Racconta Fenoglio nei «Ventitré giorni della città di Alba» che «verso la fine d’ottobre (1944) piovve in montagna e piovve in pianura, il fiume Tanaro parve rizzarsi in piedi tanto crebbe». Una tra le tante piene di cui l’autunno italiano è da sempre costellato. Capitano a causa delle intense perturbazioni che si generano per l’interazione tra le prime discese di aria fredda polare e la tiepida superficie del Mediterraneo ereditata dall’estate. È appena il caso di ricordare le pietre miliari delle grandi piogge autunnali, limitandoci a quelle più recenti e rovinose: l’imponente alluvione del Polesine è di metà novembre 1951, la storica piena dell’Arno a Firenze, con Venezia invasa dall’acqua alta del secolo, è del 4 novembre 1966, il Biellese viene devastato il 3 novembre 1968, Genova è messa in ginocchio il 7 ottobre 1970, il Tanaro infanga Alba e Alessandria il 5-6 novembre 1994, il Po a metà ottobre del 2000 esonda dalle Alpi al delta. L’elenco completo sarebbe immenso, e non è una novità per il nostro territorio.
Solo un mese fa ci toccava scrivere un pezzo non diverso da questo per i nubifragi su Genova, un anno fa era Messina che franava e a Natale erano in piena i fiumi della Lunigiana, la stessa regione investita nelle scorse ore da piogge di 200-300 millimetri da cui hanno preso origine le colate detritiche sulle frazioni di Massa. Una vasta perturbazione generata dalla depressione «Xanthippe», così battezzata come è uso da oltre un decennio dall’istituto di meteorologia dell’Università di Berlino, ha scaricato sul nord Italia tra cento e duecento millimetri di pioggia in due giorni, con massimi di 350 mm sull’alto Vicentino, ha portato le prime abbondanti nevicate oltre i 2000 metri e una vigorosa sciroccata sulle isole. Un evento tuttavia non eccezionalmente intenso, capita più o meno ogni anno. Ma allora perché siamo sempre qui a stupirci di fronte alle vittime e ai danni? In effetti nubifragi, frane e alluvioni fanno parte, dalla notte dei tempi, della naturale dinamica del territorio e sempre ci saranno, qui come altrove. È la nostra vulnerabilità che si è accresciuta, a seguito di una dilagante cementificazione fondata su un approccio di dominio sull’ambiente piuttosto che di convivenza. La ricetta internazionalmente proposta affinché le forti piogge facciano meno paura è dunque: 1) una più saggia pianificazione urbanistica con drastico blocco della nuova edificazione; 2) una coraggiosa rilocalizzazione degli abitati in zone a rischio, come ha fatto il governo francese nelle aree costiere inondate dalla tempesta Xinthia dello scorso febbraio; 3) un fondo assicurativo obbligatorio sui rischi naturali; 4) un programma a lungo termine di manutenzione idrogeologica capillare e diffusa in luogo di grandi opere di canalizzazione e arginatura che spesso producono un senso di falsa sicurezza e aprono la strada a nuovi insediamenti edilizi; 5) martellanti programmi educativi di prevenzione, nelle scuole e in televisione: si abbia il coraggio di spiegare alla gente in prima serata come ci si deve comportare in caso di emergenza senza essere etichettati come portaiella; 6) potenziamento dell’infrastruttura di previsione meteorologica e protezione civile, incluse esercitazioni. Tutte queste cose si fanno regolarmente per esempio negli Stati Uniti contro uragani e alluvioni (www.floods.org), in Italia sono in genere riservate agli addetti ai lavori, invece bisogna che arrivino al grande pubblico, che diventino parte integrante del corredo di capacità di ogni cittadino: in gioco ci sono la casa e la vita. È probabile che in futuro i cambiamenti climatici proporranno precipitazioni ancora più intense: una ragione di più per attrezzarsi. Invece del Grande Fratello forse sarebbe bene cominciare a guardare in faccia il Grande Dissesto Idrogeologico del nostro Paese.
La Stampa 02.11.10
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“I nomi dei colpevoli”, di Giovanni Valentini
Piogge, alluvioni, frane, smottamenti, vittime e danni. È la lunga catena dell´incuria e del degrado ambientale, più che la casualità degli eventi meteorologici o la violenza delle calamità naturali, a provocare disastri come quello che ha colpito in questi giorni il Centro-Nord.
Prima ancora del maltempo, è piuttosto il malgoverno che causa il dissesto del territorio, con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne derivano.
Le responsabilità politiche e amministrative, a livello centrale o locale, si possono onestamente ripartire fra centrodestra e centrosinistra. Ma non c´è dubbio che finora il governo in carica ha fatto di tutto per aggravare ulteriormente la situazione, rinunciando ad adottare i provvedimenti e le misure che sarebbero stati necessari. E in particolare, tagliando a qualsiasi livello i fondi per la salvaguardia del suolo, per la tutela dell´assetto idro-geologico e per la protezione dell´ecosistema.
Nell´ultimo biennio, in base a un consuntivo di Legambiente, sono stati stanziati appena 237 milioni di euro per fronteggiare le principali emergenze: dalle frane di Messina a quella di Montaguto, in provincia di Avellino, che ha isolato per mesi la Puglia nei collegamenti ferroviari. Quest´anno i finanziamenti per la difesa del suolo sono scesi a 55 milioni di euro, 19 in meno rispetto al 2009. Ma, secondo la denuncia del Wwf Italia, è lo stesso ministero dell´Ambiente a rischio di scomparsa. Dal 2008 al 2010, le risorse a sua disposizione sono state ridotte di due terzi, passando da un miliardo e 649 milioni di euro a poco più di 500 milioni: tanto da suscitare perfino le proteste di un ministro abitualmente remissivo come Stefania Prestigiacomo.
