Salirci è difficile, ma più difficile è scendere. Perché il tetto, una volta che ci sei sopra e finalmente qualcuno si accorge che esisti, diventa un impegno, una missione per sé e per i posteri. I ricercatori che da quattro giorni occupano quello della facoltà di Architettura de La Sapienza, alimentano il vento che soffia forte: ci urlano dentro che per niente al mondo diventeranno “invisibili”. Sono gli “ultimi Mohicani”, hanno cuore e coraggio. Più vicini al cielo che al suolo, dominano i ponti di Roma E affrontano i palazzi della politica che da quel tetto si vedono tutti: tanto vicini geograficamente, quanto lontani idealmente. A loro sono più prossimi i lavoratori vittime della crisi, gli immigrati sulle gru, i cassintegrati sardi, i centralinisti dei call center. A loro, portano rispetto: «Di fronte a un metalmeccanico cassintegrato o a un immigrato in nero noi siamo dei privilegiati. Le nostre battaglie, però, sono contigue», dice Gianfranco che per salire sul tetto ha lasciato a casa la moglie e due figli che il primo giorno gli hanno chiesto se lo avessero arrestato. Per questo, oggi, universitari e liceali della Rete della Conoscenza saranno al corteo della Cgil insieme a operai, impiegati, insegnanti, dirigenti pubblici. Da architettura lasceranno il tetto in quindici: Francesca, Giovanni, Alfonso, Cristiano, potranno tenere una sciarpa in meno, togliersi il cappello di lana che hanno calcato fino agli occhi e toccare coi piedi l’asfalto. Negli ultimi quattro giorni sono scesi solo per andare a farsi una doccia o il bucato. L’indispensabile: per loro conta più il contenuto che la forma, qui le donne non si riempiono le rughe col botox, non si vendono da giovani per la prima pagina di un rotocalco, non aspirano al Grande Fratello. Sul tetto c’è una faccia del Paese fatta di gente che potrebbe pubblicare la pagella senza vergogna, che rivendica «quei dieci anni di precariato prima di vincere il concorso per ricercatore, perché anche a Salerno, coi pochi mezzi che avevamo, abbiamo fatto bene». È orgoglioso Matteo, 46 anni, che ieri ha passato la sua prima notte sul tetto: si dorme a turno in due tende fissate con le corde ai muri per evitare che volino via. Si scherza con poco: la pasta per pranzo la portano i volontari delle “brigate solidali” come ai terremotati dell’Aquila, ed è uno dei momenti più divertenti della giornata. Per la cena ci si arrangia, la colazione, invece, arriva da un bar ogni mattina alle 7.30: cornetti e caffè incartati in un messaggio che recita «Siamo con voi, tenete duro». Il ricercatore dell’ateneo di Tor Vergata non sa chi sia il barista solidale,ma si commuove a raccontare. La notte si dorme tre o quattro ore, fino alle due si lavora a comunicati e iniziative: «Stanotte, per esempio, abbiamo scritto gli elenchi…», racconta Francesca Coin, sociologa, ricercatrice alla Ca’ Foscari di Venezia. Sul tetto l’abbigliamento è al minimo e lei è rimasta senza calzini, è in ballerine col freddo di novembre. È pasionaria e spigliata, lunedì sera sarà lei a leggere l’elenco dei ricercatori ospite di Saviano e Fazio a “Vieni via con me”. E mentre le foto di piazza Fontanella Borghese fanno il giro del mondo con quelle del Colosseo e della torre di Pisa occupati, ieri ci sono state ancora proteste, tra cui l’occupazione della basilica diSanMarco a Venezia e della caserma delle fiamme gialle all’Aquila. Oggi il corteo con la Cgil, martedì di nuovo a Montecitorio. I ricercatori andranno su e giù dalle ripide scale a pioli che ieri hanno scalato anche il leader dei Verdi Angelo Bonelli e il regista Paolo Virzì: «La mamma del mio ultimo film (“La prima cosa bella” n.d.r.) adorerebbe questi ragazzi, ci si vorrebbe fare una bella cantatina», scherza il regista. E mentre la Gelmini tramite videomessaggio chiede una tregua, dal tetto i ricercatori fanno sapere che si asterranno dalla docenza anche il secondo semestre. Fischia il vento infuria la bufera, ma su una terrazza più vicina ai sogni che al suolo, si resiste e prosaicamente si spera: si spera che la discussione del ddl Gelmini, in Aula, si prolunghi tanto da non arrivare al Senato prima della fiducia
L’Unità 27.11.10