Al ritmo di taranta la gragnuola di parole di Nichi Vendola, come previsto, ha impresso un segno accolto entusiasticamente, qui a Firenze, in un catino troppo piccolo ma per questo più ricco di calore, al primo Congresso di un partito che ancora non c’è – Sinistra ecologia e libertà – ma che «è diventato un po’ di moda», come ha detto il suo leader al termine di una lunga, torrenziale, evocativa relazione. L’impressione è che Nichi abbia chiare nella testa due cose.
La prima, è conquistare la leadership di una nuova sinistra non più gruppettara ma nemmeno del genere Cosa 4: una roba nuova, molto forte nella figura del leader, molto veloce nell’incunearsi in ambiti non tradizionalmente politici, molto svincolata dalle abituali liturgie della politica-politica. La seconda è che per fare questo, un partito normale sostanzialmente non serve: basta una fortissima leadership, sia pure senza arroganza (anzi, il contrario) ma semmai con quell’“autoironia” che gli ha consentito ieri di definirsi «un ragazzo di Terlizzi».
E contro i Golia della politica non è detto che non funzioni. Ma forse, nel nascente partito, su questo non sono tutti d’accordo, in fondo molti vengono da esperienze di partiti o di gruppi strutturati.
Ecco, la relazione di Vendola non è stata una relazione tradizionale, al Pd – per dire – che pure non è una cosetta da poco per uno che vuole sfidare Berlusconi, non ha riservato grande attenzione: sì, qualche battuta ma poco altro, perfino meno dell’attenzione rivolta ai compagni che lo sconfissero al congresso di Rifondazione («non ci sono più risentimenti ma solo sentimenti»), quei Ferrero e Diliberto salutati da un bell’applauso, malgrado le ferite.
Legittimo chiedersi se mediante Nichi si ritenti l’aggancio ai guastatori dell’Unione, ma forse è più importante domandarsi se il leader di SeL immagini in cuor suo una separazione nel Pd, stante – lo dicono i documenti congressuali – che la strada di Veltroni, Franceschini e Bersani è sbagliata, anzi, sbarrata dai fatti. E chissà, se il Pd o una sua parte sceglieranno di mollare gli ormeggi in vista di una nuova terra promessa a sinistra, troveranno lui, Nichi, a guidarlo.
Ma tornando al leader, nessuno poteva dubitare della efficacia della sua ars oratoria, della sua capacità non solo di svolgere un filo di ragionamento organico lungo un’ora e mezza ma di farlo con assoluta padronanza della scena, inutile negarlo, un po’ alla Obama, senza leggere (se non appunti), muovendo sapientemente il corpo da una parte e dall’altra, fissando negli occhi una platea naturalmente disposta ad accoglierne il verbo e a punteggiare con applausi e ovazioni anche i punti meno “efficaci”, e ce ne sono stati non pochi, nel profluvio di immagini, pensieri e parole estratti da diversi vocabolari, quelli della politica ma anche quelli di un vissuto intellettuale di tutto rispetto: la denuncia di «un paradigma emergenziale che accompagna le leadership carismatiche è una narrazione populista che avvolge l’Italia ferita» ne è un esempio fra tanti. Sì, c’è un che di angosciato nell’affresco vendoliano di un’epoca – la nostra, quella di Berlusconi ma anche della «modernizzazione regressiva » di Marchionne – per tanti aspetti peggiore di quella di prima, quando c’erano «le piazze e le sezioni» e il lavoro dava la misura della dignità umana che non era solo merce, addirittura di quando «papà ci leggeva le Lettere dei condannati a morte della resistenza», e viene appunto da chiedersi se l’inesorabile pasolinismo di Nichi sia conciliabile con la sua scommessa politica.
In platea, entusiasmo. Fausto Bertinotti si è commosso, e non era il solo.
Ecco il leader, dunque, l’uomo che sfiderà il Pd alle primarie, un palcoscenico perfetto, potenzialmente vincente, per un’affabulazione che ricorda Marco Paolini o Saviano: e se il Pd non sa rispondere, magari su un terreno più politico, se ne vedranno delle belle.
da Europa Quotidiano 23.10.10