partito democratico

Davanti ai segretari di circolo fissa la data dell’11dicembre per la manifestazione contro il governo. Bersani chiama la piazza: «Il Pd sarà il primo partito», di Simone Collini

«Lega e Berlusconi ci fanno un baffo». Il segretario attacca il premier: non è degno di ricoprire una carica pubblica. E legge l’articolo 54 della Costituzione che richiede «disciplina e onore».
«Non consentirò che da fuori o da dentro il Pd qualcuno ci manchi di rispetto. Perché fra non molto, faccio una scommessa, saremo il primo partito del Paese. E nessuno può tirarci per la giacca». Pier Luigi Bersani parla per un’ora, lanciando la manifestazione dell’11 dicembre e attaccando il premier, ma gli basta questo passaggio di una decina di secondi per mandare un chiaro messaggio a governo, alleati, aspiranti rottamatori e autolesionisti vari. Prima di lui vanno al microfono i segretari di circolo del Pd, in duemila a Roma per l’Assemblea nazionale. Non mancano critiche per un partito che qualcuno definisce remissivo sui temi del lavoro e che qualcuno vorrebbe si mostrasse meno incerto, mentre in molti criticano i «rottamatori» e parlano anche di un lavoro fatto sul territorio che poi viene vanificato da qualche intervista rilasciata per distinguersi. Bersani ascolta e poi chiude i lavori rivolgendosi a ognuno di loro «da segretario a segretario»: «Voi siete più vicini alle persone e avete un di più di senso, di coraggio, di forza. Man mano che ci allontaniamo da lì c’è un avvitamento anche nostro nel circuito politico-mediatico che ci fa perdere un po’ di vista la realtà». È a loro che Bersani chiede di prendere una decisione su un’iniziativa di cui ha già discusso nei giorni scorsi con Franceschini, Finocchiaro e altri big.
«Il Paese è allo sbando, Berlusconi si deve dimettere», ripete di nuovo Bersani parlando però per la prima volta con certi toni del premier come di uomo non degno di ricoprire una carica pubblica (legge anche l’articolo 54 della Costituzione, che richiede «disciplina e onore»): «Un minore è un minore anche se non ti sembra e non puoi sbatterlo su una strada tuona al microfono facendo riferimento al caso Ruby non possiamo far correre idee così devastanti, non si possono pensare e dire certe cose e dirigere un Paese». Ribadisce anche che «chi ha senso di responsabilità deve staccare la spina», che il Pd offre la sua «disponibilità» a dar vita a un governo di transizione e che nei tre prossimi fine settimana ci sarà un porta a porta per far arrivare «in ogni luogo di vita e di lavoro» le idee del Pd.
IN PIAZZA
Ma, aggiunge arrivando alla proposta che lancia ai duemila segretari di circolo, «la situazione richiede qualcosa in più»: «Chiedo a voi se siete d’accordo, perché se lo siete l’11 dicembre facciamo a Roma una grande manifestazione nazionale». Non termina la frase e scatta un’applauso che non finisce più. «Ho capito, ho capito». Bersani sorride, anche perché se qualcuno nel gruppo dirigente era pronto a criticare la chiamata alla piazza, ora avrà qualche difficoltà nel farlo. E se Veltroni dal Veneto, dov’è andato per presentare il Movimento democratico, dice che l’importante è il «tono» che avrà la piazza, se cioè verranno avanzate delle proposte oltre che delle proteste, Bersani scioglie sul nascere anche questo nodo assicurando che la manifestazione non sarà soltanto contro il governo ma verrà costruita attorno a tre parole su cui il Pd vuole caratterizzarsi: democrazia, lavoro e solidarietà.
L’iniziativa serve a mettere in campo un ulteriore elemento di pressione nei confronti di chi, Fini in testa, pur criticandolo sta mantenendo in vita il governo. Ma sarà anche una prova di forza nei confronti di Pdl e Lega «ci fanno un baffo» e anche di qualche alleato che non ha capito che «indebolire il Pd è uno sport che non porta medaglie» e che è ora di smetterla con i «tatticismi per lucrare un punto in più nei sondaggi». Bersani lo dice anche guardando a certi «autolesionismi nostri»: «Oggi abbiamo visto che è possibile far vivere un orgoglio del Pd, che senza di noi ci si tiene Berlusconi». Orgoglio e «rispetto», ripete in più di un passaggio, perché presto si vedrà che il Pd è «il primo partito». E rispetto, «per la ditta e per i suoi membri», chiede anche a chi vorrebbe rottamare gli attuali dirigenti. «Avanti la nuova generazione, ma c’è bisogno anche di chi ha memoria ed esperienza», dice tra gli applausi. Che crescono di intensità quando continua così: «Benissimo il confronto, ma non verrà consentito che fuori o dentro il partito ci si manchi di rispetto».

