Due anni e mezzo dopo le elezioni politiche, praticamente: a metà legislatura, il premier torna alle origini. Riprende il discorso da dove l´aveva iniziato. Due anni e mezzo fa. Oppone l´immagine disastrosa offerta dalla “politica” al suo “governo che fa”. In silenzio.
Un ponte per portare Futuro e Libertà in una «fase del tutto nuova». Una cesura netta rispetto al passato. E ora, nell´orizzonte dei finiani si apre il percorso definitivo verso il «distacco». E verso «accordi politici innovativi».
Le prossime quarantotto ore, quelle che precedono il dibattito alla Camera sul programma di governo, sono quindi considerate «decisive» dall´intero stato maggiore “futurista”. Una partita a scacchi piena di incognite, in particolare sull´intervento preparato da Silvio Berlusconi. Ma con una certezza confidata ieri da Fini ai suoi fedelissimi: d´ora in poi «la lealtà sarà solo verso gli elettori e non verso il premier». E già, perché il rapporto tra i due cofondatori è ormai irrecuperabile. Anzi, entrambi stanno mettendo nel conto una crisi di governo in tempi brevi: «perché così – ripete il presidente del consiglio – la situazione è insostenibile».
Così, il Cavaliere è pronto a sfidare l´ex alleato sulla giustizia per stanarlo e riversargli l´intera responsabilità della rottura. Il presidente della Camera, invece, è deciso a far valere la sua linea: «da sabato mi sento liberato di un peso». Una resa dei conti e la previsione di una crisi di governo che i finiani poggiano su una considerazione inequivocabile: «Berlusconi, per arrivare al Quirinale dopo Napolitano, deve liberarsi di Gianfranco». Un da tagliare senza incertezza e che ha come esito, appunto, la crisi dell´esecutivo.
Non a caso l´inquilino di Montecitorio ha iniziato ad adottare tutte le contromisure possibili. Compreso l´avvio di vere e proprie “prove tecniche” per una nuova alleanza. I contatti con Pier Ferdinando Casini e Francesco Rutelli, avviati da tempi, adesso si sono intensificati. Ma soprattutto è stato attivato un “canale di dialogo” con il segretario del Pd, Pierluigi Bersani. Conversazioni, scambi di opinioni: sulle emergenze del Paese e sulla crisi economica, sulla legge elettorale e sulle riforme. Per ora niente di più. Ma tutti i ragionamenti convergono su un interrogativo: che fare in caso di crisi? Accettare la strada delle elezioni anticipate o studiare «qualcosa di alternativo»? Sta di fatto che l´idea di una crisi in tempi brevi costituisce la base di ogni confronto. E Fini sa che il dibattito di mercoledì prossimo offrirà molte indicazioni per capire cosa accadrà nelle prossime settimane.
Il premier, spinto dalle “colombe” del Pdl, sta per ora preparando un discorso «alto». Nessun riferimento alla “casa di Montecarlo” e riflessioni programmatiche. Tant´è che ha chiesto a Giuliano Ferrara, da sempre sostenitore della tregua con Fli, di fornirgli qualche suggerimento. Eppure, al di là del tono istituzionale, l´inquilino di Palazzo Chigi intende comunque inserire almeno due questioni dirimenti nel suo intervento: il ddl sulle intercettazioni e il processo breve. «Nessuno può pensare che io debba rinunciare a due provvedimenti che da sempre abbiamo considerato fondamentali. Non mi faccio impressionare da chi mi ha accusato di tutto: di essere un evasore, di aver mosso i servizi e di essere un pregiudicato». Il premier vuole «stanare» i finiani e «dividerli: possiamo prendercene almeno una decina». Ma soprattutto si muove cercando di «non pagare i prezzi dell´eventuale rottura». Perché, avvertono gli uomini del Cavaliere e del presidente della Camera, «come si entra nella crisi ci farà capire anche come se ne esce». Prudenze che fanno perno sul fatto che alcune delle “colombe” più autorevoli hanno smesso di mediare e di frenare gli impulsi barricaderi del Cavaliere. Gianni Letta, ad esempio, da tempo ha interrotto la sua “moral suasion”. In modo particolare da quando Fini ha fatto riferimento al ruolo dei servizi segreti (di cui il sottosegretario ha la delega) nella vicenda monegasca.
In questo quadro, il rischio che tutto possa precipitare viene ormai monitorato ogni giorno. Anche perché il capitolo giustizia diventerà sempre più il cuore del duello Berlusconi-Fini. Lo scambio “tempo” (il rinvio delle elezioni) per lo “scudo” (l´immunità dai processi) è la sola colonna su cui il premier può accettare il compromesso. Che, però, sembra sempre più lontano dopo il videomessaggio di sabato: «Non rompiamo sulla casa di Montecarlo – ripetono i fedelissimi del presidente della Camera – ma sulla giustizia potremmo anche farlo».
E se i “futuristi” ormai lavorano ad un “gabinetto di transizione” in caso di crisi, il Cavaliere non riesce a cancellare dalla sua prospettiva il voto anticipato. Sebbene in un recente colloquio, persino Ignazio La Russa lo abbia messo in guardia: «Silvio, tu avrai la maggioranza per tutta la legislatura anche se rompi con Fini. Ma sappi che la maggioranza c´è anche per evitare le elezioni». Perché l´istinto di «sopravvivenza» dei parlamentari può essere più forte della lealtà politica.
Del resto, in vista di mercoledì prossimo, alcune questioni possono diventare esplosive. Al termine del dibattito verrà posta la fiducia? «Noi – spiega Italo Bocchino – ci sentiamo obbligati davanti alla fiducia». Ma se non venisse posta, sulla risoluzione finale i finiani si sentirebbero liberi di decidere. In modo particolare se il documento sarà firmato solo dai capogruppo del Pdl e della Lega. Se, insomma, non si prenderà atto della presenza della “terza gamba” finiana. E in ogni caso dinanzi al rilancio sul processo breve e sulle intercettazioni, Fli dichiarerà la sua contrarietà. Ma la partita a scacchi è appena iniziata.
La Repubblica 27.09.10