E’ il passaggio più delicato questo terzo incontro a Cortona per Dario Franceschini. Cinque mesi fa, proprio da qui la minoranza lanciava l’ultimatum al segretario Pier Luigi Bersani: “O si cambia o si muore”. Oggi ci sono Area dem con Franceschini, Fassino e Marini e Movimento Democratico con Veltroni, Fioroni e Gentiloni. Una scelta che Franceschini oggi rivendica: “E’ una scelta coerente con quanto dissi durante le primarie: se perdo sostengo lealmente chi vince. Succede così in tutti i partiti riformisti: non si rimette in discussione il progetto quando vince un leader che non piace o c’è un problema. Basta scannarci sui giornali”. Ma quale diventa allora la funzione di questa area che non è corrente, non fa opposizione dura e pura contro la segretria e si distingue dal tridente che ha dato vita a Movimento democratico? “Rilanciare il progetto riformista del partito democratico non rinunciando a portare il proprio punto di vista”, spiega l’ex segretario davanti ad una platea che applaude convinta alcuni passaggi, meno altri, che al suo interno ha delle perplessità.
Le alleanze
“Ci aspettano mesi difficili all’insegna del declino del berlusconismo – ragiona Franceschini –. Potremmo assistere a pericolosi colpi di coda. Più calano i sondaggi, più si avvicina la fine, più saranno insidiosi i colpi di coda”. Dunque il Pd di fronte all’emergenza deve rivolgersi a “tutti i partiti e ai singoli parlamentari” per impedire che si vada al voto con questa legge elettorale per dare vita ad un governo “politico” – la vera novità di Cortona -, che affronti il nodo della riforma elettorale ma non soltanto quello, traghettando il paese a fine legislatura, mettendo mano ai problemi più urgenti. Mano tesa a Perferdinando Casini, che ieri proprio di questo ha parlato durante un incontro con i coordinatori regionali Udc. Un’accelerazione nel dibattito politico, più volte impressa durante la sua relazione -quando Franceschini parla di un Berlusconi “vuoto pneumatico”, al tramonto con la Lega “vero cervello della destra” – dando al paese un governo politico e intessendo la tela di una alleanza post-Berlusconi, “non con i Grillo, i Diliberto e Ferrero” ma guardando al centro, perché “ci piaccia o no, il terzo polo sta nascendo, fuori dalla nostra coalizione e indipendentemente dalla nostra volontà”. E anche perché “guardando soltanto al nostro campo non si vince”.
Apprezzamenti, cauti, anche alle aperture al centro avanzate da Nichi Vendola, “ma l’alternativa si costruirà con chi si riconoscerà nel nostro progetto di paese”. Alla maggioranza Pd dice: “Non possiamo più parlare ad un blocco sociale, il paese deve essere il nostro riferimento”. Antonello Soro, più tardi commenta: “Sarebbe il caso di mettere anche mano alla segreteria politica, dove siedono i giovani turchi che quando parlano ci portano indietro di trent’anni”. Franceschini sa bene che ci sono malumori, ma punta ad unire sulle proposte che racchiude in tre parole chiave: regole; merito; mobilità. “Ci vuole un welfare universale per garantire una base di diritti irrinunciabili per tutti, da un salario minimo, alle misure di sostegno per chi perde temporaneamente il lavoro”.
La sfida di Marchionne
Per far questo, dice, il Pd deve accogliere la sfida che Marchionne lancia, perché “ha posto un problema reale in un mondo in cui le aziende vanno via all’estero e si muovono secondo regole di profitto. E’ impensabile che in questo mondo la risposta a questa sfida sia non fare nulla. La risposta e’ difendere i diritti e essere competitivi, non rinchiudersi in difesa”. Franceschini pensa ai comitati di gestione azienda-lavoratori, “per evitare una nuova Pomigliano” e dare attuazione all’articolo della Costituzione “a cui fino ad oggi si sono opposti una parte di Confindustria e certa sinistra”.
L’Unità 23.10.10
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“La terza via di Dario tra Bersani e Veltroni”, di Rudy Francesco Calvo
Mano tesa a Casini per cambiare la legge elettorale «ma non solo». Dario Franceschini era chiamato a dare, con la tre giorni iniziata ieri a Cortona, un’identità a un’Area democratica troppo lontana, dopo lo strappo, dalla nuova minoranza nata con la lettera dei 75, e che rischiava di apparire troppo vicina alla maggioranza di Bersani per non esserne considerata semplicemente una costola. «La rivoluzione è fallita – sintetizza qualcuno in sala – ora dobbiamo far partire una nuova sfida». E il capogruppo riesce a individuare una sorta di “terza via” interna, con l’obiettivo di parlare però soprattutto all’esterno.