Né vanno trascurate le responsabilità delle amministrazioni locali, a cominciare dai Comuni, spesso colpevoli di distribuire indiscriminatamente concessioni e licenze edilizie per fare cassa e coprire i buchi di bilancio. Oppure, in molti casi, per alimentare le clientele elettorali di questo o quel sindaco, di questo o quell´assessore. O addirittura, per motivi ancora meno rispettabili e più materiali, inoculati dal virus della corruzione.
È così che, in assenza di una corretta politica del territorio o anche solo di una gestione imperniata sull´ordinaria manutenzione, avanza imperterrita la cementificazione del suolo, continua l´alterazione dei corsi d´acqua, prosegue la manomissione idro-geologica. A tutto ciò, s´aggiungono poi gli usi e gli abusi speculativi. E infine, per completare un quadro già fosco, gli effetti perversi dei condoni che premiano i cattivi cittadini e puniscono quelli più onesti.
Questa è proprio “l´Italia delle alluvioni”, come la definisce il Wwf in un recente documento, avvertendo che «i nostri fiumi sono bombe a orologeria». E i dati lo confermano in modo inequivocabile: dal 1956 al 2001, la superficie urbanizzata è aumentata del 500%; mentre dal ´90 al 2005 abbiamo “consumato” un´estensione complessiva di tre milioni di ettari, pari a due regioni come il Lazio e l´Abruzzo. Il territorio del Malpaese ha raggiunto ormai il 10% di urbanizzazione media nazionale, con punte anche superiori come in Veneto. E ciò significa che non è più possibile tracciare un cerchio di 10 chilometri di diametro senza imbattersi in un centro urbano.
Proprio nell´ambito dell´”Operazione fiumi 2009″, condotta in collaborazione con il Dipartimento della Protezione civile, Legambiente ha realizzato un monitoraggio regione per regione delle attività amministrative comunali. I risultati sono sconfortanti. Sull´intero territorio nazionale, sono 5.581 i Comuni a rischio di frane e alluvioni, vale a dire il 70% del totale. Non c´è manutenzione. Non si mettono in sicurezza i corsi d´acqua e non si consolidano i versanti franosi. Si fa poco o nulla per prevenire e mitigare il rischio e, soprattutto, per limitare i pericoli e i danni per i cittadini.
Eppure, i fiumi sono storicamente una fonte di ricchezza e di prosperità per tutti i popoli. Erodoto diceva non per nulla che «l´Egitto fu il dono del Nilo». E in effetti, fin dall´età della pietra, è stato proprio il fiume più lungo del mondo a promuovere una grande civiltà antica come quella egiziana. Al di qua del Mediterraneo, nell´Italia di oggi, i nostri fiumi dissestati rischiano invece di diventare un simbolo di degrado e d´inciviltà.
La Repubblica 02.11.10
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«C’è un’industria dell’emergenza», di Maria Zegarelli
Il parlamentare Pd: «Dal 2008 ad oggi sono stati dimezzati i fondi destinati al dissesto idrogeologico. Ecco i risultati». Un drastico taglio delle risorse destinate alla tutela idrogeologica
del territorio eunatteggiamento troppo ammiccante verso gli abusivismi: un mix micidiale somministrato durante i governi berlusconi «e risultati sono sotto gli occhi di tutti», secondo
Roberto Della Seta, parlamentare Pd.
Frane, morti e allagamenti. Solo calamità naturale?
«L’Italia per il modo in cui è fatta è un paese fragile dal punto di vista della stabilità del suolo e dell’equilibrio idrogeologico, è un dato oggettivo, ma proprio per questo le politiche di tutela del territorio e di messa in sicurezza dovrebbero essere una
priorità per ogni governo».
E invece?
«E invece in questi anni di governi di centrodestra abbiamo assistito ad una progressiva diminuzione dei fondi ordinari destinati al dissesto idrogeologico. Dal 2008 ad oggi sono stati dimezzati, ridotti a poche centinaia di milioni di euro, una cifra ridicola e assolutamente inadeguata a far fronte ai continui disastri provocati dal maltempo, come dimostra anche quanto avvenuto soltanto nelle ultime ore».
Eppure questo è il Paese dei condoni edilizi.
«L’Italia non ha eguali in Europa in quanto ad abusivismo, è un fenomeno che non conosce tregua e contro il quale i governi Berlusconi che si sono succeduti non solo non hanno fatto nulla, ma lo hanno addirittura incentivato. Si stima che oltre un quinto delle abitazioni costruite negli ultimi venti anni siano abusive, spesso costruite in aree a rischio idrogeologico.
Durante questa legislatura hanno provato a emanare il quarto condono edilizio, poi grazie all’opposizione e ad una parte di opinione pubblica hanno fatto marcia indietro.
Ma è arrivato il “piano casa” che è stato tradotto nelle Regioni
governate dal centrodestra in norme “fai da te” che permettono di ampliare la propria abitazione senza troppi controlli».
Quindi un paese destinato all’emergenza?
«Nel nostro paese c’è una vera e propria industria dell’emergenza e dunque ci sono molte persone che hanno
interesse a che non se ne esca mai. Questo governo ne ha fatto la propria Bibbia: le emergenze sono la premessa per governare senza controlli, per derogare alle norme, non dar conto della spesa e eludere leggi di tutela ambientale».
L’Unità 02.11.10