Dietro gli incidenti di Terzigno il flop delle promesse e le colpe di una classe politica.
Le immagini che arrivano da Terzigno e Boscoreale, i due paesi del napoletano che stanno lottando per non essere inghiottiti dalle discariche, diventano ogni giorno più dure e insopportabili. La polizia carica e manganella indistintamente, non solo giovani esagitati ma anche donne e signore anziane, per sgomberare le strade dai blocchi anti-monnezza; i camion e gli autocompattatori bruciano nel fuoco appiccato da cittadini esasperati; non si contano poi le sassaiole modello Gaza. Insomma, scene che lo stesso questore di Napoli definisce «da guerriglia urbana», commentando gli arresti di cinque persone ree di aver aggredito gli agenti. E a peggiorare la situazione il fatto che stavolta nell’insurrezione popolare non c’è lo zampino della camorra, come confermano gli ultimi report del Viminale. È solo una rivolta di popolo.
Napoli e la Campania, quindi, sono di nuovo nel caos munnezza. Di chi è la colpa stavolta? Non certamente, o almeno non solo, del centrosinistra come ancora oggi ama ripetere Berlusconi. Il primo responsabile dello sfacelo è anzi un suo fedelissimo: il presidente della provincia di Napoli, Luigi Cesaro. “Giggino ‘a purpetta”, come viene affettuosamente chiamato dai suoi stessi elettori, è entrato nelle simpatie del Cavaliere grazie al patto di ferro che ha stipulato con un altro che a palazzo Grazioli è di casa: il coordinatore campano del Pdl, Nicola Cosentino detto “Nick ‘o mericano”. Nelle mani di Cesaro è finita la delicata gestione del ciclo di rifiuti dal primo gennaio di quest’anno, data in cui il commissario Bertolaso ha fatto le valigie e ha lasciato la soluzione del problema munnezza agli enti locali campani, provincia in primis. Ma in questi dieci mesi Cesaro ha fatto poco o nulla, limitandosi a costituire la Sapna, la società che avrebbe dovuto smaltire l’immondizia, e affidarla all’ex commissario Catenacci, senza però renderla operativa. Del resto, l’amico di Cosentino appena dopo l’elezione, già sapeva di non essere in grado di gestire il ciclo dei rifiuti. In un’audizione parlamentare presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti datata 28 ottobre 2009, Cesaro chiede ufficialmente una proroga del passaggio di consegne perché preoccupato «per motivi di ordine pubblico». La proroga però non arriva, Bertolaso non intende rimanere un giorno in più a Napoli. Quello che arriva però, dieci mesi dopo, è la rivolta dei cittadini che mette a repentaglio l’ordine pubblico. Con Cesaro che è stato tragicamente buon profeta.
Non è solo “Giggino” però a portare sulla coscienza il riscoppio del bubbone campano. Ci sono le responsabilità dei tanti comuni del napoletano che non sono riusciti a far partire la raccolta differenziata. In testa, ovviamente, Napoli, dove la Jervolino non è riuscita a superare il venti per cento rispetto al quaranta previsto. Ma ci sono poi anche le tante responsabilità di regione, province e comuni per la mancata partenza dei lavori per i tre termovalorizzatori da aggiungere a quello funzionante (purtroppo però mai a pieno regime) di Acerra. A Salerno il sindaco De Luca è in attesa di lanciare il bando per la costruzione. A Napoli Est sì è ancora più indietro, visto che la Regione solo adesso ha ceduto i terreni. A Santa Maria la Fossa, nel casertano, invece si sono perse le tracce del progetto. Bassa differenziata e termovalorizzatori lontani dal venire significano una sola cosa: i rifiuti vanno in discarica. Quindi ne serviranno sempre di nuove per evitare un’emergenza continua. In questo scenario, però, non va dimenticato il governo: Berlusconi s’è rifiutato di stanziare nuove risorse, limitandosi a gettare la croce addosso alla Jervolino. Salvo però ricordare il “miracolo napoletano” compiuto due anni fa. Miracolo che ora si rivela per quello che è: un grosso bidone.
da Europa Quotidiano 20.10.10
1 Commento