Questa volta, dunque, non c´è bisogno di attendere una pronuncia della Consulta. Il nuovo Lodo Alfano voluto dal premier per proteggersi dai suoi processi, anche nella sua formula «rinforzata» di legge di revisione costituzionale, non è solo l´ennesima e intollerabile norma ad personam di questo quindicennio berlusconiano. È un Frankenstein giuridico, che mina alla base i principi su cui si regge la nostra Costituzione. Lo scrive nero su bianco il presidente della Repubblica che, della Carta del 1948, è il supremo «custode e garante».
Se Giorgio Napolitano ha avvertito l´urgenza di intervenire subito, a dibattito parlamentare ancora in corso, per indicare le sue «profonde perplessità» e la «palese irragionevolezza» del testo all´esame del Senato, vuol dire che il rischio di vedere stravolti gli equilibri repubblicani ha superato il livello di guardia. Proprio ieri avevamo segnalato su questo giornale i «dubbi» che inquietano il Capo dello Stato, per un provvedimento dagli effetti devastanti e imprevedibili: «Rischia di stravolgere la forma di governo parlamentare sancita dagli articoli 55-69, di alterare le prerogative del presidente della Repubblica fissate dagli articoli 87-91, di squilibrare i poteri del governo disciplinati dagli articoli 92-96».
Ora Napolitano esplicita e precisa questi «vizi» giuridici del disegno di legge, confermando che «incide sullo status complessivo del presidente della Repubblica», e ne riduce «l´indipendenza nell´esercizio delle sue funzioni». Il Quirinale concentra l´attenzione sull´emendamento che equipara il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, ai fini della sospensione dei processi penali, sulla quale il Parlamento può votare in seduta comune e «a maggioranza semplice». Una norma contraria all´articolo 90 della Costituzione, secondo cui «il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell´esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione», e in tali casi il presidente «è messo in stato d´accusa dal Parlamento in seduta comune e a maggioranza assoluta dei suoi membri».
«Degradando» il Capo dello Stato sullo stesso piano del Capo del governo, il nuovo Lodo Alfano trasforma il presidente della Repubblica da garante super partes della Carta costituzionale in ostaggio permanente della maggioranza parlamentare. Un problema che nei mesi scorsi era stato segnalato da diversi costituzionalisti, a partire da Stefano Ceccanti, e che il premier e i suoi Dottor Stranamore non hanno mai voluto affrontare e risolvere. Un problema che si rinviene in tutti gli altri punti critici della legge all´esame del Senato, compreso quello che esclude i ministri dalla sospensione dei processi, trasformando il presidente del Consiglio in un «primus super pares» ed «elevandolo», in questo caso, allo stesso rango del presidente della Repubblica.
Ma al di là dei singoli motivi «tecnici», quello che si evince dalla lettera di Napolitano è che questa pseudo-riforma, in un insensato e micidiale meccanismo di causa-effetto, produce come unico risultato l´assoluto disordine costituzionale. Con l´unico obiettivo di salvare il Cavaliere dalle sue solite ossessioni processuali, stravolge in modo irrimediabile tutti gli equilibri istituzionali. Ancora una volta il cesarismo carismatico, mondato dai suoi peccati e sacralizzato attraverso il lavacro dell´urna, pretende che la biografia collettiva della nazione si pieghi e si modelli sulla biografia personale di Silvio Berlusconi. Non più con l´uso della legge ordinaria, ma ormai addirittura attraverso l´abuso della Costituzione.
Diciamo subito che questo scempio da macelleria costituzionale, compiuto sulla carne viva del Paese, non può e non deve passare. Per quanto disperato e incattivito dal declino avventuroso e perciò pericoloso del suo leader, il centrodestra non può ignorare il monito di Napolitano. Se non al prezzo di aprire un conflitto tra i poteri dello Stato che non ha precedenti nella storia repubblicana. Una riflessione che vale per tutti. Non solo per Berlusconi, che farà bene a meditare sui rischi ai quali lo espone la sua irresponsabile «fuga presidenzialista». Ma anche per Fini, che farà bene a riconsiderare il via libera fin troppo arrendevole concesso al nuovo Lodo Alfano. «Sulla nostra democrazia grava un macigno», ha detto ieri il Cavaliere alla «Frankfurter Allgemeine Zeitung». Alludeva ai magistrati, ovviamente. Ma è chiaro a tutti che ormai il vero «macigno che grava sulla democrazia» è solo lui.
m.gianninirepubblica.it F
Pubblicato il 23 Ottobre 2010