Il caso «Marcegaglia-il Giornale» segna un’altra tappa sulla via di un inquietante imbarbarimento della vita pubblica italiana.
Da una parte, c’è un’inchiesta, condotta col solito metodo delle intercettazioni a strascico, che porta a un controllo delle conversazioni dell’intera direzione di un quotidiano, a perquisizioni in ufficio, in casa e, perfino, intime, di giornalisti a cui dovrebbe essere garantita la riservatezza delle fonti e la libertà di inchiesta.
Dall’altra, la stessa libertà professionale a cui giustamente si appellano i vertici del «Giornale» dovrebbe essere tutelata nei confronti della presidente della Confindustria, la quale confessa di essersi sentita minacciata dagli avvertimenti ricevuti. In mezzo, una pubblica opinione sconcertata per il sospetto che il ricatto, il dossieraggio mirato ipotechi pesantemente le sorti della nostra politica e la condotta, sia dei nostri leader di partito, sia dei rappresentanti delle principali forze sociali del Paese.
Le perplessità sulla robustezza dell’impianto accusatorio e sul modo con il quale si è giunti a giustificare una perquisizione così spettacolare nascono, purtroppo, per due ordini di considerazioni. Il primo riguarda la sorte di molte altre inchieste sui cosiddetti vip della vita pubblica italiana promosse dal pm Henry John Woodcock e concluse, compresa quella che riguardava infamanti accuse contro Vittorio Emanuele, con proscioglimenti senza neanche arrivare a un rinvio a giudizio. Con grave e ingiustificato danno per la credibilità di un’intera categoria di procuratori della Repubblica e fornendo insperate armi propagandistiche al vittimismo giudiziario del capo del governo e dello schieramento di centrodestra.
La seconda considerazione riguarda, ancora una volta, un sistema di intercettazioni telefoniche che, partendo da una vicenda specifica, può allargare il controllo della magistratura sulle conversazioni telefoniche dei cittadini praticamente senza limiti, né di tempo, né di argomento, né di interlocutore. Una prassi investigativa che, quando coinvolge la professione giornalistica, rischia di ledere sia il diritto alla riservatezza di coloro che vengono intercettati, sia la libertà di informare l’opinione pubblica senza censure preventive. Non si può invocare il rispetto dei principi fondamentali della nostra Costituzione, però, senza pretendere il pari rispetto per la libertà di giudizio e di azione politica dei principali protagonisti della nostra vita pubblica.
Altrimenti, apparirebbe una farisaica difesa corporativa che, con una falsa ingenuità, fa finta di non cogliere il rischio di un grave inquinamento della lotta politica. La coincidenza tra le critiche a Berlusconi e al suo governo e l’avvio immediato di campagne accusatorie, da parte dei giornali più schierati col centrodestra, indirizzate contro chi ha avuto l’ardire di non condividere l’opinione del presidente del Consiglio o l’operato del suo esecutivo è troppo puntuale e ripetuta per non alimentare un grave timore. Un grave timore confermato, del resto, dalle parole rese dalla Marcegaglia al procuratore di Napoli, a proposito della minaccia alla sua libertà di giudizio e di espressione pubblica.Questa preoccupazione è ancora più giustificata se si considerano, poi, i protagonisti e il tenore delle critiche che hanno suscitato tali campagne. L’ex direttore dell’«Avvenire», un giornale certamente non schierato a sinistra, Dino Boffo, aveva risposto ad alcune lettere di lettori con toni assolutamente moderati e con considerazioni del tutto legittime. Così come del tutto ragionevoli e condivisibili sono gli inviti al governo della Marcegaglia, altro personaggio non etichettabile certo come un pericoloso estremista antiberlusconiano, a un’azione più concentrata a risolvere i veri problemi degli italiani, senza perdersi in liti personalistiche tra fondatori dello stesso partito.
