Cominciano a manifestarsi fatti solidi e addirittura qualche nome. La dinamica della “macchina del fango”, ingolfata di documenti falsi, s´inceppa e rincula – come sempre: è già accaduto per l´assassinio mediatico del direttore dell´Avvenire, Dino Boffo. Conviene indicare subito i fatti. I “sicari” pubblicano un documento del ministro della Giustizia dell´isola caraibica off-shore Santa Lucia dove sono custodite le società proprietarie della casa monegasca affittata dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani.
Il documento attribuisce al “parente” la diretta proprietà dell´appartamento. Il foglio ministeriale, pubblicato da due quotidiani di Santo Domingo (El Nacional, Listin Diario), ripreso in Italia dal sito Dagospia, rilanciato con molto rumore e definitive, incaute certezze da il Giornale e Libero appare anche alla luce del solo buon senso una frottola abborracciata alla meglio.
Che interesse può avere un paradiso fiscale a svelare alla prima pressione il nome del proprietario di una società nata nei Caraibi proprio per proteggersi con l´anonimato? Chiunque comprende che sarebbe stata una irragionevole leggerezza perché è plausibile il rischio di perdere, in pochi giorni e per quella bocca larga, decine di migliaia di presenze incognite e senza nome che fanno prosperare quell´isola. È stata, mercoledì, la prima delle obiezioni del “cerchio stretto” del presidente della Camera. Oggi quell´intuito si è irrobustito con un´evidenza. La tipografia di Stato di Santa Lucia – la National printing corporation – nega che il documento che avrebbe dovuto affondare Giancarlo Tulliani, e con lui la terza carica della Stato, sia autentico. Il carattere originale della scritta Attorney – General´s Chambers è differente da quello pubblicato dai quotidiani domenicani e italiani. Spiega un funzionario della National printing corporation al ilfattoquotidiano.it: “Non ho memoria che ci abbiamo mai chiesto di cambiare carattere. E noi non riforniamo carte intestate digitali, ma solo stampate”. Si può farla breve. Quel documento è stato manipolato. E´ del tutto artefatto. Nemmeno la carta intestata è autentica e, se non lo è l´intestazione, non può esserlo a maggior ragione il contenuto. A questo punto, è necessario chiedersi chi ha confezionato l´inganno. Da quarant´otto ore, il presidente della Camera e i suoi collaboratori si dicono convinti di aver rintracciato il mandante politico, gli “assassini”, le mosse dell´agguato che avrebbe dovuto cancellare il futuro politico di Gianfranco Fini, distruggerne la rispettabilità personale, costringerlo alle dimissioni e all´oblio. Fini è così convinto di essere venuto a capo della “manovra”, così persuaso che dietro il “falso” ci siano le “manine” organizzate da Silvio Berlusconi che dispone la fine immediata di ogni trattativa politica per individuare il percorso più rapido e protetto per consegnare al Cavaliere una legge immunitaria per via costituzionale. E´ una decisione che apre una partita mortale che non prevede il pareggio. Uno dei due antagonisti dovrà soccombere. Non se lo nascondono i più stretti collaboratori di Fini se si decidono a dire, come fa Italo Bocchino, “il dossier è stato prodotto ad arte da una persona molto vicina a Berlusconi che ha girato per il Sudamerica, di cui al momento opportuno saprete il nome”. “Comunicheremo nelle forme adeguate chi è la persona che si è premurata di costruire questa patacca”, aggiunge Fabio Granata.
