Reggerà l’area euro senza un soccorso anche per il Portogallo? Reggerà senza annunciare un aumento del Fondo di stabilità finanziaria, sul quale ci si confronta in queste ore, la Germania contraria? Da oggi – nei giorni che in Italia ci separano dalla votazione di fiducia sul governo – si verificherà se bastano a placare i mercati le parziali soluzioni adottate dalle autorità europee. Il sollievo di giovedì e venerdì scorsi è dovuto a una nuova espansione del ruolo della Banca centrale europea; ma la Bce non è in grado di tenere in piedi tutto da sola.
Siamo sempre sul filo del minimo necessario per impedire che la situazione degeneri. Inutile deprecare la corta veduta dei politici, o la mancanza di solidarietà fra i popoli del continente. In concreto, le difficoltà di oggi discendono dall’incapacità dei governi nazionali di affrontare alcuni problemi nazionali. Sono state cattive politiche interne, intraprese per sudditanza a gruppi di potere, o nel timore di toccare radicati interessi elettorali, a produrre disastri di portata sovrannazionale.
Se oggi si parla di possibile bancarotta di alcuni Stati europei, una delle principali ragioni per cui ci si è arrivati è la mancanza di coraggio verso le banche. Si sono adottate soluzioni talvolta velleitarie, talvolta minimali (l’Italia per fortuna ha problemi diversi); chi poteva, addirittura, ha fatto finta di nulla.
Se l’attuale governo irlandese avesse lasciato fallire a suo tempo alcune grandi aziende di credito, non avrebbe addossato al Paese intero un debito insostenibile. Ma se l’avesse fatto, altri governi non avrebbero potuto spazzare sotto il tappeto la polvere, e far finta che nelle banche di casa loro tutto era a posto o quasi. Negli Usa per aver nella sostanza salvato il potere di Wall Street Barack Obama ha perso voti sia a destra sia a sinistra, ma almeno il sistema riparte. Nell’area dell’euro i governi si sono illusi di poter risolvere la questione ciascuno per conto proprio. Angela Merkel ha poi fatto detonare la crisi irlandese proclamando a proposito degli Stati quel principio banale – chi presta soldi agli spendaccioni perderà qualcosa – che il primo ministro di Dublino Brian Cowen aveva escluso di far valere a proposito delle banche. La Spagna sarebbe stata risparmiata dal contagio se per tempo avesse fatto più luce sulle sue banche.
L’interdipendenza che l’area euro ha creato non deve essere nascosta. Venivano innanzitutto dalla Germania i soldi che hanno incautamente finanziato in Irlanda e in Spagna la costruzione di case rimaste senza acquirenti, o che hanno permesso ai governi greci e portoghesi di concedere ai loro elettori benefici insostenibili. Dal 1995 al 2008 tre quarti dei risparmi tedeschi sono stati investiti all’estero: vuol dire che in Germania c’erano troppo scarse opportunità di investimento, o troppi soldi. Ora il Modell Deutschland torna a girare a pieno ritmo, ma qualche problema ci sarà pure se da mesi la coalizione di governo è data straperdente nei sondaggi.
I peccati di malgoverno della finanza pubblica per cui ora i mercati puniscono la Grecia sono simili a quelli dell’Italia negli Anni 80; i peccati del Portogallo lo sono assai meno. Nel nostro caso a pagare il conto fummo solo noi. Oggi le conseguenze per il Paese che commette gli errori sono molto più pesanti; si aggiunge il possibile contagio agli altri. In qualche Paese demagoghi nazionalisti potrebbero vincere elezioni promettendo di tornare indietro, alla libertà di sbagliare indisturbati; ma l’elenco delle cose da disfare è talmente lungo che sarebbe riposto nel cassetto all’indomani del voto. Mentre le riforme a cui i Paesi deboli sono costretti forse renderanno la loro politica migliore domani. Non è per nulla facile andare avanti; tuttavia alle spalle la strada è bloccata.
La Stampa 06.12.10