università | ricerca

"Ricercatori, ancora alla porta", di Enrico Campofreda

A colloquio con Manuela Ghizzoni, deputata del Partito democratico, che segue alla Camera l’iter di approvazione del decreto Gelmini. Tra i punti deboli la carenza di fondi: «Mancano 1,35 miliardi di euro». L’accelerazione che il governo, tramite il ministro dell’Istruzione Gelmini, voleva dare all’approvazione della Riforma universitaria ha incontrato un primo ostacolo nella riunione dei capigruppo della Camera. La discussione parlamentare è slittata di dieci giorni e la votazione avverrà, come ha sottolineato il presidente Fini, al termine della sessione bilancio che parte a metà novembre. Ad accogliere queste novità con una certa soddisfazione i ricercatori dei comitati in lotta dei vari atenei che considerano il rallentamento frutto della propria mobilitazione. Un’agitazione che ha iniziato a ricevere il conforto di professori anche ordinari, di qualche rettore, e degli studenti che pure si troveranno a vivere il disagio di blocchi e ritardi della didattica. La difesa dell’università pubblica e del diritto allo studio generalizzato è il bene comune che unisce docenti e discenti. Manuela Ghizzoni, deputato Pd e lei stessa ricercatrice, sta seguendo nella VII Commissione della Camera lo sviluppo del decreto, del quale uno dei punti più deboli è la carenza di fondi.

A che punto è la discussione?
Il ministro Tremonti e il governo ci devono dire quante risorse hanno intenzione di rimettere nel fondo di finanziamento ordinario e quanto intendono investire per il fondo di merito ovvero se hanno intenzione di sbloccare il turn over e poi rispondere alle legittime richieste dei ricercatori. In più devono chiarire quante risorse offriranno agli atenei per aprire posizoni da tenure-track (il sistema dei 3 anni più 3 riservato ai ricercatori, ndr). Se anticipiamo il voto prima di conoscere le tabelle della Finanziaria giochiamo a carte scoperte e noi non vogliamo farlo. Mancano 1,35 miliardi di euro, attendiamo risposte.

Si è ventilata l’ipotesi del Dicastero di offrire 10mila posti di associato nei prossimi sei anni. Una sorta di contentino per annacquare la fase di agitazione?

Probabilmente sì. Ma quello che è in gioco con l’attuale legge è la funzione del docente universitario e l’ampliamento della precarietà nell’ambito del pre-ruolo. Se questa vuole essere una vera Riforma non può esimersi dall’intervenire sulla figura del ricercatore, che come i dati dimostrano è l’asse portante della didattica negli atenei. Questa legge avrebbe potuto essere il veicolo per una riflessione sulla docenza, invece si è rimasti ancorati all’idea della Moratti che i professori sono esclusivamente gli ordinari e gli associati mentre i ricercatori risultano figure inutili da esaurire. Con questa legge non s’intravede nessuna prospettiva reale d’ingresso nelle università per coloro che in condizioni di precariato consentono agli atenei di raggiungere gli eccellenti livelli di ricerca che conosciamo e contribuiscono in maniera fondamentale alla didattica. Come Partito continueremo l’opposizione chiara e netta attuata nelle preliminari discussioni alla Camera.

da Terra News 04.10.10

******

«No al ricatto di Tremonti»

Il rinvio deciso da Fini? «Una possibilità di approfondire»
Roberto Ciccarelli
«Vorrei capire di quale vuoto legislativo parla il presidente della Conferenza dei Rettori Enrico Decleva – afferma Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd alla commissione cultura della Camera, rispondendo all’allarme lanciato ieri dalla Crui: il ritardo dell’iter parlamentare della riforma Gelmini rischia di avere effetti disastrosi sull’università – È vero il contrario: questa legge è talmente piena di rinvii che passeranno mesi prima che produca effetti reali».
In più viene ripetuto il mantra del ministro Tremonti: prima approvate la riforma, prima le università avranno le risorse per chiudere i bilanci…
È un ricatto inaccettabile. È invece necessario conoscere quali risorse il governo ha deciso di reinvestire sull’università prima che la Camera voti il disegno di legge.
Per avere interrotto la marcia del governo verso una rapida approvazione del Ddl, siete stati accusati di aderire a ai settori più conservatori dell’università. Che cosa risponde?
Fa riflettere sullo stato di salute della nostra democrazia il fatto che la richiesta di avere tempo per esaminare una riforma che interviene così profondamente su un sistema strategico dello sviluppo del nostro paese venga stigmatizzata in questo modo. Alludo all’editoriale del prof. Panebianco di ieri e a tutta la cordata che sostiene questo progetto di riforma dell’università. Bisognerebbe avere l’umiltà di leggere i rilievi all’impianto normativo mossi dal servizio studi della camera. Suggerirei a tutti di andare a sentire l’aria che tira nelle università in questi giorni. In questo momento non è proprio il caso di fare muro contro muro. I ricercatori che si sono mobilitati non sono pericolosi facinorosi e hanno interpretato questa dilazione dei tempi come una possibilità di approfondimento.
La richiesta del ministro Gelmini è di anticipare la discussione generale al 12 ottobre. Voi cosa farete?
Ci atterremo al calendario stilato giovedì scorso. La discussione è prevista per giovedì 14. Domani cominciamo l’esame degli emendamenti. Nessun ddl di portata così estesa è stato liquidato in quattro giorni da una commissione parlamentare.
Si parla di un emendamento proposto dal Pd che propone un’indennità didattica di 150 euro per ammorbidire la protesta dei ricercatori. È vero?
Noi non abbiamo mai presentato questo emendamento. Non so in che modo sia stato attribuito a Luigi Nicolais che in questo momento è davanti a me. Credo che provvederà personalmente a smentire questa notizia. Ma, se mi permette, in questa storia il punto è un altro.
Qual’è?
In Italia ci siamo abituati all’idea che i ricercatori insegnano gratis o per passione. L’insegnamento non rientra tra i loro compiti. Fino a 10 anni fa, venivano retribuiti poco, ma lo erano. Oggi nemmeno quello e qualcuno trova strano che i ricercatori chiedano di essere retribuiti se fanno 60 o 120 ore di insegnamento.
Le pressioni per approvare il Ddl Gelmini alla Camera entro il 18 ottobre faranno cambiare idea al Presidente Fini?
La decisione di rinviare il voto dopo la sessione di bilancio è stata presa da lui. Come capogruppo del Pd l’ho valutata con soddisfazione. Oggi abbiamo la possibilità di esaminare il Ddl giocando a carte scoperte.
Come andrà a finire? Questa riforma sarà «rottamata»?
Sono parole che non riesco a capire. Che significa «rottamare» una riforma, se la sua approvazione slitta di tre o quattro settimane?
Ma come spiega allora questa crisi di nervi da parte della Crui e della Confindustria?
Lo deve chiedere a loro. Io tengo a malapena a freno i miei. Tra poco mi scade il tempo per consegnare gli emendamenti.

Il Manifesto 05.10.10