Se il confronto politico e delle idee, in Italia, si esercita con i fumogeni contro le persone e con gli assalti alle sedi di coloro che hanno un’opinione diversa o cercando di intimidire, preventivamente o immediatamente dopo, chi osa criticare il governo o il suo leader vuol dire che la nostra democrazia è davvero malata.
La Stampa 08.10.10
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“I SIGNORI DEI DOSSIER”, di GIUSEPPE D´AVANZO
Bisogna ascoltare la vittima. Interrogata, Emma Marcegaglia dice: “Ho sicuramente percepito l´avvertimento come un rischio reale e concreto per la mia persona e per la mia immagine (…) Il Giornale era piccato sia per le mie dichiarazioni contro l´operato del governo sia, soprattutto, per il fatto che io stessa e Confindustria ci siamo sempre filati poco il Giornale (…) Non mi era mai capitato che un quotidiano tentasse di coartare la mia volontà con queste modalità”.
Le modalità ora sono note. La presidente di Confindustria in agosto critica in più occasioni il governo. La macchina del fango (l´abbiamo vista al lavoro e denunciata da un anno a questa parte) si prepara a travolgerla se non corregge il suo pensiero. La “sventurata” non si corregge.
Al Giornale della famiglia Berlusconi raccolgono dunque un dossier (così annuncia il vicedirettore) e si preparano all´abituale rito di degradazione a meno che non ci sia – ultima chance – un passo indietro della Marcegaglia, un pubblico ripensamento magari in un´intervista concessa al giornale che vuole umiliarla per “venti giorni di seguito”.
Quel che conta è quella formula: “coartare la mia volontà”, come dice la Marcegaglia. Sono parole che separano il diritto-dovere di informare e ogni possibile modello di giornalismo da un giornalismo degradato a minaccia e calunnia. Un pessimo, miserabile giornalismo che non informa, ma deforma; un alambicco venefico a uso politico che non si assegna l´incarico di rendere più consapevole la volontà dei propri lettori, ma di screditare i non conformi al potere, di condizionarne la volontà, le parole, le decisioni. Chi parla oggi di libertà di stampa, dinanzi agli “avvertimenti” contro la Marcegaglia, agli ascolti telefonici subiti dal direttore e vicedirettore del Giornale, alle perquisizioni in redazione, nasconde il nodo che va sciolto. In gioco non è la libertà dell´informazione, ma semplicemente e più drammaticamente la libertà dei cittadini spaventata, aggredita dall´informazione controllata direttamente dal potere politico e diventata il manganello che disfa chi dissente, la sua vita, la sua reputazione, il suo futuro. La questione trasferita nel terreno giuridico trova un´etichetta: violenza privata, una fattispecie che appare inadeguata ai comportamenti spietati e distruttivi che indica, alla violenza che designa. E comunque è di questo che discutiamo: di “un delitto contro la libertà morale, intesa come libertà dell´individuo di determinarsi spontaneamente e liberamente”.
Ancora un volta, non tiene conto discutere dei sicari, di chi materialmente si è incaricato e s´incarica del lavoro sporco (sono pagati per farlo, lo fanno: che dio li perdoni). È più rilevante ricordare quanti delitti contro la libertà morale sono stati commessi in quest´ultimo anno; chi li ha commissionati e perché; quali sono le conseguenze per la nostra libertà, per la nostra democrazia. Bisogna indicare, allora, il mandante perché un responsabile di questo metodo – che ha trasformato la politica in scandalo, il giornalismo in killeraggio, l´uso di informazioni distruttive in strategia per prevalere nella contesa politica punendo i dissidenti – c´è. Ha un nome. È Silvio Berlusconi.
