Area Dem si ritrova a Cortona per approfondire alcuni dei nodi che il Pd deve sciogliere se vuole davvero parlare all’insieme della società italiana, affermando così il suo ruolo di asse portante dell’alternativa all’attuale governo. Siamo di fronte a un paradosso e a una difficoltà. Il paradosso è quello di un partito che, nonostante stia cercando di definire un “vocabolario” riformista sui principali temi programmatici, continua ad apparire incerto, oscillante, diviso.
La difficoltà è quella di un grande partito in cui le diverse sensibilità, anche dentro alla maggioranza uscita dalle primarie, anziché concorrere a rendere visibile un profilo unitario sembrano preferire la rendita di posizione che può scaturire
dal distinguersi. Basta pensare alla cacofonia di dichiarazioni e interviste sulla manifestazione della Fiom.
A Cortona vogliamo provare a mettere a fuoco questo tema: il Pd non doveva aspettare Pomigliano per scoprire che in Italia c’è una grande questione che riguarda la produttività e la competitività della nostra economia. Non poteva e non può permettersi di non raccogliere la sfida del cambiamento che l’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha posto
in tutta la sua brutalità.
La crisi finanziaria, economica e sociale ha mostrato la fallacità delle ricette neoliberiste della destra, ma questo non basta per ridare fiato e credibilità ad una risposta progressista, in Europa come negli Stati Uniti. Come combattiamo le diseguaglianze e i rischi di impoverimento drammatici che riguardano certo i lavoratori dipendenti, ma sempre di più ampi strati di lavoratori
autonomi e piccoli imprenditori, nonché una sterminata platea di
atipici e precari, tra cui molte donne e giovani?
Dobbiamo liberarci da schemi del passato: non possiamo essere
solo il partito dei lavoratori dipendenti, tanto meno dei soli dipendenti pubblici. Se vogliamo rispondere alla rabbia e alla legittima protesta degli operai e difendere la dignità del lavoro dobbiamo prendere noi in mano la bandiera dell’innovazione
e delle riforme. E farlo senza subalternità culturali, senza
icercare diplomaticamente l’accordo con questo o quel sindacato, con questa o quella sigla datoriale.
Poco prima di lasciarci Berselli ha scritto nel suo L’economia giusta (per Einaudi, 2010, collana Vele): «La domanda è inevitabilmente brutale: un ordine sociale fondato su un’economia regolata dallo Stato e temperata dal welfare può riaffiorare nella globalizzazione ritrovando un ruolo e una posizione competitiva?».
E ancora: «Occorre accingersi a costruire una cultura, forse non della povertà, bensì della minore ricchezza (…). Quale cultura è in grado di adeguarsi alla stagnazione?
Forse quella del monetarismo spinto, nell’attesa della crescita che verrà, una volta sciolti gli ultimi vincoli?
Oppure una visione collettiva più prudente, con la quale ci si abitui agli attriti della crescita lenta?».
È a queste domande che a Cortona proveremo a rispondere.
*Deputata e vicepresidente del Pd