Illustre Presidente,
mi permetto di rivolgermi direttamente a Lei conoscendo la sua attenzione rispetto a tutte le eccellenze italiane. I contenuti di questo breve scritto sono in parte gli stessi che alcuni mesi fa l’Università di Torino illustrò in una lettera al ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Siamo certi che il Ministro abbia preso nella debita considerazione le nostre riflessioni anche se – certo in ragione dei suoi onerosi impegni – non ha avuto finora modo di risponderci. Ci è parso quindi opportuno e doveroso segnalare anche a Lei alcuni elementi di valutazione per fare chiarezza soprattutto su una certa superficialità mediatica (che assume a volte i toni di un’offensiva campagna di stampa) con la quale spesso vengono affrontati i problemi dell’Università italiana, e che è a sua volta causa di disagio e sofferenza per chi nell’Università ben opera e di deplorevole equivoco per l’opinione pubblica.
E’ sintomatico in questo senso l’uso distorto e acritico che viene fatto delle classifiche internazionali di valutazione degli Atenei, le quali vedono spesso assai penalizzate le Università italiane, ma a motivo per lo più della inconfrontabilità di strutture e risorse: è evidente che molte università specie anglosassoni dispongono a volte di risorse che da sole sono pari all’intero finanziamento statale dell’Università pubblica italiana, hanno un numero limitato e fortemente selezionato di studenti che contribuiscono con tasse di iscrizione assai elevate, vantano un rapporto docenti/studenti davvero incommensurabile rispetto alle Università italiane. A tali condizioni il gap appare inevitabile, ma non si tratta – ciò è quanto si vorrebbe vedere evidenziato a livello di illustrazione mediatica – di un gap di qualità della ricerca e della didattica o di preparazione dei docenti e ricercatori, bensì appunto di una distanza di mezzi e di sistemi che auspichiamo possa essere colmata. Ne sono prova ad esempio il fatto che negli oggettivi indicatori Ocse appena pubblicati, mentre l’Italia risulta al penultimo posto in Europa per finanziamenti all’Università, la produttività scientifica certificata dei ricercatori italiani si pone addirittura al secondo posto: per usare un’espressione a Lei cara, un vero e proprio miracolo italiano.
Si pensi anche al problema della cosiddetta fuga dei cervelli: se ogni anno 35.000 laureati e dottori di ricerca italiani trovano impiego in centri di ricerca prestigiosi degli Stati Uniti e dell’Europa ciò significa che il livello di alta formazione espresso dall’Università italiana è fra i più elevati al mondo. A questo proposito però si pone un problema davvero drammatico: i 35.000 cervelli annualmente in uscita, a cui corrisponde un flusso in entrata di soli 4000 laureati e dottori di ricerca stranieri, sono costati allo stato e alle famiglie per la formazione circa 600 mila euro ciascuno: il che significa che l’Italia si priva di intelligenze di eccezionale valore (motivo di grande orgoglio ma di grande angoscia per l’intera società italiana) mentre elargisce generosamente ogni anno circa 20 miliardi di euro a Stati non certo bisognosi come gli Usa, l’Inghilterra, la Germania e la Francia. Se a ciò si aggiunge che dei 15 miliardi di € di contributi Ue per l’alta formazione pagati ogni anno dal nostro Paese ne ritornano soltanto 9, arriviamo a un totale di 26 miliardi di euro perduti ogni anno: uno spreco che grida vendetta.
Sono queste le sofferenze reali, di cui davvero poco si parla, e che coinvolgono non solo l’Università italiana ma l’intero sistema Paese e che rappresentano un allarme reale di fronte al quale impallidisce ogni reiterato e spesso non comprovato luogo comune sull’Università italiana. Un’Università, caro Presidente, che nonostante le enormi difficoltà, i mezzi sempre più scarsi, gli attacchi indiscriminati e le ingiurie ripetute che subisce – per lo più ingenerosamente – da molte parti, continua ad operare con impegno e sostanziale virtuosità come unica effettiva agenzia in Italia di realizzazione di progetti di ricerca, di innovazione e di formazione delle classi dirigenti. Un’Università quindi assolutamente disponibile a riforme condivise su basi valutative e meritocratiche, che va sostenuta e non umiliata perché continui a svolgere e sviluppare la sua insostituibile e non surrogabile missione al servizio del Paese al fine di impedirne il progressivo declino e di salvaguardarne la competitività internazionale.
*Rettore dell’Università degli Studi di Torino
Lettera al Presidente del Consiglio
La Stampa 21.10.10