nonostante tutto ciò, l’ordine di scuderia di non emendare il testo è stato rispettato (almeno in Commissione, vedremo durante la discussione in Aula) e non perché il testo sia perfetto nella sua redazione attuale, anzi è vero il contrario. Oltre alle perplessità espresse dalla maggioranza (ne ho citati alcuni casi), potrei citare – non ne ho il tempo, ma invito i colleghi a prenderne visione – sia i rilievi del Servizio studi, sia quelli del Comitato per la legislazione. Come dicevo, il testo resta intoccabile, perché i molti decreti-legge che attendono la conversione in legge, la scadenza ormai vicina del decreto-legge in parola e la prossima sospensione dei lavori per la pausa natalizia, impediscono, di fatto, di calendarizzare una terza lettura del Senato.
Hanno capito bene i cittadini che ci stanno ascoltando o che leggeranno i resoconti della seduta: la Camera sta per approvare in via definitiva un testo imperfetto e modesto nei contenuti, come cercherò di dimostrare – lo hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduta – per il solo motivo che Natale è alle porte e il Governo non ha neanche saputo dare un’adeguata cadenza ai molti decreti, creando un vero e proprio ingorgo nei lavori parlamentari, che prevedono anche l’approvazione della legge finanziaria. Per di più voglio ricordare a questa Assemblea i tempi assai compressi – ne converranno i colleghi – e assolutamente inadeguati per l’esame in Commissione del decreto-legge in oggetto. In considerazione di quanto espresso in premessa è chiaro che il nostro lavoro e il nostro impegno assumono sempre più il connotato di un voto rituale. Come dicevo all’inizio, lo stato di salute della nostra democrazia deve preoccupare tutti noi.
Relativamente all’altro ramo del Parlamento, il Senato, che ha già esaminato in prima lettura il decreto-legge in oggetto, voglio ricordare (colgo l’occasione soprattutto per chiarirlo) che purtroppo, dico purtroppo, nessun accordo tra maggioranza e opposizione è avvenuto in quel ramo del Parlamento sul testo in parola. Ciò a meno che non si confonda lo spirito di condivisione con l’approvazione di alcuni sparuti emendamenti dell’opposizione, prevalentemente di contenuto formale. Spiace molto che ad accreditare la tesi del presunto accordo si sia prestata la Presidente della Commissione, al fine però, va detto, di convincere i componenti della sua stessa maggioranza sulla necessità di una blindatura del testo giunto dal Senato.
Cito questo episodio con rammarico e con rincrescimento, soprattutto nei confronti della smania di fare da soli, esplicitata dall’esecutivo e dalla maggioranza, su una questione che è strategica e che avrebbe meritato tutta l’attenzione possibile anche per le nostre proposte migliorative. Infatti, un Governo responsabile e realmente intenzionato a dare futuro e migliorare un settore fondamentale qual è il sistema universitario, non dà sfoggio di autoreferenzialità, non si chiude a riccio nella convinzione di possedere tutte le soluzioni miracolose a problemi annosi ma si pone nella condizione di ascolto e confronto con tutte le componenti dell’università, le parti sociali e con le forze politiche dell’opposizione: questo non è accaduto.
Entro nel merito del provvedimento non prima di avere allertato i colleghi riguardo alla strumentale quanto superficiale campagna giornalistica di denigrazione dell’università; lo ha fatto anche il collega Valditara al Senato. Nessuno nega le degenerazioni, ma non possono essere prese a pretesto per diffamare l’intero sistema, le cui indiscutibili eccellenze troppo spesso vengono dimenticate. Siamo di fronte ad uno stereotipo che non rappresenta l’intero sistema universitario italiano. Eppure gli stereotipi fanno presa sull’opinione pubblica e la diffusione di un senso comune che oggi associa all’università solo termini come fannulloni, clientelismo, nepotismo, spreco e dissesto finanziario aiuta a sostenere, presso quella stessa opinione pubblica, gli interventi di tagli pesantissimi inferti con il decreto-legge n. 93 del 2008, cosiddetto “taglia-ICI” e con la legge n. 133 del 2008. Ancora, mi chiedo: a fronte di un attacco alla credibilità dell’università e alla sua funzionalità, a seguito dei tagli che ho appena richiamato, come si inquadra l’autorizzazione concessa al Senato per avviare una Commissione di indagine relativa ai bilanci e agli sprechi dell’università? Si tratta di un’indagine che sembra prestare una sorta di “destro tecnico” ai tagli inferti dalla legge n. 133 del 2008 e dal decreto-legge n. 93 del 2008 che, al netto del decreto-legge in discussione, esercita un taglio di ben un miliardo e 287 milioni del Fondo di finanziamento ordinario, come ha ricordato il collega Mazzarella. Si tratta di un fondo che nessuno si dà la pena di dire che è stato negli anni definanziato, a fronte di spese fisse e obbligatorie come quelle di personale, in costante aumento.
