Le discussioni sul Lodo Alfano rimettono in primo piano il ruolo del Colle: un´autorità disegnata come potere neutro che diventa più presente in certe fasi storiche.mSimboleggia e rappresenta l´unità del popolo e un´istituzione di garanzia del funzionamento dello Stato. La garanzia che è fornita non è formalismo: è anzi la custodia della Democrazia per la salvaguardia della Costituzione. Tra gli effetti del lodo Alfano c´è quello di innalzare il rango costituzionale del presidente del Consiglio, e contemporaneamente – anche se verrà corretta la previsione che il blocco dei processi sia subordinato a un voto del parlamento – di abbassare quello del presidente della Repubblica, che viene parificato al premier per la temporanea immunità davanti ai reati comuni.
In realtà, si tratta di due figure assai diverse, per significato, per legittimità, e per finalità. Il presidente del Consiglio è l´espressione di una parte che resta tale – la maggioranza (quella reale o quella resa tale dalla legge elettorale) – , poiché governa legittimamente l´Italia secondo una linea che non deve essere condivisa da tutti (esiste, altrettanto legittima, l´opposizione); il presidente della Repubblica, invece, ha nell´unità la propria cifra caratterizzante.
Infatti, il legislativo – il parlamento, che concede la fiducia al governo – è composto da “membri”, ciascuno dei quali “rappresenta la Nazione” (art. 67 della Costituzione); mentre il presidente della Repubblica è il “Capo dello Stato e rappresenta l´unità nazionale” (art. 87). L´Italia è quindi rappresentata sia da un corpo composto da membri (il parlamento) sia da un Capo al quale è associata l´idea di unità. Che il testo costituzionale, pur così moderno nelle forme e nei contenuti, utilizzi l´antichissima immagine (ecclesiastica, ma anche romana) delle membra e del capo di un corpo, significa che la compagine giuridico-politica del Paese – l´ingranarsi del potere legislativo, espressione della dialettica politica che è la vita della nazione, dell´esecutivo, che a quella dialettica dà una direzione specifica (di centro, di destra, di sinistra), del giudiziario, che amministra le norme che gli altri due poteri stabiliscono e mettono in pratica – richiede, per funzionare ordinatamente, una proiezione simbolica verticale. Ci deve essere autorità, perché ci siano i poteri legali.
Un´autorità non trascendente, e anzi democratica, che non nasce dal sangue e da Dio, come quella che nello Statuto albertino era detenuta dal re e dalla sua “maestà”. Al contrario, la legittimità del presidente della Repubblica, secondo la nostra Costituzione, deriva da un´elezione di secondo grado, da parte del parlamento; questa procedura stacca il presidente dalla vita dei partiti e dalla loro inevitabile conflittualità, e proprio per questo distacco – che non è una contrapposizione – gli consente di simboleggiare, di rappresentare con autorità l´unità del popolo.
Di fatto, questa figura democratica dell´autorità è disegnata, nella Costituzione, come un potere neutro, come un´istituzione di garanzia che provvede a regolare – come il bilanciere di un orologio – il funzionamento della macchina delle istituzioni; a tal fine il presidente della Repubblica collabora alle dinamiche dei tre poteri dello Stato, curandone la rispondenza formale alle procedure costituzionali. È in questa distanza dai contenuti specifici dell´opera dei poteri statali la spiegazione della irresponsabilità del presidente, prevista dalla Costituzione.
Questo ruolo di garanzia, di autorità super partes, è stato interpretato – da De Nicola fino a Napolitano – da democristiani, socialisti, comunisti, socialdemocratici, laici. Vi sono stati presidenti conservatori e progressisti, notarili e interventisti; non tutti sono stati perfetti e impeccabili (basti ricordare le polemiche su Segni e il “piano Solo”, nell´estate del 1964, o la richiesta comunista di mettere Cossiga in stato d´accusa nel 1991); alcuni hanno voluto imprimere alla politica certe direzioni piuttosto che altre (Gronchi favorì il centrosinistra); alcuni si sono dimessi (Leone e Cossiga), altri sono stati amatissimi e popolari (Pertini, Ciampi) o hanno ispirato molta fiducia (Napolitano).
Ma in generale, comunque si presenti, la garanzia che è fornita dal presidente della Repubblica non è formalismo; è anzi la custodia – autorevole ma non autoritaria – della democrazia, per la salvaguardia del significato autentico della Costituzione: il rispetto delle competenze e del decoro costituzionale, l´equilibrio fra le componenti storiche del Paese e fra le sensibilità e gli interessi che lo costituiscono, la pari dignità fra i cittadini e fra le forze politiche e sociali. E tutto ciò non è ipocrisia, né vuoto cerimoniale: è politica, sottratta alla politica quotidiana, e quindi più alta e più profonda di questa.
L´aspetto “politico” dell´autorità del presidente è meno evidente nei tempi “normali” della Repubblica, mentre è molto rilevante quando, come ai nostri giorni, prevalgono le tentazioni di forzatura costituzionale, le interpretazioni plebiscitarie della democrazia, i disegni di squilibrare i poteri dello Stato a favore dell´esecutivo. Quando si cerca di deformare la Costituzione, il presidente – proprio per esserne custode – deve resistere, diventando così un attore, di fatto, della politica; ma senz´altro contenuto e senz´altra finalità che di consentirne il normale funzionamento. La fiducia che gli italiani oggi manifestano per Napolitano è quindi rivolta, oltre che alla persona, anche alla forma democratica e istituzionale dell´autorità, e a una politica che sia rispettosa delle indicazioni della Costituzione.
La Repubblica 28.10.10