In una giornata affollata di turisti tra le macerie della Schola Armaturarum coperte con un lenzuolo. Così muore il capolavoro romano. Viaggio nel cuore malato dell´antica Pompei il giorno dopo il crollo della Schola Armaturarum. Tra muri puntellati e affreschi esposti alle intemperie, cavi elettrici abbandonati ai margini del Foro e mute di cani randagi che scorrazzano lungo le insule. Il campionario del degrado è vasto. E a poco servono i ritocchi all´immagine e le promozioni prodotte dalla gestione commissariale della Protezione civile Le ultime rovine sono state coperte con un lenzuolo, come le vittime di una mattanza Nel sito la gestione emergenziale promette ovunque servizi che non ci sono ancora
Macerie sotto copertura. Hanno adagiato tre teli bianchi sul disastro che non ha responsabili. Una coltre troppo sottile occulta la vergogna di Pompei, come il lenzuolo che, dopo un agguato, nasconde il rivolo di sangue di una comunità colpita.Ma la macchia bianca stesa in via dell´Abbondanza, nel cuore dell´antica Pompei dove quarantotto ore fa si è sfarinata la Schola Armaturarum -trascinandosi dietro nodi e contraddizioni di una gestione emergenziale targata Protezione civile o inefficace o inutile- ormai fa il contrario: distingue e separa le rovine fresche di incuria ed omissioni da quelle pietosamente lasciate dalla natura. E segnala altri dieci, cento cedimenti che si affacciano dalle colonne sghembe e dai muri puntellati proprio di fronte ala Porta di Stabia. Il crollo fa da richiamo alle transenne in legno fradicio o ai graffiti originari ancora esposti alle intemperie a ridosso di via della Fortuna. Rende più evidenti i cinquemila metri quadri di edifici puntellati di case importanti come quella dei Vetti, illumina gli isolati attraversati da crepe, i cavi elettrici dei vecchi impianti lasciati ai margini del grande Foro, per non parlare delle mute di cani che continuano a scorrazzare rabbiosi lungo le insule e alle calcagna dei visitatori, campionario di un degrado spalmato ma vario.
E di rischi trattenuti già a lungo sotto lo stesso cielo archeologico, su cui si posa adesso la carezza autoassolutoria di un ministro. «Ma perché le pietre di un cedimento archeologico sono coperte? Forse per nascondere i pezzetti di affreschi, per raccontare balle? Mah, sarebbe come se a L´Aquila avessero coperto le macerie», sbotta un esigente Pietro Armeni, veneto, al seguito di famiglia ed amici, uno dei 3770 visitatori di ieri, una media ben inferiore agli altri mesi autunnali e agli altri periodi storici. Ma certo: per il fato ostile di un giorno, colpa dell´inverno malinconico che sembra d´un tratto non rispondere più alle invitanti rappresentazioni di Pompei risorta, come dovevano attestare i 79 milioni di euro spesi negli ultimi due anni e mezzo. Denaro mirato in gran parte su spettacolari concerti, iniziative di promozioni, efficaci promozioni, assai meno per il monitoraggio dei rischi e la messa in sicurezza del sito. È oltre queste transenne che, in una domenica livida, i turisti assaporano il gusto di affacciarsi su macerie millenarie e insieme freschissime. Chissà che lì intorno, anzi lì sotto, nella vertigine tra i crolli di ieri e di oggi, non si aggiri furioso il fantasma di Crescenzio, gladiatore cui inneggiavano le scritte sui muri “parlanti” della città antica, lo stesso atleta che l´eruzione avrebbe sorpreso con la nota dama dal collier di smeraldi, ingioiellata di troppi monili per essere lì, alla settima ora, più o meno l´una del pomeriggio del 24 agosto dopo Cristo, nel quadriportico di Porta di Stabia. Lo racconta anche ieri Mattia Buondonno, la guida dei record, il “Philipe Leroy” degli Scavi che suscita le emozioni dei visitatori illustri, da Bill Clinton al lupanare a Mel Gibson che gli parla in aramaico, da Meryl Streep al matematico Nash che gli faceva, in ogni casa, sempre la stessa domanda.