A questo punto mi faccia ricordare, signor Presidente, anche che la spesa annua per studenti universitari in Italia è pari a 8026 dollari e al di sotto della media dei paesi OCSE che è di 11 mila 521 dollari. Per coloro che contestano il dato, dal momento che il nostro Paese non distingue tra studenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale, dico di leggere attentamente le indicazioni dell’OCSE che sostengono quanto segue: “L’effetto di studenti a tempo pieno e parziale si compensa dal momento che contarli complessivamente conduce ad una sottostima delle spese annuali e una sovrastima della durata degli studi”. Anche se noi prendessimo questo dato – cioè quello della spesa per la durata complessiva degli studi, definita “spesa cumulativa” – avremmo un risultato pari a 41 mila 285 dollari per studente italiano, che è ancora al di sotto la media OCSE, che è di 47 mila 159 dollari. Siamo superati da ben dodici paesi e tra questi Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna.
Rammarica, poi, che a diffondere dati non rispondenti alla realtà e che hanno l’aggravante di screditare il sistema universitario siano istituzioni deputate alla valutazione del sistema stesso. Mi riferisco ai dati rimbalzati nelle pagine dei giornali ed ai telegiornali dei numerosi corsi con zero matricole. Una banale verifica dalla banca dati del MIUR avrebbe dimostrato che tali corsi, almeno la stragrande maggioranza di essi, sono disattivati da anni e pertanto ovviamente privi di studenti. Una cosa certo più utile nella quale, invece, impegnarci – e in primis dovrebbe farlo il Governo – potrebbe essere unificare finalmente le attuali tre banche dati e cioè quella del CNVSU, quella del CINECA e quella del MIUR che, paradossalmente, contengono dati discordanti fra di loro, in un’unica banca dati da utilizzare come strumento utile a conoscere lo stato del sistema universitario, magari cercando di esimersi dall’impiegare dati solo per polemica politica o giornalistica.
Vengo al merito solo di alcune questioni contenute nel provvedimento, che al Senato si è arricchito, lo diceva anche il collega Caldoro, di diverse materie diventando un piccolo provvedimento omnibus sull’università nello stile di questo Governo.
Il decreto n. 180 del 2008 è all’altezza delle aspettative? Io non credo. Il senatore Valditara, al Senato, ha affermato che i mali dell’università discendono dall’assenza di una visione culturale, di un quadro strategico ossia dal fatto che, da una generazione almeno, le riforme sono state effettuate troppo spesso sotto la spinta dell’emergenza. Stupisce, però, di fronte a una tale lucidità di analisi, l’attribuzione del senatore a questo decreto-legge, a questo piccolo provvedimento omnibus, di un respiro riformatore in grado di risanare e rilanciare il sistema universitario attraverso i principi di responsabilità, trasparenza e merito, addirittura – sono sempre parole del senatore Valditara – di fargli raggiungere due grandi finalità: la promozione sociale degli studenti attraverso una formazione adeguata e l’innovazione del sistema produttivo. Peccato che nel decreto in parola non si parli della formazione degli studenti e che male si accordino, con l’evocato trasferimento tecnologico, i limiti al credito di imposta per investimenti e ricerche inseriti nel decreto cosiddetto anti crisi ora all’esame della Commissione V Bilancio.
Vede signor Presidente non nego che il provvedimento governativo abbia qualche norma condivisibile almeno negli obiettivi, ma è altrettanto certo che non risolverà veramente nessun problema del sistema universitario italiano, anzi rischia di complicarlo perché propone l’ennesimo intervento tampone mentre gli insopportabili tagli finanziari del 2010 incombono già all’orizzonte. E non sono solo numeri nel bilancio, come ha sostenuto la signora Ministra, si tratta di un preciso indirizzo politico al momento confermato che disattende l’impegno assunto dall’Italia, nell’ambito degli obiettivi di Lisbona, di stanziare entro 2011 il 3 per cento del PIL per la ricerca e che appare ancora più grave e inadeguato in una situazione di forte difficoltà del sistema produttivo economico e finanziario, situazione che richiederebbe, invece, interventi coraggiosi in direzione della valorizzazione della ricerca e della alta formazione come sta avvenendo in altri Paesi. Sono parole del CUN che ho preso in prestito e che credo dovrebbero trovare ascolto nell’esecutivo.