L’Unità 07.11.10

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I “rottamatori” si salutano: «Ecco idee e proposte di chi non si accontenta di un paese per vecchi», di Cesare Buquicchio

Tra le popolazioni ciapaneche del Messico meridionale c’è la tradizione di non risolvere le controversie del villaggio con un voto a maggioranza. È considerato pericoloso creare divisioni tra la popolazione. Il metodo che hanno scelto è quello di riunirsi un’assemblea e, parlando tutti a turno, anche per molti giorni di seguito, arrivare alla composizione della diatriba.

Il raduno di Renzi e Civati alla Stazione Leopolda di Firenze assomiglia un po’ a quelle riunioni. Tre giorni di interventi continui, migliaia di parole, centinaia di volti affacciati sul palco. L’uditorio è composto e attento, qualcuno prende appunti. Ma qui, in questa “assemblea”, non c’è una divisione da superare. La frattura è fuori di qui, è nel Partito democratico, ma è soprattutto in ogni angolo del Paese. È la separazione tra giovani che non hanno più voglia di essere chiamati giovani e adulti, che a volte sono anche vecchi, ma che vorrebbero essere sempre considerati trentacinquenni. Tra figli che non vogliono rassegnarsi a vivere peggio dei loro padri e non si accontentano di immaginare una vita “al ribasso”.

Ma il solco più profondo sembra essere quello che va oltre le persone e riguarda idee e immaginario che comprendano una visione del futuro (e dunque della politica) adatta a confrontarsi con un mondo diverso. Tra i tanti interventi anche qui alla Leopolda, sono stati diversi i contributi di over 40 che non avevano nessuna sensazione di essere ad un passo dalla “rottamazione”. Così come tra i tanti ventenni sul palco non si sono sprecate parole e immagini retoriche e sbiadite.

I due “coordinatori” della tre giorni, ascoltano sul palco, commentano, lanciano video. L’insegnante siciliana Mila Spicola affettuosamente li indica e dice “eccola la nostra Gialappa’s”. Renzi e Civati giocano un po’ a fare il poliziotto buono e il poliziotto cattivo. E ogni tanto si scambiano il ruolo. Uno alza i toni verso il Pd e verso Bersani, l’altro interviene a gettare acqua sul fuoco. La gente in sala ha il volto del popolo democratico del paese che mette da parte le delusioni degli ultimi anni e, per l’ennesima volta, sceglie di affidare un capitale di speranza a chi dovrebbe farlo fruttare con iniziative, coerenza e coraggio. L’aspettativa è quella di costruire, anche con il tempo e con la fatica, una cultura politica e di governo abbastanza forte ed efficace da spazzare via non solo Berlusconi, ma di guarire l’Italia dal “berlusconismo”.

Nei discorsi con la stampa e nei capannelli a bordo palco la figura forte della “rottamazione” viene affiancata da una visione più dialettica che non vede scomparire le figure storiche del Pd, ma vede uno spazio nuovo in cui ogni competenza possa essere sfruttata al meglio, magari lasciando ai “giovani” la prima fila, le idee per comunicare e “sedurre” un elettorato under 40 sempre più insofferente, e ai “vecchi” il contatto con gli altri “mondi” del paese.

Idee lucide, a volte innovative, molta “velocità”, un po’ di autocompiacimento. C’è la sensazione, però, che questa tre giorni possa essere solo l’inizio dei “rottamatori” perché, per evitare di finire solo per crogiolarsi in discorsi anagrafici o semplicemente di sostituirsi alla generazione più anziana, servirà altro. In pochi nei loro discorsi hanno affrontato i nodi di fondo che dovrebbero costituire il salto in avanti realmente innovativo: l’immigrazione, i rapporti col sindacato, l’età di pensionamento, il rapporto tra cultura ed emancipazione sociale, ecc…

“Il metodo della generazione X (quella degli under 40) è mettere tutto sul tavolo, esigere trasparenza, analizzare i dati e prendere decisioni in funzione di queste analisi. È una generazione stanca delle ideologie: anche se ne condivide gli ideali, difficilmente sentiremo Obama parlare di ‘terza via’, come Clinton. Stanca anche della ragione ideologica, per cui esistono le soluzioni, prima dei problemi” spiegava l’economista e demografo Neil Howe, intervistato all’indomani delle ultime presidenziali Usa che hanno portato alla Casa Bianca il primo presidente nero. A Firenze la generazione X ha forse iniziato il suo percorso di “analisi”, ma ancora non sa chi sarà il suo Obama.

L’Unità 07.11.10