Ma è abbacchiato anche lui, stavolta. Dallo stesso ingresso da cui, ogni giorno, “Philipe Leroy” dipana la sua favola per cultori e turisti, comincia invece una storia triste, forse preoccupante. Partendo dal Teatro Grande furiosamente rifatto in pochi giorni e tante notti di lavoro dallo staff della Protezione civile. La visita al cuore malato di Pompei.
Proprio a ridosso del teatro, ecco lo spreco e l´abbandono, insieme. Lo spreco di quei grandi prefabbricati trasformati in eterni camerini per attori, lasciati lì, impatto non sostenibile al costo di alcuni milioni di euro, che adesso insistono sull´area del Quadriportico. L´abbandono è quello, a pochissimi metri, dei graffiti antichi, uno di un gladiatore, l´altro raffigura una nave, che stanno sui muri come duemila anni fa: zero copertura sulla parete, zero protezione. Ancora più avanti, prima di svoltare sulla via di Stabia, ecco le assi di legno che chiudono alcuni accessi, sghembe, pericolose, chiodi in evidenza. Sono anomalie su cui indaga, da tre mesi, la Procura della Repubblica di Torre Annunziata. Che stamane, tra l´altro, aprirà un fascicolo «dovuto» sul crollo della Schola Armaturarum. «Il disastro riporta con i piedi per terra lo Stato, ammesso che lo voglia vedere – spiega Biagio De Felice, architetto, voce della Cgil nel grande parco archeologico -. Ci avevano imposto finora la Pompei delle emergenze, poi quella delle apparenze, con decine di milioni spesi nella sola comunicazione. Qui non si tratta di individuare capri espiatori, perché la gestione della Protezione civile, tra sprechi e opinabilissime scelte, ha migliorato alcuni servizi. Qui si tratta di capire quali sono le priorità e a quale prezzo “vendere”, o fingere di vendere, il prodotto Pompei. E infine: a beneficio di chi?».
Il denaro speso in questi anni, a sentire De Felice, «ha svuotato la cassa della Soprintendenza, non un soldo dal governo». Prima le gare ad evidenza pubblica dell´allora commissario Renato Profili, l´anziano prefetto poi “destituito” senza motivazioni ufficiali e morto un anno fa; poi la gestione del supercommissario Marcello Fiori e del suo gruppo, uno staff non privo di competenze irrituali, come quella del geometra Nicola Mercurio, già autista del ras del Pdl campano, Nicola Cosentino, e poi capogruppo di quel partito nel piccolo centro di Sant´Antonio Abate, dove almeno grazie a Mercurio arrivavano un po´ di fondi per i resti romani dell´antica Villa in paese. Pazienza se gli archeologici avevano immaginato addirittura di seppellirlo di nuovo, quel sito, pur di non disperdere i fondi in troppi rivoli.
Invece. «Pompei viva», recita continuamente la scritta scolpita nel bronzo dei cancelli nuovi, levigati e bruniti, sugli ingressi di casa del Menandro o dei Casti Amanti, uno slogan che resta il timbro della gestione commissariale, dei poteri in deroga e di una managerialità controversa sulla gestione di materia delicata come la città disabitata, eppure viva, dei pompeiani. Ma basta inoltrarsi lungo gli altissimi lastroni, avanzare sul cocciopesto vero delle antiche dimore o su quello finto prodotto dallo staff dell´ultima gestione romana, e ti accorgi che le Pompei sono due, almeno. Una è la versione patinata, un po´ hollywood, un po´ Adro per via di quel simbolo «Pompei Viva» ripetuto ossessivamente sugli spazi riaperti, stesso titolo della Fondazione (omonima) che non c´è ancora, e di un pacchetto di distinte e affascinanti fruizioni che non ci sono (ancora). L´altra, è la Pompei che si ripiega, a rischio di sbriciolamento.
Alla Regio VI, tredicesima insula, altre quattro assi in legno fradicio ostruiscono il passaggio a una casa. Otto metri oltre, è l´insula XII a denunciare il bisogno di consolidamento: la lunga colonna che sostiene il piano superiore appare gravemente lesionata, il blocco appare letteralmente spaccato in più parti eppure miracolosamente regge: sta in piedi grazie alla forza di gravità che ne impedisce il collasso orizzontale. Ma se arrivasse una scossa di terremoto, neanche tanto elevata di grado, sicuramente queste pietre rotolerebbero giù. Per fortuna, il vulcano non gioca.