Le sue impronte digitali sono dovunque. A cominciare dall´inizio di questa storia. Luglio 2009. Berlusconi non è messo bene. Scombussolato dalla commistione tra boudoir e selezione della classe dirigente politica, travolto da una minorenne che confessa come e quando “Papi” le ha promesso o la ribalta dello spettacolo televisivo o un seggio in Parlamento come custode della volontà del popolo sovrano, il Cavaliere programma una “campagna di autunno”. Promette che replicherà “colpo su colpo”. Decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d´interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi dipendenti che gli appaiono mosci, deboli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. Li sceglie. Li nomina. È il padrone di un´industria di notizie di carta e di immagini che muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un´altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei “nemici in toga”). La sovrapposizione dei tre poteri (politico, economico, mediatico) può essere letale. Deve esserlo. Chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni – vere, false, mezze vere, mezze false, sudice, fresche o ammuffite – che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell´acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. Questo è il metodo.
Gli avversari, autentici o immaginati, cominciano a cadere come birilli. La prima a farne le spese è Veronica Lario, moglie ribelle. La ritraggono a seno nudo. Le attribuiscono un amante. È un´adultera. Segue il direttore dell´Avvenire, Dino Boffo. È colpevole di aver dato voce all´imbarazzo delle parrocchie per la vita disonorevole del premier. Il sicario del Giornale lo aggredisce con una falsa informativa giudiziaria. Gli grida contro: sei un omosessuale. Quel delitto avviene sotto gli occhi di tutti. Anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza fingono di non vedere e tacciono. Il silenzio colpevole e complice consente a Berlusconi di abbandonare ogni scrupolo, di dispiegare contro i suoi avversari le pratiche e le tecniche di un potere che rinuncia ad ogni legittimità per mostrarsi come pura violenza. Il dispositivo liberato di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico, dopo Boffo il giornalista, investe Mesiano il giudice. Lo spiano e lo calunniano le telecamere di Canale5. Tocca poi al presidente della Camera, Gianfranco Fini, responsabile di un civile dissenso politico. Lo minacciano di “uno scandalo a luci rosse” se “non rientra nei ranghi”. Il presidente della Camera non rientra nei ranghi. Al contrario, spiega in pubblico con più decisione le ragioni del suo dissenso. Gli assestano la lunga bastonatura dell´appartamento di Montecarlo in affitto al cognato. Contro questo avvilimento della politica e del governo alza la voce Emma Marcegaglia. Contro di lei si prepara la furia dei sicari…
Sempre dietro queste manovre ricattatorie appare Berlusconi. È lì in prima persona. Lo si scorge ancora – se ricordate – nell´affare Marrazzo. È al Cavaliere che viene consegnato il video del ricatto. Invita il governatore a comprarselo non a denunciare i ricattatori. Trattiene le immagini per sé: avrebbero potuto tornare utili in campagna elettorale. Si avvista la presenza del Cavaliere nel dossier che, dentro il Popolo della libertà, preparano per schiacciare Caldoro, governatore della Campania. Gli viene presentato quel documento. Il Cavaliere non se ne scandalizza. E d´altronde, per andare indietro di qualche anno, riceve nelle sue mani i nastri delle intercettazioni tra Fassino e Consorte. Li ascolta ad Arcore e a chi glieli consegna il premier dirà: “Come posso sdebitarmi per questo prezioso regalo”? L´utilità politica di quell´intercettazione è così evidente che il Giornale di famiglia – chi altro? – la pubblicherà sette giorni dopo.
Se, dunque, si rimettono in sesto i ricordi, la violenza inflitta a Emma Marcegaglia per “coartare la sua volontà” sorprende soltanto gli ipocriti che non vogliono vedere come una macchina del fango dove si concentrano potere politico, economico e mediatico mette in pericolo la nostra libertà. Quel che ci viene periodicamente rivelato (Lario, Boffo, Mesiano, Marrazzo, Fassino, Caldoro, Fini, Marcegaglia) è – come ci è parso chiaro da tempo – un sistema di dominio che spaventa, che minaccia l´indipendenza delle persone, l´autonomia del loro pensiero e delle loro parole. È una tecnica di intimidazione che minaccia la libertà di chi dissente o di chi si oppone all´uomo che governa. È, più semplicemente, un attentato alla libertà.
La Repubblica 08.10.10