A quei mondi, cioè, che vedono sempre meno un Pd che appare spostato a sinistra come un punto di riferimento. È il caso in primo luogo della Cisl, della quale Franceschini riconosce, pur senza mai citarla, il coraggio di aver accettato la sfida di Marchionne.
Ma anche del nascente terzo polo, al quale riconosce il ruolo di interlocutore se non preferenziale, sicuramente inevitabile.
Seppur al di là della volontà del Pd, «il sistema bipolare italiano è stato costruito attorno a Berlusconi e – per Franceschini – la sua fine porterà a un terremoto». Anche per questo, il leader di AreaDem offre senza timori una mano tesa ai centristi a proposito dell’idea avanzata ieri da Casini di un «governo politico» che porti a termine la legislatura. Se il compito del Pd nel breve termine era condiviso da tutti o quasi («Non esiteremo a rivolgerci a forze politiche e singoli parlamentari per fare un governo che approvi una nuova legge elettorale», come lo stesso Franceschini dice nel corso del suo intervento), questa nuova posizione, per il superamento del porcellum «ma non solo», è sicuramente destinata a riaccendere il dibattito interno. Ma il capogruppo dem non chiude comunque nemmeno a sinistra. Perché se «è difficile presentarci con Diliberto, Ferrero e Grillo», è stata invece apprezzata l’apertura di Vendola a un possibile dialogo con il centro per ricercare un’intesa. Ma è soprattutto sulla prospettiva a lungo termine del Pd che Franceschini vuole incidere, lavorando a «poche e comprensibili» alleanze, ma soprattutto individuando «pochi temi caratterizzanti che siano percepibili dal paese». Con un principio di fondo ineludibile: «Non c’è nulla di più sbagliato che occuparci solo del nostro blocco sociale di riferimento. Guardiamo anche con rispetto alla manifestazione della Fiom, ma consapevoli che quello è solo un pezzo del nostro mondo».
Regole, merito e mobilità sono le parole d’ordine attorno alle quali l’ex segretario costruisce la propria proposta, che si concentra in particolare sul tema del lavoro. «Il modello – spiega – deve essere quello di avere una base di diritti universali come la salute, la maternità, il riposo, e garanzie per tutti a partire da un salario minimo stabilito per legge e poi più spazio alla libertà contrattuale ». Se quelle sul welfare universale e sull’innalzamento dell’età pensionabile erano proposte già note, sul modello contrattuale post-Pomigliano i passi avanti sono evidenti.
«Marchionne ha proposto al paese una sfida dalla quale non ci si può sottrarre – afferma Franceschini – in un mondo in cui le aziende si spostano secondo le regole del mercato, è difficile immaginare di difendere l’esistente ». No quindi alle «risposte di chiusura, che ci sono state soprattutto nel nostro campo» e sì invece all’ingresso di «una rappresentanza sindacale nella dirigenza delle aziende», attuando pienamente l’articolo 46 della Costituzione, alla quale si sono opposti finora sia Confindustria quella parte della sinistra «che è rimasta alla lotta di classe».
Franceschini, infine, non si sofferma troppo sui nuovi equilibri interni al partito.
«È stato molto sereno» in proposito, per dirla con Franco Marini. Incassa la presenza qui a Cortona di alcuni firmatari del documento dei 75 (c’è Bosone, ma alcuni all’interno di AreaDem attendono per oggi anche Biondelli e Lusi), ribadisce l’impegno a «far crescere il mescolamento tra noi» e a «mantenere il Pd quanto più possibile vicino all’idea originaria» e intanto inizia a organizzare i suoi. Prima dell’inizio del convegno, ha riunito infatti i venti coordinatori regionali di AreaDem per capire quanto lo strappo abbia inciso sulla consistenza del movimento nei territori (ben poco, giurano tutti) e per avviare una strutturazione «leggera», ma presente. A breve, Marina Sereni assumerà ufficialmente il compito di coordinatrice nazionale di AreaDem ed entro novembre ogni provincia avrà un proprio coordinatore.
da Europa Quotidiano 23.10.10