Dal testo del decreto-legge emerge la mancanza di una riflessione accurata e si intravede la necessità politica di approvare un provvedimento urgente indipendentemente dal contenuto normativo.
Mi faccia fare un esempio, signor Presidente: l’incremento del fondo per le borse di studio per le residenze universitarie. Che bisogno c’è di inserire questa norma in un decreto-legge se contemporaneamente è ancora aperta la sessione di bilancio? Me lo dovrete spiegare alla fine di questa discussione! Pertanto sarebbe stato più facile, conveniente e corretto mettere le risorse aggiuntive (in parte compensative dei tagli attuati dalla stessa manovra finanziaria quindi si tratta di un più 50 milioni di euro per le residenze e di un più 95 milioni di euro per le borse di studio) nei capitoli appositi nella tabella 7 che è stata all’attenzione anche della nostra Commissione. Mi rendo conto che secondo questa strada i giornali non avrebbero dato, però, la stessa analoga risonanza al provvedimento e so quanto questo esecutivo sia attento alla comunicazione al punto da torcere, però, la prassi parlamentare. Ad ogni modo sarebbe, forse, utile anche per i cittadini che ci stanno ascoltando, sapere perché i nostri emendamenti, che sono stati bocciati quando parlammo della manovra finanziaria e che avevano lo stesso tenore, siano stati respinti proprio mentre il Ministro si apprestava a varare un provvedimento analogo. O i vostri tempi di reazione sono così lenti – e ce ne rammarichiamo, soprattutto per le sorti del Paese, scusatemi la battuta – oppure vi è un pregiudizio e un’ostilità per tutto ciò che viene proposto dal PD e allora analogamente me ne dispiaccio soprattutto per le conseguenze a danno del Paese.
Apprezziamo comunque il ripristino di questi fondi – come dicevo – dopo il taglio operato dal disegno di legge finanziaria peraltro ancora in discussione al Senato (attenzione!), quindi si tratta addirittura di retromarcia preventiva. Resta però il problema che l’aumento di tali fondi è solo per un anno (poi ci tornerò quando illustreremo gli emendamenti) ed è molto discutibile la copertura finanziaria attraverso il FAS, cioè il fondo per le aree sottoutilizzate, che sottrae risorse soprattutto alle regioni meridionali e, soprattutto, dequalifica – qui chiedo attenzione tecnicamente al bilancio – trasformando poste per spese infrastrutturali in poste per spese correnti, limitando moltissimo anche le capacità del Paese di accedere ai cofinanziamenti comunitari. Infatti, ogni spesa infrastrutturale che diventa corrente, deve essere moltiplicata per tre e, quindi, fa perdere il doppio come “tiraggio” comunitario.
Il comma dell’articolo 1 relativo al blocco del turn over rappresenta una clamorosa e positiva marcia indietro, rispetto alla norma del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedeva un pesantissimo e sostanziale blocco delle assunzioni pari all’80 per cento del turn over, sia in termini finanziari che di persone. Quella di luglio era una decisione ingiusta e dannosa, che avrebbe comportato un salasso enorme di personale docente e, soprattutto, la chiusura – lo dicemmo allora – quasi completa dell’università ai ricercatori precari. Ora si torna indietro, anche se ovviamente non completamente, e il Governo del fare sembra sempre più il Governo del disfare, del gambero. Le assunzioni possono avvenire entro la metà del finanziamento reso disponibile dalle cessazioni. Si poteva però fare di più, anche se la retromarcia è evidente, cioè si poteva – dato il contesto attuale – escludere completamente le università dal blocco del turn over, lasciando che scattassero solo i meccanismi di controllo finanziario già esistenti, cioè quelli che dovrebbero scattare quando l’ateneo supera il 90 per cento del Fondo di funzionamento ordinario per le spese di personale.