Ora è necessario ricostruire quel che il presidente della Camera e il suo staff hanno messo insieme per poter accusare il Cavaliere. Dicono i fedelissimi di Gianfranco Fini che bisogna riordinare passo dopo passo, notizia dopo notizia, come è stata montata e da chi la trappola. La prima mossa, 15 settembre, la si scorge nel notiziario dell´agenzia di stampa il Velino, di proprietà di Daniele Capezzone, portavoce del Popolo della Libertà. “Anche la casa di Montecarlo nelle maglie della nostra intelligence e delle Fiamme Gialle?”, si chiede Vittorugo Mangiavillano. Questo Mangiavillano – ricordano i finiani – “è da sempre ritenuto pedina giornalistica dei servizi segreti e di manovre oscure e tossiche. Lo si vede tra le quinte della stagione dei veleni che colpì alla fine degli anni ottanta Falcone e il pool di Palermo. Ora scrive – e dà una notizia – ‘Gli 007 italiani e la Guardia di finanza da tempo hanno iniziato a controllare le società che, direttamente o indirettamente, hanno rapporti con la pubblica amministrazione. E la Printemps (proprietaria della casa di Montecarlo) sarebbe stata costruita da italiani o da prestanomi di italiani´”. Passano due giorni e, il 17 settembre, la rivelazione di Mangiavillano si trasferisce nelle colonne del Giornale sotto il titolo “I servizi segreti seguono la pista che porta ai Caraibi”. Quello stesso giorno i tre direttori del servizi segreti (Dis, Aise, Aisi) smentiscono che l´intelligence italiana si stia occupando di quell´affare. “Naturalmente, dicono gli uomini di Fini, nessuno ha mai pensato che i Servizi mettessero le mani in questo pozzo nero. Ma quelle notizie, la loro provenienza, la credibilità che ricevevano da redazioni molto prossime al governo sono suonate alle nostre orecchie come un campanello d´allarme. Ci siamo chiesti: ci sono agenti segreti che si sono messi al lavoro privatamente su input non istituzionali, anche se molto autorevoli? Per trovare una risposta accettabile a questa domanda abbiamo interrogato fonti nazionali e internazionali”. Anche internazionali perché, come ha argomentato Italo Bocchino ad Annozero, “ciò che accade in Italia, in un´Italia schiacciata alquanto supinamente sugli interessi e l´amicizia di Putin e Gheddafi non lascia indifferenti i nostri alleati in Occidente”. Da qui, da nostri alleati impensieriti per la nostra politica internazionale – lasciano capire gli uomini di Fini – è venuta la prima indicazione del nome di chi si è mosso nei Caraibi per confezionare e diffondere il falso documento del ministro di Santa Lucia. Lo stesso nome – aggiungono fonti di Futuro e Libertà – è saltato fuori da un autorevole fonte interna. E´ ora di farlo, questo nome: Valter Lavitola. Difficile definire Lavitola. Imprenditore del pesce in Brasile (Empresa Pesqueira de barra de Sao Joao Lida, Rio de Janeiro). Editore e direttore dell´Avanti!. Politico ambizioso ma di piccolo cabotaggio che si muove frenetico da un partito ad un altro per approdare infine prima nell´Italia dei Valori e infine nel Popolo della Libertà, dove Berlusconi chiede di candidarlo “perché ci ha dato una mano ad acquisire qualche senatore utile a far cadere il governo Prodi”. Lavitola deve aver fatto proprio un buon lavoro perché sarà candidato alle Europee 2004. Gli va male, ma – come oggi ricordano i finiani – “Berlusconi gli compra l´Avanti! e soprattutto ne fa il rappresentante del presidente del Consiglio per il Centro e Sud America”. Un incarico ad personam che l´inner circle del Cavaliere digerisce male e che comunque gli consente di essere sull´aereo presidenziale quando Berlusconi visita in luglio Brasile e Panama. Lavitola avrà il suo momento di gloria quando si scopre che – per il piacere del Sultano –organizza a San Paolo, nella suite presidenziale dell´hotel Tivoli, una festicciola notturna con cinque ragazze e una celebre ballerina di lap dance.
Questo è Valter Lavitola. Vediamo ora qual è – secondo i collaboratori del presidente della Camera – il suo ruolo nella trappola. “È Lavitola – ti raccontano – che briga ai Caraibi per confezionare il documento falso che accusa il cognato di Fini. Per quel che ci viene riferito è Lavitola che si procaccia la sua pubblicazione non nei giornali di Santa Lucia, che ancora oggi ignorano la storia, ma in quelli di Santo Domingo dove i due giornali concorrenti pubblicano lo stesso testo, parola per parola”. “È Lavitola – continuano i finiani – che una volta rientrato in Italia consegna il falso direttamente nella mani di Berlusconi che lo gira, attraverso Daniela Santanché, alla direzione de il Giornale che, il giorno prima della pubblicazione del titolo “Ecco la prova” incontra il presidente del Consiglio per riceverne l´ultimo, definitivo placet”.
Questa è la ricostruzione messa insieme da Gianfranco Fini e dai suoi collaboratori. Una prima approssimata conclusione si può trarre. Se hanno ragione gli amici di Fini – e certo hanno ragione se il documento pubblicato dai giornali controllati dal presidente del Consiglio è farlocco –, il capo del governo muove una campagna ossessiva di calunnia e degradazione per condizionare la volontà e le decisioni della terza carica dello Stato. È la riproposizione dei sintomi di una democrazia malata. È, con i colpi che ancora lancerà il Cavaliere, il tema che terrà banco nei prossimi giorni.
La Repubblica 24.09.10