Oggi cade la Giornata mondiale dell’insegnante, istituita dall’Unesco nel 1994. Una buona occasione per riflettere sul destino della scuola, tanto più alla vigilia del federalismo scolastico, annunciato dalla Bozza di Accordo fra governo, regioni e enti locali del 29 luglio scorso. Ma sta di fatto che i mali della scuola sono gli stessi della società italiana. Uno su tutti: l’eccesso di diritto. E infatti consultando la banca dati del Parlamento s’incrociano 112 provvedimenti legislativi in materia d’istruzione, con una media di 8 nuove leggi l’anno.
Questo fiume normativo non scorre senza conseguenze sul nostro vissuto collettivo: genera un effetto di disorientamento, se non di smarrimento, che ha preso alla gola la comunità scolastica al pari di tutta la comunità italiana. Siamo talmente immersi nell’ansia di governare l’ultima riforma, che non sappiamo più nemmeno cosa abbiamo riformato. E allora, prima d’interrogarci sul federalismo prossimo venturo, è bene partire dalle categorie fondamentali, per mettere un po’ d’ordine, per aggrapparci a qualche punto saldo. O il federalismo scolastico saprà valorizzare i fondamenti della nostra convivenza, oppure sarà come un palazzo costruito su una strada ingombra di macerie. Macerie civili, non solo macerie normative.
Queste categorie fondamentali si conservano nella Carta del 1947, che a sua volta esprime una doppia istanza di libertà nei riguardi del sistema scolastico: libertà nella scuola, libertà della scuola. La prima significa libertà d’insegnamento, le cui radici affondano nella libertà di parola garantita a tutti i cittadini. Con una doppia differenza, tuttavia, che a sua volta deriva dalla funzione pubblica che accompagna questa libertà. In primo luogo, la libertà d’insegnare non può contemplare la libertà di non insegnare: siamo sempre liberi di parlare o di tacere, ma il docente muto sarebbe una contraddizione in carne ed ossa. In secondo luogo, quando la libertà di parola si pone al servizio d’una funzione pedagogica, va sempre preservata l’auctoritas del parlante, ovvero del docente. Se il suo ruolo viene svilito, neppure uno studente crederà alle sue parole. E allora qui viene in campo la specifica dignità degli insegnanti. Questo significa una procedura di selezione ispirata a criteri d’imparzialità tecnica; e significa inoltre uno stato giuridico e un trattamento retributivo che gli permettano un’esistenza libera e dignitosa.
Quanto alla libertà della scuola, entra in gioco l’autonomia delle istituzioni scolastiche, e dunque la norma costituzionale che affida alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione, fissando regole sia per le scuole pubbliche che per quelle private. In questa omogeneità di trattamento si riflette il principio d’eguaglianza, che d’altronde la nostra Carta ribadisce affermando che «la scuola è aperta a tutti». In altre parole, la libertà delle istituzioni scolastiche s’arresta quando può tradursi in un fattore di diseguaglianza: è una libertà eguale, se così possiamo dire.
Eccolo allora il metro di misura del federalismo scolastico, di cui stiamo ricevendo le prime avvisaglie in questi mesi. O il federalismo saprà rispettare la libertà degli insegnanti, insieme all’eguaglianza dei discenti, o altrimenti entrerà in rotta di collisione con la Costituzione. E non soltanto con la sua Prima parte, giacché la riforma del Titolo V non ha alterato affatto il quadro dei principi che reggono le libertà scolastiche. Difatti la legge statale, e dunque l’unica fonte normativa cogente in ogni luogo del nostro territorio, da un lato ha il compito d’enunciare i principi fondamentali in materia d’istruzione, vincolando la legislazione degli enti regionali; dall’altro lato fissa le norme generali, che a differenza dei principi sono autoapplicative. Sempre allo Stato spetta infine definire i livelli essenziali del servizio scolastico, controllandone il rispetto.
Che cosa implica questo riparto di funzioni? Implica l’uniformità di trattamento, implica la generalità della legge che a propria volta è ancella del principio d’eguaglianza, come si disse durante il secolo dei Lumi. Tutto l’opposto del federalismo sgangherato che ci propina a piene mani la politica.
La Stampa 05.10.10