La Repubblica 08.11.10
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Il dovere di salvarla per i nostri figli
di Robert Harris
La notizia che a Pompei è crollata la casa dei gladiatori mi ha scioccato e mi ha fatto orrore. Ma non mi ha sorpreso.
Una città che ti strega e ti cambia per sempre. Ma si deve intervenire per salvarla dal degrado
È tanto tempo che venivano lanciati allarmi su un simile rischio per numerosi edifici di questa città che è la più impressionante testimonianza rimasta dell´epoca romana. Evidentemente le autorità non hanno preso le misure necessarie, nonostante il pericolo fosse ben chiaro. Il paradosso di Pompei è che essa è rimasta perfettamente conservata fino a che l´uomo l´ha lasciata sepolta sotto le ceneri e la terra; poi, quando l´abbiamo riscoperta e fatta riapparire alla luce del sole, ha iniziato a dissolversi. Siamo così di fronte a un dilemma: più gente visita Pompei, più Pompei viene distrutta.
Occorre dunque trovare un equilibrio tra il desiderio e direi la necessità di visitare queste magnifiche vestigia del passato, e l´esigenza di preservarle per sempre o perlomeno il più a lungo possibile, per le generazioni future. Milioni di persone visitano Pompei ogni anno. Credo in effetti che sia il sito archeologico più visitato del mondo. Sarebbe ingiusto impedire questa curiosità, questa voglia di apprendere da dove veniamo, come eravamo, così utile per comprendere chi siamo oggi. Ma occorre proteggere meglio Pompei, con iniziative di intervento conservazionista sulle sue rovine, e forse anche ripensando il modo in cui il luogo è aperto al pubblico. Può darsi che non sia più proponibile permettere un accesso illimitato a qualsiasi ora, consentire alla gente di muoversi liberamente, per le strade dell´antica città. Può darsi che sia venuto il momento di regolare l´accesso stabilendo quote numeriche per le diverse fasce orarie della giornata e visite guidate su determinati percorsi.
Io stesso ho visitato Pompei molte volte, per interesse personale e per preparare il mio romanzo che porta il nome della città. Ho passato lunghe ore nelle sue strade. Ho imparato a conoscerla bene, come una città ancora viva. È un luogo magico, incantato. È impossibile non sentirsi emozionati e direi anche cambiati, dopo averla visitata. Ed è utile visitarla, specialmente per i bambini e gli studenti in genere, è il modo migliore per incoraggiare lo studio della storia, la conoscenza del passato. Però, ripeto, nei dieci anni in cui ho frequentato assiduamente Pompei, ho sentito continuamente storie sul pericolo che potesse crollare e gradualmente scomparire. Bisognava fare qualcosa prima che accadesse. È urgente fare qualcosa adesso, dopo questo crollo.
Sono arrivato a immaginare un romanzo su Pompei in via obliqua. Volevo in realtà scrivere un libro sugli Stati Uniti, su come una grande potenza, la più grande superpotenza della terra, si senta invulnerabile, ma sia in realtà vulnerabile ugualmente, sottoposta alle leggi della natura e a minacce di altra natura. Era prima dell´attacco terroristico dell´11 settembre. Cominciai a scrivere quel libro, ma non mi convinceva. Poi ebbi l´idea di affrontare lo stesso tema in modo allegorico, parlando della più grande superpotenza dell´antichità, l´Impero romano, e della tragica fine di Pompei vista come un segnale di fragilità, un sintomo di quella decadenza che poi sarebbe venuta anche per Roma. Visitandola, ho scoperto quanto fosse avanzata la civiltà romana. Quanto Pompei fosse simile a una città moderna, avendone in effetti tutti gli aspetti, tutte le caratteristiche.
Il mio romanzo ha avuto successo, è stato tradotto in tante lingue. Sicché in un certo senso mi sento responsabile anch´io di avere creato ancora più curiosità per Pompei, di avere spinto altra gente a visitarla e in tal modo a renderla più fragile, più esposta. Ma non si può negare alle nuove generazioni di conoscerla Dobbiamo, tuttavia, fare in modo che possano visitarla anche i nostri figli e i figli dei nostri figli, e coloro che verranno dopo. La buona notizia è che gli scavi non hanno fatto emergere tutta Pompei, ce n´è una parte ancora sepolta, nascosta. Lasciamola lì, in attesa che nuovi metodi di conservazione vengano scoperti, affinché Pompei possa continuare a esistere anche nel futuro.
