Slittamento dell’avvio dell’anno accademico al 5 ottobre. È questa la proposta che il rettore Ivano Dionigi farà questa settimana. Oggi lo riferirà ai presidi di facoltà, giovedì al Crui (la conferenza dei rettori delle Università) e venerdì al senato accademico. Una «proposta unilaterale», come lui stesso l’ha definita ieri mattina durante un incontro con quattro rappresentanti dei ricercatoti, che poi nel pomeriggio hanno girato la comunicazione ai colleghi in assemblea, numerosissimi. Proposta unilaterale nel senso che, al di là del parere dei ricercatori, Dionigi la proporrà nelle sedi previste. «Il rettore si impegna anche ad andare in piazza con la sua giunta», spiega Loris Giorgini, uno dei rappresentanti dei ricercatori. L’idea, insomma, sarebbe quella di prendere tempo e utilizzare la settimana prossima per incontri, confronti e per dare visibilità alla protesta. Verrà utilizzata anche la «Notte dei ricercatori», prevista per il 24, per sensibilizzare opinione pubblica e studenti sui motivi della protesta. Ieri l’assemblea bolognese, con ricercatori di tutte le età, ha decretato con applausi scroscianti di confermare l’indisponibilità a fare lezione ma non solo. La volontà è di proseguire con la protesta oltre il 5 ottobre, fino al 15 o al 20, giorni nei quali dovrebbe essere discusso il ddl Gelmini. Nonostante la «marcia in dietro» (così si è espresso qualcuno) non pochi ricercatori hanno accolto positivamente la proposta del rettore, con l’avvertenza che il numero uno dell’Alma Mater «non deve mettere il cappello su niente»: «Noi non dovremmo più dialogare con lui; adesso Dionigi dovrebbe solo dire che questa protesta è anche la sua», attacca un ricercatore di Scienze. Tanti non hanno accettato che il rettore abbia definito la sua proposta «unilaterale»: «Non è così: succede semplicemente che viste le nostre rinunce l’Università prende atto del fatto che non può avviare l’anno accademico ». Una «vittoria» – hanno argomentato alcuni ricercatori -, che però non deve far adagiare sugli allori. «L’obiettivo nostro non è il rettore, ma il ddl Gelmini: è quello che bisogna smontare». Dopo l’ultimatum della settimana scorsa, dove Dionigi invitava i ricercatori a comunicare tempestivamente la loro disponibilità a tenere lezione, il coro di disapprovazione verso questa decisione era stato deciso, dal Pd alla Cgil con Guglielmo Epifani. E a Bologna la Flc, che ieri in mattinata aveva invitato i vertici di ateneo a prendere una posizione chiara, all’annuncio della proposta di rinvio delle lezioni ha espresso «soddisfazione »: «Si sgombra il campo da qualunque sospetto di baratto con la mobilitazione che può andare avanti », scrive in una nota Sandra Soster (l’8 ottobre è comunque prevista la giornata di sciopero, ndr). del resto, venerdì scorso i ricercatori avevano chiesto con forza il rinvio dell’anno accademico. Difficile ancora dare numeri esatti, hanno spiegato sia Loris Giorgini che Daniele Bigi, rappresentanti dei ricercatori: «Solo quando la ricognizione dei presidi sarà terminata potremmo saperlo con chiarezza». Di certo l’assemblea, a parte qualche raro caso, ieri era unita. Anche se mancavano all’appello facoltà come Economia, ad esempio. E Giurisprudenza, una volta verificata la volontà della maggioranza dei ricercatori a tenere lezione, ha optato per la messa in atto di altre forme di protesta. Divisa anche Lettere, «non sulle ragioni della mobilitazione ma sui metodi ». Ma per la maggioranza di loro resta il no alla didattica l’arma più forte: lo statuto non li obbliga a fare lezione, che svolgono a titolo volontario, coprendo tuttavia almeno il 40% dell’offerta formativa. Sono compatti ad Agraria con 71 indisponibilità su 87, a Scienze della formazione (40 su 53), Scuola per interpreti di Forlì (77% è indisponibile) e Chimica industriale dove le rinunce sono al 100%. A Medicina invece si è optato per tenere un corso sui 5 a testa che i ricercatori hanno: «Un segnale molto forte per i nostri numeri».
L’Unità/Bologna 21.09.10