I luoghi simbolo del caporalato sono le rotonde stradali sparpagliate tra i vialoni del casertano, del litorale domiziano, della provincia Nord di Napoli. È nei pressi di questi slarghi di cemento che ogni mattina migliaia di immigrati, per lo più africani, vengono ingaggiati per pochi euro al giorno. Per lavorare in nero nell’edilizia, nella grande distribuzione, nelle campagne. Senza assicurazione, senza tutele, senza contributi. Senza
nessun diritto. Ieri mattina all’alba questo esercito di manovalanza clandestina e silenziosa – stimato in quasi 7000 persone secondo i movimenti dei migranti e dei rifugiati – ha deciso di protestare incrociando le braccia. Per dire no alle condizioni finora imposte loro dai caporali, alle paghe giornaliere da fame ancora più basse con la crisi in atto, alle trattenute di 3 o 5 euro imposte dagli schiavisti del Terzo millennio.
SOSTENUTI dai centri sociali, dai movimenti anti-razzisti e dalle associazioni di volontariato, gli immigrati si sono radunati a Baia Verde, Villa Literno, Castelvolturno, Casal di Principe, Pianura, Scampia, Afragola, Giugliano, Quagliano, Licola, Quarto, portando appeso al collo il cartello: “Oggi non lavoro per meno di 50 euro al giorno”. Distribuendo un volantino dal titolo “Siamo uomini o caporali”, hanno spiegato le proprie ragioni agli automobilisti e ai passanti incuriositi. Raccontando storie di agghiacciante sfruttamento. Come quella del nordafricano 30enne che si spacca la schiena 10 ore per 15-20 euro al giorno, a seconda dell’umore del caporale di turno. O del giovane nigeriano che scarica cassette di frutta e di latte in un supermercato gratis per giorni, nella speranza, che non sempre si avvera, di ricevere un salario a fine settimana.
JOSEPH, 39 ANNI, ghanese vive da nove in Italia, è sposato e ha due figli. Vive nella periferia di Villa Literno, dice di arrangiarsi con lavoretti da 25-30 euro al giorno e confessa di non riuscire a farcela. D’estate Joseph fa il bracciante agricolo: raccoglie la frutta per 12 ore al giorno. In alternativa, si presta a fare il giardiniere, il facchino, il muratore. Non raggiunge i mille euro al mese e al netto delle bollette e del cibo c’è davvero poco da scialare. “Qui circola una battuta che non è tanto lontana dalla realtà: c’è chi lavora soltanto per un panino” dice Mimma D’Amico del centro sociale ex Canapificio, uno degli enti che ha promosso lo sciopero. “Ma stiamo assistendo a una situazione paradossale: nei controlli incappano solo questi lavoratori, perché clandestini o irregolari, e non gli sfruttatori. Che approfittano di loro proprio perché sono privi di permesso di soggiorno, obbligandoli ad accettare condizioni davvero assurde. Cose che denunciamo da anni, nel silenzio assordante del governo e delle istituzioni, a cui ci rivolgiamo affinché favoriscano interventi per l’emersione del lavoro nero”.
LA SITUAZIONE è peggiorata da quando negli ultimi tempi alle storiche comunità di immigrati asiatici e africani si sono aggiunti i romeni e i cittadini dell’Est europeo, che accetterebbero di lavorare a condizioni peggiori (i romeni ieri hanno lavorato lo stesso). La protesta degli immigrati è comunque stata pacifica e composta. “Una bella manifestazione – commenta Alfonso De Vito, della rete antirazzista – perché queste persone hanno avuto il coraggio di scendere in piazza, metterci la faccia e sfidare i caporali”. A Baia Verde, nella piazzetta dove morì Miriam Makeba al termine di un concerto per le vittime della strage di San Gennaro a Castel Volturno, in molti si commuovono e dedicano un pensiero a Mamma Africa. Pregando per un futuro migliore.
da Il Fatto Quotidiano 09.10.10