Lavoro, la Ue si muove
David Sassoli: “Ieri il parlamento Ue ha votato tre risoluzioni che costringeranno i governi a ripensare la filosofia degli interventi sulla crisi: la tassa sulle transazioni finanziarie, il reddito minimo garantito contro la povertà, i termini di pagamento della pubblica amministrazione”.
Due indicazioni rimbalzano dall’Europa e vanno dritte al cuore del dibattito promosso da AreaDem che oggi comincerà a Cortona.
Ieri il parlamento Ue ha votato tre risoluzioni che costringeranno i governi a ripensare la filosofia degli interventi sulla crisi: la tassa sulle transazioni finanziarie, il reddito minimo garantito contro la povertà, i termini di pagamento della pubblica amministrazione.
Tre provvedimenti destinati a stabilizzare e a cambiare il trend dopo un periodo in cui l’incertezza ha prodotto strategie rigoriste e tagli di bilancio.
Torna d’attualità per i progressisti la domanda chiave di questa stagione, indicata con precisione da Edmondo Berselli nel suo pamphlet/testamento: «Un ordine sociale fondato su una economia regolata dallo stato e temperata dal welfare può riaffiorare nella globalizzazione ritrovando un ruolo e una posizione competitiva? ».
Le decisioni assunte dal parlamento europeo rilanciano proprio l’idea di una politica che vuole dare governo ai processi economici e finanziari. Torna d’attualità, come ha rilanciato di recente Paul Krugman, una antica questione: l’occupazione dipende dalla spesa e se non si spende non c’è lavoro.
E oggi la richiesta riguarda proprio il lavoro. Lo chiedono famiglie, imprese, servizi pubblici, territori. Lo chiede quel processo inarrestabile di globalizzazione che rischia di marginalizzare chi non produce e cresce. L’Italia e l’Europa sono ferme da tempo perché da tempo non hanno visione.
Qualcosa, però, si sta muovendo nell’Unione europea. La tassa sulle transazioni finanziarie europee, osteggiata finora da governo e Confindustria, consentirà di recuperare duecento miliardi di euro.
Un tesoro da investire in occupazione e ricerca mediante un programma d’urto su grandi investimenti. Su infrastrutture ed energia occorre fare in fretta.
I critici sostenevano che il provvedimento avrebbe “deviato” i flussi finanziari: la piazza di Londra, che applica una stamp duty, ha prodotto nel 2007 cinque miliardi di euro.
Giudichiamo se questa è una fuga? Per crescere serve lavoro e lavoro qualificato. E l’occupazione costa. Dopo anni di teorie in cui il mercato sarebbe stato la “mano invisibile” di Smith che aggiusta tutto, si comincia a ripensare a un nuovo ruolo dello stato, magari in una dimensione sovranazionale.
La società responsabile di cui parla Berselli sembra ancora aver bisogno della mano pubblica per regolare, incentivare e indirizzare. Qui il grande scarto fra noi e le antiche teorie sull’economia sociale di mercato: abbattere i recinti nazionali ridefinendo un campo d’azione europeo.
Lo spazio largo, come insegna Mario Monti nel suo prezioso rapporto sul mercato unico, è la sfida contro la marginalizzazione dell’Europa. Mercato unico dovrà voler dire anche parità di salario a parità di lavoro per coniugare responsabilità delle imprese, diritti e crescita.
Trasferirsi in un altro paese europeo perché il lavoro costa meno non deve essere possibile per motivi etici ed economici. Le aziende, d’altronde, assicurano un bene pubblico ai nostri territori.
Dal mercato unico e da un nuovo welfare universale parte la sfida dei progressisti. Ed è giusta la domanda che ha rivolto al Partito democratico Famiglia Cristiana il 26 settembre scorso: come può oggi un partito che si definisce riformista difendere il lavoro, quando proprio il lavoro ha cambiato natura nel tempo della globalizzazione e dell’era Marchionne? Più che difendere, però, oggi serve rilanciare il lavoro e avviare una grande opera di redistribuzione.
È troppo ampio lo scarto tra ricchi e poveri. È offensivo per un senso comune di giustizia e provoca il timore in larghe fasce della popolazione di ritrovarsi eslcuse dai meccanismi di una globalizzazione senza governo.
La lezione francese deve essere compresa: un grande paese è fermo sulla proposte di innalzare di due anni l’età pensionabile. Non è questione dei due anni in più, ma della profonda incertezza che provoca l’assenza di prospettive politiche a medio e a lungo termine.
Le parole sembrano consumate e senza grande appeal, ma sono obbligatorie per qualsiasi comunità che intenda investire sul proprio futuro: istruzione, formazione, ricerca, riqualificazione, flexsecurity. Tutto questo manca in Francia come in Italia.
Ai progressisti il compito di «riscrivere un grande compromesso fra stato e mercato fondato non solo su basi tecniche ma etiche e umanistiche», come ha scritto Romano Prodi a proposito dell’Economia giusta di Edmondo Berselli.
fonte David Sassoli – Europa
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