(testo raccolto da Enrico Franceschini)
La Repubblica 08.11.10
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“Bondi: si rischiano nuovi crolli ma la responsabilità non è mia”, di Cristina Zagaria
Il ministro Bondi piomba a Pompei, per un sopralluogo sui resti della Domus dei Gladiatori crollata e sul sito archeologico. Spiega le cause del cedimento e cerca di limitare i danni, almeno quelli di immagine. «Le cause sono chiare: le infiltrazioni d´acqua e un restauro effettuato negli anni ‘50 con una copertura di cemento armato. Forse gli affreschi si potranno recuperare e si potrà perfino ricostruire l´edificio della Schola Armaturarum», spiega. Ma, mentre il ministro, preceduto dai tecnici, cammina per la strada dell´Abbondanza, un gruppetto di operatori, a viso duro, cerca lo scontro: «Vergogna. Dimettiti. Qui cade tutto a pezzi». Il ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi va avanti e li ignora. Poi, in conferenza, al «vergogna» del presidente della Repubblica e all´eco degli operatori di Pompei risponde: «Se avessi la certezza di avere delle responsabilità nell´accaduto, mi dimetterei. Riferirò subito in parlamento». Rassicurazioni a parte resta il problema della manutenzione dei circa 1500 edifici del sito archeologico. E lo stesso Bondi deve ammettere: «Sono possibili altri crolli soprattutto nella parte che si affaccia sulle case scoperte e non ancora restaurate». Il ministro annuncia un piano straordinario per la manutenzione degli edifici pompeiani e un gruppo di lavoro scientifico per affiancare la Sovrintendenza (retta ad interim fino al 31 dicembre da Jeannette Papadopoulos). Nega che i problemi di gestione siano legati alle scarse risorse («dai visitatori Pompei ricava 20-25 milioni all´anno. Forse non si usano bene»). Rilancia l´idea di aprire ai privati la gestione dei Beni culturali. E pensa di affiancare ai Sovrintendenti «nuove figure professionali». «No a commissari, leggi speciali e stanziamenti d´emergenza, ma nuovi finanziamenti strutturali con la prossima Finanziaria», chiede, invece, il Fai. Intanto nel sito archeologico di Pompei molti dei progetti avviati, come quello per facilitare l´accesso ai disabili e contro il randagismo, non sono più operativi. Due uffici turistici su tre d´inverno sono chiusi. Gli affreschi non sono protetti e all´ingresso dell´Anfiteatro spiccano, abbandonate, le due strutture in plexiglas realizzate quest´estate per ospitare una mostra dalla Protezione civile.
La Repubblica 08.11.10
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«È una Caporetto del managerialismo di eventi mediatici», di Luca del Fra
Gli esperti smentiscono il ministro: «Il piano c’era. Ed è stato
operativo fino ai commissariamenti». La Cgil: «Cercavano
di trasformare gli scavi in una location con spese folli». Il piano c’era eccome! Ed è stato anche operativo fino all’inizio dei commissariamenti» – spiega il professor Pier Giovanni Guzzo, e il professor Salvatore Settis gli fa eco: «Bisogna ricacciare in gola tutte queste scempiaggini sui manager a chi le sta dicendo». Arrivano secche come legnate le smentite alle dichiarazioni fatte dal ministro Sandro Bondi il giorno dopo l’ennesimo disastro avvenuto a Pompei.
Il crollo della Schola Armaturarum sta facendo il giro del mondo e finalmente i riflettori si accendono sul sito archeologico che tutti ci invidiano e su cui è stato perpetrato uno scempio con piglio davvero manageriale.
