Un personaggio di Kafka, destandosi una mattina, si trovò tramutato in scarafaggio: «Che cosa m’è accaduto?», si domandò terrorizzato. Il terrore non lo molla più. Noi, lettori occidentali, pensavamo che il grande scrittore praghese, ebreo, intuisse e rappresentasse gli incubi delle minoranze oppresse: essere declassati da uomini ad animali. Ma pensavamo tutto questo sforzando il cervello, per intuire una condizione che non sarà mai nostra: noi siamo occidentali, siamo europei, siamo cristiani, le condizioni a-umane o sub-umane non possono toccarci, sarebbe una contraddizione della storia, e noi siamo autori di storia, padroni della storia. Noi italiani, poi, siamo il centro della cristianità, il cuore dell’arte e della genialità. Mai saremo visti, dai fratelli europei, come animali repellenti o feroci. Non siamo lupi. Non siamo scimmie.
Ed ecco, dalla civilissima Svizzera, e dalla parte più italiana della Svizzera, il Canton Ticino, esce uno spot pubblicitario che ci raffigura come topi, anzi toponi. I toponi sono topi grassi. Perché mangiano molto formaggio. Svizzero. Non lo fanno, ma lo mangiano. Entrano in casa e sbafano tutto. Peggio che ladri, sono ladri e rapinatori e parassiti insieme. La didascalia dice: «I ratti invadono la Svizzera italiana», ma il messaggio è: «I ratti italiani invadono la Svizzera». Perché non ci siano dubbi sull’identificazione uomini-topi, i topi, tre, hanno dei nomi. Uno si chiama Fabrizio, vive a Verbania ma va a lavorare in Ticino. Il secondo si chiama Bogdan, è romeno, non ha né casa né lavoro: come uomo, un sotto-uomo, come topo, un sotto-topo. Il terzo si chiama Giulio, e fa l’avvocato. Un Giulio che fa l’avvocato è Tremonti, e Tremonti è descritto poco dopo come citrullo, disonesto, dannoso ai suoi concittadini, sabotatore delle oneste e professionali banche svizzere. Perché, introducendo lo scudo fiscale, richiama dalla Svizzera i capitali illecitamente esportati. Dei tre tipi che incarnano la malaumanità europea, noi italiani siamo presenti in due. La società svizzera-ticinese è laboriosa, risparmia e accumula (il formaggio è lì pronto, una forma enorme), «guadagna bene» (lo dice il testo, con legittimo vanto), insomma rappresenta il benessere capitalistico, e chi sta bene Dio è con lui. Noi italiani siamo il male, e facciamo il male. Non noi napoletani o noi siciliani, insomma noi italiani del Sud, facilmente e ingiustamente disprezzati dal Nord: ma noi italiani del Nord, anzi del Nord del Nord, noi frontalieri della Svizzera. Noi rubiamo il lavoro. Ci facciamo pagare con una cicca, e così eliminiamo ogni concorrenza. I lavoratori svizzeri sono troppo umani e dignitosi, non si fanno pagare da straccioni. E poi hanno una moneta buona, solida, stabile. Non hanno l’euro, ballerino e spregiato. Noi italiani del Nord, sottolavoratori della zona euro, siamo accecati dal salario decente e dal franco.
Ma queste non sono esattamente le accuse che noi, italiani del Nord, rivolgiamo agli europei dell’Est e agli africani del Nord? Vengono da aree dove il lavoro è zero, hanno monete rifiutate dalle nostre banche, qui fanno i sottolavori sporchi o malsani o rischiosi che noi scartiamo, si accontentano delle sottopaghe che noi sdegniamo, qui vivono la loro miserabile sottovita, e noi li accusiamo di rubarci i posti (se non ci fossero loro, li occuperemmo noi), entrare nelle case sfitte, e ripagarci stuprando le nostre donne, rubando nelle nostre case, e riempiendo le nostre prigioni. Non diciamo «siete topi», ma gli incendiamo gli insediamenti, per farli scappare. Come gli svizzeri con noi. Gli italiani ai confini della Svizzera sono ratti, dicono, «e noi vogliamo derattizzare». Testuale. È un calcio in pancia che ci sveglia di soprassalto. Apriamo gli occhi, e ci troviamo trasformati in topi.
La Stampa 29.09.10