E intanto torna l’Uomo qualunque. Mentre noi continuiamo a fissare la punta delle scarpe come dice Bersani, a saltellare da un convegno di corrente all’altro, a passare dalla lettura del documento dei “giovani turchi” a quello “dei 75”, i nipotini dell’Uomo qualunque sono tornati in politica: «Né con la destra, né con la sinistra, ma al di sopra». Diceva così anche il loro nonno, quel Giannini che nel dopoguerra si era messo in testa di sconvolgere gli equilibri della politica italiana.
Due giorni fa a Cesena, nella kermesse organizzata da Beppe Grillo, abbiamo sentito discorsi non nuovi, e sicuramente non utili al paese. Non pentiti e non appagati dei risultati prodotti alle recenti regionali del Piemonte, hanno deciso infatti di ripetersi al livello nazionale. C’è da giurarci che, proprio alla luce del risultato piemontese, oltre allo spazio che sapranno conquistarsi nella rete, ai grillini saranno riservati spazi copiosi, gratuiti e non disinteressati, dai media soprattutto quelli legati alla destra. È la democrazia, bellezza!, verrà detto. È vero, è la democrazia e allora come reagire, per competere efficacemente? Rincorrendoli come fa Di Pietro? Non mi pare la strada. Piuttosto si dovrà fare come la Dc nelle elezioni del 1948: cambiare il gioco, alzare la palla per sottrarla a chi nel gioco a terra ha l’agilità e la spregiudicatezza per inserirsi.
Occorre cioè tornare rapidamente alla responsabilità della politica, alla serietà, al gioco di squadra vero, alla qualità morale, all’ambizione alta, a un progetto proiettato credibilmente al futuro. Può sembrare questo un discorso volontarista, moralista od occorrista. Io invece sono convinto che al di fuori di una presa di coscienza delle ragioni che rendono oggi incredibile ed inattraente la politica non ci sia via d’uscita per il Pd. Siamo infatti nel mezzo di uno strepitoso cambio d’epoca che evoca un linguaggio e una iniziativa adeguati della politica, proprio perché si stanno cambiando gli equilibri del mondo, stanno andando in crisi le tradizionali istituzioni della democrazia moderna, si stanno sostituendo paradigmi culturali e religiosi condivisi da lunghi secoli, si sta imponendo una civiltà valoriale e un senso comune che tende ad escludere l’interesse e l’utilità della politica. E noi, fissi lì sulla punta delle nostre scarpe.
Perché mai la generazione della microwoodstock romagnola dovrebbe esser interessata alle nostre scarpe o anche alle cose intelligenti che ci raccontiamo nei nostri convegni davanti a platee di militanti sempre più sfiduciati e stagionati? Rischiamo infatti noi stessi di essere ipnotizzati e paralizzati dalle indecenti guerre senza quartiere dei partiti di destra in una sorta di inconsapevole controdipendenza che coinvolge tutti, opposizione compresa.
Ecco perché è giunto il tempo se ancora siamo in tempo, per alzare lo sguardo e fissare l’orizzonte.
Non a caso ho evocato la Dc del 1948, quella che sconfisse il qualunquismo con un’idea di futuro, di democrazia e di paese.
“Per fortuna che la Costituzione c’è!”, mi verrebbe da dire, c’è e continua a mettere argini alla deriva estrema della democrazia italiana. Non mi sfugge l’osservazione di alcuni nostri amici, penso a Walter Veltroni che la ripropone in modo rigoroso e suggestivo, secondo cui il Pd continua a configurarsi come un partito che gioca in difesa e non per il cambiamento.
Ma ci sono momenti in cui senza la difesa dei fondamenti della democrazia è preclusa ogni strategia di cambiamento.
Certo, non possiamo identificarci con gli stereotipi antiberlusconiani, ma non è meno vero che la lotta contro il berlusconismo oggi non è una battaglia contro una persona, ma contro un sistema politico divenuto già “tecnicamente dispotico” e un’indole relativistica collettiva – potenzialmente sempre più “senso comune” – che struttura giorno dopo giorno una attitudine diffusa all’assuefazione ai fatti che accadono, alla ineluttabilità dei fatti, alla generalizzazione dei fatti e alla impossibile moralità dei fatti.
Non c’è altra via allora, se vogliamo contrastare questa degenerazione, che ritornare al senso, alla missione, all’eticità della politica e dei comportamenti individuali del ceto politico. Perciò mi preoccupa la persistente distanza e sproporzione tra gli stessi nostri progetti in sé apprezzabili, ma insufficienti (penso alle 10 parole lanciate dalle nostre assemblee nazionali) e la drammatica gravità della crisi e delle sfide che ci fronteggiano.
Perché è in quella distanza che si insinuano gli spazi della sfiducia e del qualunquismo. È vero che oggi c’è bisogno di una generazione di uomini politici freschi, moderni e pragmatici.
Ma c’è ugualmente bisogno di un scatto di qualità culturale e morale della politica. I grandi uomini della nostra repubblica, quelli che abbiamo inserito nel pantheon del Pd, sono lì a dimostrarci che non vi è concretezza ed efficacia dell’azione senza intelligenza della storia e una profonda idealità.
da Europa Quotidiano 28.09.10