Il proposito del Presidente Berlusconi di chiedere l´istituzione di una commissione parlamentare d´inchiesta sui pubblici ministeri «famigerati», enunciato domenica scorsa in chiusura della festa nazionale del Pdl a Milano, non ha il benché minimo fondamento costituzionale ed urta, anzi, contro due fondamentali principi del nostro ordinamento.
Il primo è che l´istituzione di una commissione parlamentare d´inchiesta compete in esclusiva alle singole Camere, tant´è vero che su di essa il Governo non può porre la questione di fiducia (art. 116 comma 4 regolamento Camera). Il secondo è che il nostro sistema costituzionale presuppone una parità tra i poteri dello Stato e, quindi, tra gli organi che tali poteri esprimono, tant´è vero che la Corte costituzionale ha il compito di dirimere gli eventuali conflitti derivanti da reciproche menomazioni (art. 134 della Costituzione). Conseguentemente, come sarebbe farneticante che una Camera istituisse una commissione d´inchiesta sul funzionamento dell´altra Camera o che le Camere istituissero una commissione d´inchiesta sul funzionamento della Presidenza della Repubblica, è altrettanto farneticante il proposito di istituire una commissione d´inchiesta su singoli magistrati e, quindi, indirettamente, sulle modalità di esercizio del potere giudiziario sia giudicante che requirente.
Recita l´art. 82 della nostra Costituzione: «Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione d´inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell´autorità giudiziaria».
L´ultima frase ci fa comprendere tutta l´importanza delle inchieste parlamentari. Diversamente dalle inchieste che possono essere istituite dal Governo, dalla pubblica amministrazione e, al suo interno, dalla stessa magistratura, le inchieste istituite dalle singole Camere o dalle due Camere con una legge (oppure con un atto bicamerale non legislativo) possono giovarsi del massimo dei poteri istituzionali riconosciuti dal nostro ordinamento, e cioè dei poteri che, in quel dato momento storico, spettano al magistrato (civile, penale, amministrativo, contabile) nello svolgimento delle sue funzioni (principio del così detto «parallelismo»). Non però i «poteri di giudizio», che spettano al giudice e solo al giudice, ma i «poteri istruttori» che competono al giudice per la ricerca della verità, tra cui ad esempio, il potere di disporre perquisizioni e intercettazioni telefoniche (ma sempre con gli stessi limiti che incombono sui magistrati).
Tutto questo potere – che, come detto, costituisce il massimo riconosciuto dal nostro ordinamento -, mentre può essere utilizzato per accertare le disfunzioni del nostro sistema che incidano direttamente o indirettamente sul bilancio dello Stato (ed in questo senso costituisce materia di «pubblico interesse» un´inchiesta sulle carenze dell´organizzazione giudiziaria, pienamente ammissibile), non può invece essere utilizzato per criminalizzare o perseguire singoli magistrati, come vorrebbe Berlusconi. L´accertamento delle responsabilità «giuridiche» individuali è infatti compito dei giudici che «sono soggetti soltanto alla legge» (art. 101 comma 2 della Costituzione); non è compito del Parlamento e della politica (che, per definizione, è partigiana).
Infine, non costituisce «materia di pubblico interesse», nel significato che a tale locuzione è attribuito dal primo comma dell´art. 82 della Costituzione, un´inchiesta che, in aggiunta alle leggi ad personam finora votate (il lodo Schifani, il lodo Alfano, la legge sul legittimo impedimento ecc.), serva per impedire la celebrazione dei processi a carico del Presidente del Consiglio per i reati comuni a lui contestati.
La Repubblica 07.10.10