È positivo che si escludano dal computo delle assunzioni quelle relative al reclutamento straordinario dei ricercatori: le cosiddette quote Mussi, cioè quelle cofinanziate dagli atenei, che avevamo previsto per il triennio 2007-2009 nella prima legge finanziaria del Governo Prodi. Sarò forse pedante, signor Presidente, mi perdoni, ma non posso tacere il fatto che un emendamento di analogo tenore era stato presentato dal Partito Democratico in sede di conversione del decreto legge n. 112 del 2008 e, rispetto alla bocciatura sonora raccolta allora dall’emendamento, ora il Governo è sceso a più miti consigli e ce ne compiacciamo. Del resto non si può pensare di realizzare un opportuno reclutamento straordinario di giovani e, contemporaneamente, quello si blocca entro la morsa delle limitazione del turn over. Inoltre, valutiamo molto negativamente, invece, che la quota destinata al reclutamento dei ricercatori (cioè il 60 per cento del 50 per cento) sia disponibile anche per l’assunzione a tempo determinato dei cosiddetti contrattisti introdotti dalla legge Moratti. Si tratta di un ennesimo colpo di mano contro la stabilizzazione dei giovani ricercatori. Non svolgo ulteriormente questo punto perché mi riservo di farlo in sede illustrazione degli emendamenti, ma ritengo necessario che questo problema abbia onore di tribuna nella nostra discussione.
Vengo al tema delle università con spese eccessive, cioè con le spese di personale superiori al 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario: le cosiddette università non virtuose. Per queste si varano norme draconiane: blocco immediato e totale di tutte le assunzioni di tutti i bandi di concorso ad esclusione dell’assegnazione di posti di ricercatore del reclutamento straordinario di cui ho parlato prima. Non vi è dubbio che alcune università abbiano lasciato correre senza eccessivo controllo le spese di personale, ma è anche vero che per alcune era impossibile evitarlo, perché gli stipendi aumentano per legge e contratti nazionali, il fondo di finanziamento ordinario rimane costante o addirittura diminuisce. Del resto voglio anche segnalare l’uso strumentale e mediatico che si è fatto – se ne è parlato anche qui questa sera – del superamento di questa soglia per le spese di personale, quasi che fosse sempre e comunque un segno di cattiva amministrazione o, peggio ancora, di bassa qualità scientifica e didattica. Non vi è in realtà alcun legame tra la qualità di un’università e la quota di spesa per il personale, anzi è evidente che un’università di grande tradizione e qualità tenda ad avere un personale docente di età media più alta e quindi a pagare di più in termini totali ogni aumento percentuale degli stipendi voluto dallo Stato.
È comunque necessario, certo, dare un segno per il controllo dei bilanci delle università. Mi chiedo però perché non abbiano funzionato le sanzioni già esistenti che discendono dalla legge finanziaria del 1998 e che consistono nella limitazione del 65 per cento del turn over. Il Ministero ha mai controllato effettivamente il rispetto di questa norma? Forse, se lo avesse fatto, almeno negli ultimi dieci anni, non sarebbe stato necessario ricorrere a norme draconiane come quelle in questione, che fatalmente lasciano spazio a dubbi e ingiustizie. Ad esempio, come si fa con le università che hanno i bilanci in rosso? È un fatto ben più grave rispetto a quelle che hanno un eccesso di spese per il personale ma hanno il bilancio in pareggio o in attivo o quelle che superano il tetto del 20 per cento per le tasse universitarie. Lo stesso senatore Valditara ha ammesso che il blocco dei concorsi per l’università che abbiano sforato la soglia del 90 per cento è una misura che solo apparentemente esaudisce un desiderio di virtù; pertanto ha auspicato – lo cito – altri parametri che consentano un’effettiva valorizzazione delle eccellenze. Purtroppo gli auspici sono rimasti tali.
Meno male che durante la conversione al Senato si sono sbloccate le assunzioni dei vincitori di concorsi banditi legittimamente e già svolti regolarmente nel 2008. In verità, per completare l’opera occorrerebbe ora sbloccare anche le assunzioni del personale tecnico-amministrativo che si trova nella stessa situazione e che non si capisce perché debba sopportare tale onere.