Il ministro ieri ha invocato un piano per la tutela di Pompei: non si era accorto che era stato già studiato e applicato, ma certo non dai suoi manager e commissari. A parlare è il professore Guzzo, ultimo vero sovrintendente di Pompei fino a inizio 2009: «Si figuri, abbiamo cominciato a lavorarci dal 1997 e per non gravare sul bilancio dellomStato il piano venne finanziato dal World Monument Found, a dimostrazione che anche archeologi e studiosi sanno amministrare e trovare
risorse. Nel 1999 il piano è diventato operativo: dei 44 ettari di scavi di Pompei allora solo il 14% era in sicurezza e in pochi anni abbiamo più che raddoppiato arrivando al 31%». Di Pompei parla poco Guzzo, per non alimentare polemiche, ma tiene a precisare: «Tutela e manutenzione non finiscono mai, sono attività da aggiornare continuamente: purtroppo interessano poco i supermanager da copertina o da operetta del ministro. E lui, Bondi, continua indefesso a difendere l’operato di Marcello Fiori, commissario subentrato a Guzzo e rimasto in carica fino a giugno scorso: «La situazione in alcune parti di Pompei è peggiorata durante il commissariamento – spiega senza tentennamenti Gianfranco Cerasoli, responsabile Uil per i Beni Culturali–; le domus su via dell’Abbondanza, guardando a sinistra verso porta Nola, sono a rischio a causa di un terrapieno che preme per le infiltrazioni d’acqua».
E non si tratta nemmeno di costruzioni secondarie: «Parliamo delle Case dei casti amanti, dove di recente sono smottati lapilli, di Polibio, di Trebio Valente e perfino delle scale della Casina delle aquile malgrado siano state oggetto dell’intervento
del commissario.Mai tecnici si rifiutano di parlare».
A Pompei si è commissariato in base a una falsa emergenza, come ha decretato la Corte dei conti, e poi si è poco badato alla messa in sicurezza: «Della gestione commissariale – spiega
Biagio De Felice della Cgil che a Pompei ci lavora – mi ha colpito la mancanzadi cultura e l’incomprensione dell’unicità del luogo. Hanno cercato di trasformare gli scavi in una “location” per eventi mediatici anche con spese folli, come i 7 milioni
di euro per i discutibili lavori sul Teatro grande. Prendiamo il recupero della Casa dei casti amanti, con ologrammi e multischermi che potevano essere piazzati in qualsiasi
altro luogo. Pompei e la sua straordinarietà sono rimaste sullo sfondo. Forse oggi bisogna ritrovare la vera Pompei». Ologrammi, spettacolini, immagine. L’inadeguatezza della gestione commissariale in cifre: l’80% delle risorse è stato destinato alla cosiddetta valorizzazione invece che alla tutela. È il caso delle Case di Polibio e dei casti amanti dove proprio durante i lavori condotti inopinatamente con mezzi pesanti
è avvenuto il primo crollo: entrambe presentate in pompa magna, ma per visitarle occorre una prenotazione e un biglietto supplementare senza riduzioni per anziani e bambini, alla faccia della diffusione della cultura. Malgrado Pompei avesse già una video sorveglianza efficace, ne è stata progettata un’altra che tra le insule pompeiane prevede tralicci così invasivi che i responsabili dei lavori si sono dimessi per la vergogna. Pompei segna la vera Caporetto del managerialismo bondesco, ma Mario Resca, manager di McDonald Italia che l’ineffabile ministro ha trapiantato alla nuova direzione per la valorizzazione del patrimonio, già poche ore dopo l’ultimo crollo invocava un manager da affiancare ai sovrintendenti. Idea ripetuta da Bondi anche ieri: «È la peggiore delle sciocchezze –sbotta il professore Settis–, la vera sfida è trovare professionalità specifiche che abbiano capacità amministrative.
Sono stato rettore della Normale di Pisa per 11 anni e nessuno si è mai sognato di volermi affiancare un supermanager». La realtà è che a Pompei manager e commissari c’erano, a mancare sono stati i sovrintendenti:
«Sono state calpestate e si vogliono calpestare competenz in nome di un managerialismo buono per qualsiasi cosa, senza
odore e colore, senza qualità».
L’Unità 08.11.10
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“Che cosa succede nel sito di Pompei?”, di FRANCESCO RIGATELLI
Perché era importante la casa crollata a Pompei?
La Schola armaturarum, l’Armeria dei giovani gladiatori di Pompei che si è polverizzata alle sei di sabato mattina per uno smottamento del terreno seguito al maltempo, era un importante edificio pubblico del sito archeologico. Non era visitabile ma i turisti venivano attratti dalle pitture alle pareti che s’intravedevano dall’esterno. L’interno consisteva in una grande sala affrescata con vittorie alate e scudi gladiatori, risalente al 62 d. C., cioè 17 anni prima dell’eruzione che seppellì Pompei di lava.
Ci sono stati altri crolli in precedenza?
