Con metà dei ministri impegnati a mettere sotto il tappeto la polvere di due anni e mezzo di governo e il titolare dell’economia ormai autoconvintosi del connubio fatto di rigore e crescita ma alle prese con evidenti problemi di tenuta parlamentare, sono state le parti sociali a chiedere di uscire dall’impasse. Un vero e proprio vicolo cieco nel quale è finita l’Italia visto che il rischio dell’inesistenza dell’interlocutore governativo si sta materializzando con il passare delle ore.
Infatti mentre fuori dagli italici confini non si placano i moniti a sostenere un mercato del lavoro attaccato dalla crisi economica che ha distrutto 30 milioni di posti di lavoro nel mondo, nel microcosmo di casa nostra si ragiona di una Finanziaria blindata e di un decreto sviluppo che rischia di promettere ma di non mantenere. In un simile clima imprenditori e sindacati hanno battuto un colpo, presentando la scorsa settimana al governo le prime proposte su crescita e occupazione e chiedendo il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali, misure per il mezzogiorno, ma anche per la ricerca e l’innovazione oltre che sollecitando la semplificazione della pubblica amministrazione. Il mondo produttivo sollecita, e a gran voce, risposte immediate perché la ripresa economica affacciatasi negli ultimi mesi si starebbe già affievolendo, perché l’onda lunga della crisi non ha allentato la morsa sul mercato del lavoro, perché i tempi di reazione non possono essere ancora dilatati.
Tutte domande alle quali al momento l’attuale governo presieduto dal premier Berlusconi, in ben altre faccende affaccendato, non è in grado di rispondere. Di qui la paralisi denunciata a Capri dal presidente degli industriali Emma Marcegaglia. Una paralisi del paese ma, soprattutto, del governo. E se il mondo produttivo, per il tramite della Marcegaglia, è convinto che non sia questo il momento per andare al voto («ad aprile c’è il piano di crescita e competitività da approvare in Europa»), occorre un esecutivo che decida. In questo senso, l’ipotesi di un governo tecnico potrebbe garantire di traghettare l’Italia in questo difficile passaggio economico dando risposte alle domande degli industriali e del sindacato. Tanto più se, come da più parti si sostiene, un nuovo governo potrebbe essere guidato da un economista.
Nella settimana in cui in Cgil sarà ufficializzato il passaggio del testimone tra Guglielmo Epifani e Susanna Camusso alla guida del sindacato di Corso Italia, l’emergenza occupazionale sembra mettere tutti d’accordo. Imprenditori e sindacati. Ma il governo, che fa? Per il momento promette il rifinanziamento degli ammortizzatori ma fine anno si avvicina a grandi passi e non c’è traccia di provvedimenti in tal senso. Lo stesso vaglio dei decreti attuativi del federalismo procede a rilento mentre l’esame della Finanziaria tabellare entra nel vivo in commissione bilancio della camera e il ministro dell’economia sta predisponendo quel milleproroghe che ormai è l’unico provvedimento su cui è concesso quel che resta dell’assalto alla diligenza del decennio passato.
Di qui l’accelerazione di imprenditori e sindacati che cercano di inchiodare la politica alla responsabilità di guidare il paese. Un’agenda di riforme ma anche di sostegni, quella che le parti sociali chiedono a più riprese ad un esecutivo che sembra sgretolarsi ora dopo ora, proprio nel momento in cui non ci sarebbe un minuto da perdere. E così dopo lo sfogo della presidente di Confindustria Emma Marcegaglia a Capri quello che imprenditori e sindacati chiedono è che sia finalmente aperta una finestra sulla crescita, che si sblocchino le nomine a cominciare da quella del presidente della Consob, che finalmente ci si impegni su un’agenda. Tanto più che oggi quell’agenda sulla crescita è condivisa da imprese e sindacati
da Europa Qu0otidiano 02.11.10