Frettolosa e iniqua appare poi anche la norma sull’esclusione della ripartizione dei posti di ricercatore, le cosiddette quote-Mussi, delle università che superano il 90 per cento. Gli incolpevoli ricercatori precari, la cui qualità scientifica e didattica nulla ha a che vedere con il superamento del limite suddetto, pagano le conseguenze di un’amministrazione non oculata. Insomma, pur condividendo che occorresse un segnale netto alle università, quello individuato appare davvero brutale e dannoso per il futuro delle stesse università.
Da ultimo non si può non ricordare che la retromarcia governativa dà certo qualche ossigeno ai bilanci falcidiati delle università, ma rimane assolutamente intoccato il vero taglio mortale, quello inferto dal decreto-legge n. 93, il decreto ICI, a partire dal 2010. Non possiamo non dire per l’ennesima volta, nella speranza di essere ascoltati, che quella diminuzione di 474 milioni di euro del fondo di finanziamento ordinario, pari al 6 per cento del totale, in realtà incide per ben il 46 per cento sulle spese di funzionamento degli atenei, vista l’incomprimibilità degli oneri stipendiali. Un taglio di questa portata è solo la cronaca di una morte annunciata di tutti gli atenei, anche di quelli che adesso vengono considerati virtuosi. Il presidente della CRUI, il professore Decleva, ha affermato a proposito del decreto n. 180: “è un primo provvedimento di apertura che però, se non sostenuto da altre iniziativa che modifichino i tagli dei trasferimenti nel 2010, sarà irrilevante”. Ascolterete almeno il professor Decleva?
Da segnalare anche l’ennesimo parametro numerico sulle nuove assunzioni: almeno il 60 per cento dei fondi disponibili da destinare a nuovi posti di ricercatore e non più del 10 per cento a promozioni. Si tratta dell’ennesima percentuale che va rispettata – ma io mi chiedo poi chi la controllerà in effetti – che ingessa e soprattutto (questo è dirimente) deresponsabilizza le università e che complica all’inverosimile ogni reale politica di bilancio. Dobbiamo davvero cambiare rotta, smettere di intervenire ex ante ma prevedere politiche ex post.
Mi soffermo brevemente sulle norme per i concorsi. Non vi è alcun dubbio che il sistema concorsuale universitario sia nell’occhio della ciclone, forse anche ben oltre le effettive disfunzioni. Nell’opinione pubblica nepotismo, localismo, lobbismo la fanno da padrone. In realtà non è affatto vero sempre e dappertutto; vi sono decine e decine di commissioni giudicatrici che hanno lavorato molto onestamente svolgendo un compito, quello di valutare i curricula di candidati a posti universitari, che è di per sé complesso e sempre largamente opinabile. Infatti non esistono, se non nelle semplificazioni comunicative, metodi infallibili, oggettivi e automatici per individuare il migliore dei candidati. Tuttavia, occorre riconoscere che in non pochi casi, invece, le commissioni hanno lavorato in modo assai discutibile, al coperto di norme poco efficaci, con ciò assestando un colpo micidiale alla credibilità dell’intero sistema universitario. E’ quindi necessario, certo, intervenire sulla materia, ma bisogna farlo in modo organico e nell’ottica di determinare un sistema di università – lo voglio dire con fermezza – autonome e responsabili. Il presente decreto-legge in esame, non raggiunge, però, l’obiettivo.
Mi soffermo, inoltre, sulla formazione delle commissioni che da valutative divengono aleatorie, cioè sono parzialmente sorteggiate, per così dire. Il sorteggio è certamente un metodo meno facilmente collusivo dell’elezione, ma non è il sorteggio il metodo migliore, come non lo è il metodo elettivo: sia l’elezione sia, soprattutto, il sorteggio sono il contrario della responsabilità dell’ateneo che assumerà in ruolo il ricercatore o il docente. Qui sta il punto: o si aumenta la responsabilità, e dunque la possibilità successiva di premiare o sanzionare, oppure nessun metodo potrà mai cambiare sostanzialmente il sistema. Inoltre, era proprio assennato rinviare di mesi e mesi i concorsi già banditi? Cosa si farà di fronte all’inevitabile contenzioso sia di chi ha presentato già domanda, sia di chi non l’ha presentata? Qualcuno si ricorderà al Ministero che i bandi sono emanati dai rettori e non dai Ministri, con il più che probabile atteggiamento diverso che legittimamente prenderanno i diversi atenei? Insomma, è un vero guazzabuglio di cui non si sentiva alcuna urgenza, che non dà alcuna soluzione risolutiva al problema vero dei concorsi, un tampone che peggiora la ferita, un rinvio di responsabilità parlamentare. Proponiamo alla maggioranza e al Governo di incontrarci e di discutere da subito, ma evitiamo di peggiorare l’attuale congerie assurda di norme che soffocano l’università.