Solo a gennaio scorso e quest’estate ci sono stati due crolli nella vicina Casa dei casti amanti. E altre domus che si affacciano sulla stessa via dell’Armeria sono a rischio, come quelle di Giulio Polibio e di Trebio Valente, verso Porta Nola, perché proprio come l’Armeria sono vicine ad un’area ancora non scavata e infiltrata d’acqua. Le scale della Casina delle aquile sono sottoposte a spinta da parte di un altro terrapieno.
Com’è amministrato il sito archeologico di Pompei?
Per due anni, con la motivazione del degrado dell’area, il governo ha mandato a Pompei Marcello Fiori, commissario della Protezione civile, con il risultato di commissariare di fatto la Sovrintendenza. A giugno il commissario è scaduto. E la Sovrintendenza è stata occupata fino a ottobre da un reggente non titolare, Giuseppe Proietti, sostituito ora da Jeannette Papadopulos.
Ci sono stati dei tagli?
Nel 2006 la legge 41 ha decurtato di 30 milioni i fondi per il restauro e nel 2008 di altri 40. 79 sono i milioni affidati prima al commissario Renato Profili, ex prefetto di Napoli e poi a Marcello Fiori, proveniente dalla Protezione civile. Il primo ne ha impegnati 40, la maggior parte per la manutenzione secondo i progetti dell’allora sovrintendente Pier Giovanni Guzzo. A Fiori ne son rimasti 39 (compresi 18 che la Regione Campania non ha ancora dato), e un terzo sarebbero stati impiegati per i restauri.
Qual è la situazione dei restauri?
Nel 1988 la spesa per i lavori di messa in sicurezza dei 44 ettari dell’area archeologica fu stimata in 270 milioni. Da allora il 30 per cento della manutenzione è stata eseguita. Una lentezza dovuta anche alla burocrazia dei concorsi pubblici per assegnare ogni intervento. Per questo motivo si arriva ai commissariamenti. Ma lievita la spesa in comunicazione, meno quella per la sicurezza.
Cosa rappresenta Pompei da un punto di vista culturale?
Le sue origine sono antiche quanto quelle di Roma. La lava del Vesuvio, solidificatasi, ne ha conservato intatti gli edifici fino agli scavi del 1748 finanziati dai Borbone. Il tempo a Pompei si è fermato a quell’eruzione del 79 d. C., regalando alla modernità un calco della vita antica. Le scritte elettorali sui muri, gli oggetti nelle botteghe, le ville, i tempi e i fori di Pompei sono una delle principali fonti di studio su quell’epoca. Dal 1997 l’Unesco l’ha dichiarata patrimonio dell’umanità.
Che cosa rappresenta Pompei per il turismo?
Si tratta del secondo più visitato del mondo (dal 2008, quando ha lasciato il primato alla turca Efeso). Secondo Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali, il sito può raggiungere i 15 mila visitatori al giorno, di cui l’80 per cento stranieri. Questo porta un guadagno di 25 milioni di euro all’anno. Nonostante ciò, assenteismo dei dipendenti, abusivismo delle guide, mancanza di controlli delle rovine e incertezza della direzione rendono complessa la situazione.
Quali reazioni ha suscitato il crollo di Pompei?
La notizia ha fatto il giro del mondo, trovando ampio risalto soprattutto tra i media di lingua inglese, come il «New York Times», il «Daily Mail» e la Bbc. Il quotidiano di New York ha pubblicato la storia in prima pagina con il titolo: «Il crollo di Pompei suscita accuse di negligenza pubblica». «Archeologi, commentatori e oppositori politici accusano il governo italiano – ha scritto il “New York Times” – di negligenza e cattiva gestione per il crollo della Casa dei Gladiatori, risalente a 2000 anni fa». Mentre il «Daily Mail» ha ironizzato sulla colpa data alle pesanti piogge dei giorni scorsi.
L’edificio si può recuperare?
Secondo i tecnici l’Armeria si può ricostruire e gli affreschi sono recuperabili. Intanto il ministro Bondi ha annunciato di promuovere un piano di manutenzione straordinaria per gli edifici di Pompei. Gli ultimi interventi di restauro dell’Armeria risalivano al 1947, quando l’edificio era stato bombardato durante il secondo conflitto mondiale.
La Stampa 08.11.10