Dopo ben centocinquantatre giorni di colpevole latitanzae di irresponsabile iattanza, il presidente del Consiglio ha finalmente nominato il nuovo ministro dello Sviluppo Economico. Dovremmo essere compiaciuti, per la fine di un grave “vuoto di potere” che su questo giornale avevamo denunciato da tempo, indicandolo come vero paradigma di un ancora più grave “vuoto di politica” che ormai caratterizza lo stadio terminale del berlusconismo. E invece non c’è proprio nulla da festeggiare.
La scelta di Paolo Romani soddisfa la “meccanica” di governo: c’era una poltrona vuota, quella di Claudio Scajola, che ora viene nuovamente occupata. Ma offende l’etica: c’è un conflitto di interessi strutturale, quello di Silvio Berlusconi, che ora viene ulteriormente codificato. Romani, già viceministro, è infatti un perfetto ingranaggio della “macchina” Mediaset. È l’uomo che ha contribuito a scrivere la scandalosa legge Gasparri sulle tv. Ha fatto pressioni sulla Ue per negare a Sky la deroga sull’asta per il digitale terrestre. Ha tentato di sfilare la rete a Telecom, per consentire all’azienda del premier di prendersene un pezzo.
Ha regalato alla stessa Mediaset il canale 58, per permettergli di sperimentare il digitale in alta definizione prima della gara. Ora che è stato promosso ministro, dovrà firmare il contratto di servizio della Rai, scaduto a fine 2009.
Immaginiamo con quanta equanime solerzia saprà valorizzare il servizio pubblico, e difenderlo dallo strapotere di quello privato. Il Cavaliere e i suoi scudieri brindano. “Vendono” la nomina di Romani come il segno che il governo è vivo, e va avanti. È vero il contrario. Siamo ai “saldi” di fine regime. Caligola ha incoronato il suo cavallo. Sistemerà gli ultimi affari. Poi l’Impero potrà finalmente cadere.
La Repubblica 05.10.10