È assolutamente condivisibile, invece, l’idea di vincolare la ripartizione di una quota del Fondo di finanziamento ordinario a valutazioni di qualità dei risultati; del resto era una norma già contenuta nella legge finanziaria per il 2008, al comma 428, nel cosiddetto patto per l’università Mussi-Padoa Schioppa. Tuttavia, è bene sapere che una quota del 7 per cento assegnata davvero in modo premiale, quindi a poche università, mette a rischio i bilanci di tutte le altre in modo talmente pesante da far sospettare che poi ci sarà, in pratica, la necessità di assegnazioni meno premiali. Ben vengano comunque queste analisi di qualità con i tempi che saranno necessari, senza una fretta che può essere controproducente ancora una volta, ma non possiamo non rimarcare che sono molto generici i riferimenti ai termini di paragone.
Se è abbastanza chiaro cos’è la qualità della ricerca scientifica, sulla quale c’è l’ottimo lavoro del CIVR a testimoniarlo, cosa è esattamente la qualità dell’offerta formativa? Come si valutano i risultati dei processi formativi? Dopo quanti anni, in quali termini e cosa è la qualità delle sedi didattiche? Si capisce che se si vuole intervenire giustamente sul decentramento selvaggio – vi ricordo, però, che con riferimento a tale aspetto è già prevista per legge la cosiddetta moratoria Mussi che sarebbe bene il Governo riconsiderasse – allora si imporrebbe un maggiore indirizzo del Parlamento su un’attività governativa così delicata, Tanto più che lo stesso Ministro Gemini ha bloccato l’Agenzia nazionale di valutazione (l’ANVUR), l’unico ente che per indipendenza e professionalità potrebbe essere davvero titolato a svolgere questo delicato lavoro di individuazione dei criteri premiali, come capita in molti altri Paesi europei che già hanno la loro agenzia nazionale. Tanto per fare un confronto a noi vicino, la AERES, l’agenzia nazionale per la valutazione della ricerca e dell’insegnamento superiore francese, che è stata avviata dopo l’Italia e che ha anche imitato la legge italiana del 2006, ora è perfettamente operativa.
Concludo con un’ultima annotazione sulla nuova norma che lega una parte degli aumenti stipendiali dei docenti universitari alla loro produttività scientifica, secondo un’idea, anche se articolata un po’ diversamente, proposta dall’onorevole Bachelet in occasione della conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, che però ha avuto lo stesso esito degli altri emendamenti, cioè fu sonoramente bocciata da questa maggioranza. Noi chiediamo che si discuta in questa sede per migliorare il lato tecnico della norma così da renderla funzionante e davvero efficace, come ha illustrato il collega Mazzarella, poiché è indubbio che si tratta di un aspetto che il Partito Democratico giudica cruciale, tanto da averlo inserito nel proprio decalogo.
Chiediamo di premiare anche in termini stipendiali i docenti universitari, che devono dimostrare di essere bravi insegnanti e bravi ricercatori: questa è la cifra del sistema terziario in Europa. Vi è una strettissima relazione tra ricerca e insegnamento. la qualità didattica si fonda su quella scientifica. A fronte del discredito lanciato contro il sistema dell’università, voglio affermare chiaramente che il Partito democratico si schiera al fianco di quelle migliaia di docenti universitari che svolgono quotidianamente il loro lavoro con passione, serietà e impegno, nonostante le difficilissime condizioni logistiche e finanziarie: essi sono coloro ai quali – ce lo dimentichiamo troppo spesso, anche in questa sede – si deve l’alto livello della ricerca e della formazione delle università italiane; sono gli stessi docenti che reclamano da tempo una valutazione trasparente dei risultati del loro lavoro scientifico e didattico e che non sopportano più, giustamente, di essere frettolosamente e ingiustamente equiparati ai fannulloni. Se c’è un fannullone, forse è il Governo, che non sa e non vuole impegnarsi in un vero piano di rilancio dell’università italiana, che avrebbe bisogno, invece, di visione strategica e di risorse che la supportino. Purtroppo, di entrambe, non vi è alcuna traccia nel provvedimento in esame .”
(Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
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