E’ una difesa convinta e consapevole del ruolo di Roma «capitale indiscussa» quella che il presidente della Repubblica pronuncia nell’aula Giulio Cesare in Campidoglio nel giorno storico in cui ricorrono i 140 anni dalla Breccia di Porta Pia, quel 20 settembre 1870 in cui Roma si ricongiunse all’Italia divenuta unita e indipendente. Ma è anche quello in cui Giorgio Napolitano è diventato ufficialmente cittadino della Capitale dopo tanti anni
vissuti in questa città, «un riconoscimento che generosamente mi ha portato a far parte di una grande galleria di personalità».
Pubblico e privato si mescolano nel discorso del presidente che però non rinuncia all’occasione per lanciare un chiaro monito a chi si crogiola in impossibili sogni separatisti.
E’ lontano più che mai da qui il pensiero leghista. «E’ mio doveroso impegno ed assillo che non vengano ombre da nessuna parte sul patrimonio vitale ed indivisibile dell’unità nazionale, di cui è parte integrante il ruolo di Roma capitale.
Un ruolo che non può essere negato, contestato o sfilacciato nella prospettiva che si è aperta e sta prendendo corpo di un’evoluzione più marcatamente autonomista e federalista». Parole nette sulla centralità di una città di cui, senza cedere come lui d’altra parte non ha mai fatto «a reazioni più o meno sofisticate di rigetto di una comune eredità», non ha esitato a riconoscerne «la grandezza storica».
Ricordando che «per nefaste che siano state le retoriche belliciste e le pretese di potenza innestate nel passato sul culto della romanità, per facili o ambigue che siano divenute le mitizzazioni della storia della città e del suo impero, nulla può giustificare la sottovalutazione della sua impronta incancellabile e del fascino percepibile ovunque». I presidente ha citato, a sostegno delle sue affermazioni, le parole di Camillo Benso di Cavour che nel discorso che poi si rivelò il suo testamento politico definì «un diritto», anzi «un dovere» l’insistere sulla necessità di vedere Roma riunita all’Italia «perché senza Roma capitale d’Italia, l’Italia non si può costituire». Dunque «Roma sola deve essere la capitale perché in essa concorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizionidella capitale di ungrande Stato».
I RICORDI
Le parole del piemontese Cavour citate da un napoletano che, nel diventare cittadino romano, ha rivendicato le sue radici ma ha anche voluto rendere omaggio alla città in cui sono nati i suoi figli e i suoi nipoti che ne sono «appassionati»; in cui è vissuta la moglie Clio fin da bambina; in cui più di cinquant’anni fa fu celebrato in Campidoglio il suo matrimonio ed in cui c’è Montecitorio che lo accolse giovane deputato, «il Parlamento, la mia prima e più grande casa in questa meravigliosa città» e che tale è rimasta «per decenni »
La commozione dei ricordi. L’impegno riconfermato a sostenere un ruolo che non può essere negato e che, anzi, deve essere rafforzato «in seno all’Europa» e nel «contesto di una competizione globale segnata da equilibri del tutto nuovi, più complessi e difficili». L’invito a chi lo ascolta è a «guardare lucidamente a ciò che ci attende» cercando di lavorare tutti insieme ad obbiettivi comuni per il bene della collettività.
«In nome del mio attaccamento al ruolo di Roma capitale qual è postonella storia e nella Costituzione che penso di poter cogliere il senso del riconoscimento che mi è stato generosamente
attribuito». Un applauso convinto accogli e queste parole. C’è il sindaco Alemanno che nel suo intervento ha contrastato a bruttomuso, bollandole come dissennate, le «invettive politiche che puntano a depotenziare il ruolo di capitale: Roma ladrona non esiste». C’è il presidente della Provincia, Nicola Zingaretti
e la presidente della Regione, Renata Polverini. A loro tocca il compito di lavorare per Roma capitale.
L’eccezionalità del giorno è stata segnata anche dalla presenza a Porta Pia c’era anche il Cardinale Tarcisio
Bertone.
L’Unità 21.09.10
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Napolitano: «L’Italia è uno stato nazionale. Solo Roma capitale, di Claudio Tucci
Giorgio Napolitano riceve la cittadinanza onoraria di Roma, mentre il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone celebra per la prima volta la ricorrenza del 20 settembre, che nel 1870 segnò la fine del potere temporale della Chiesa e fece diventare Roma, capitale d’Italia. «Un’indiscussa verità», riconosce il porporato, che ricorda anche l’altro ruolo della città eterna. Vale a dire «la sede del successore di Pietro». Per Bertone, che ha letto una preghiera per la pace in Italia, le celebrazioni del 140esimo anniversario della Breccia di Porta Pia «rappresentano anche «la ritrovata concordia tra la comunità civile e quella ecclesiale che insieme lavorano a vastissimo raggio per il bene del popolo italiano».
Durante le celebrazioni a Porta Pia, un gruppo di esponenti radicali hanno inscenato una protesta: «Vaticano e partitocrazia serve una nuova Porta Pia», è la frase urlata al passaggio del corteo presidenziale diretto in Campidoglio per la prosecuizione dei festeggiamenti.
Prima di diventare a tutti gli effetti cittadino romano, il Capo dello Stato ha voluto lasciare una propria testimonianza sul libro d’oro del comune di Roma: «L’Italia si trasforma ma resta uno stato nazionale ed unitario, con Roma, capitale». Parlando invece alla seduta straordinaria dell’Assemblea capitolina – che ha segnato il passaggio ufficiale dal comune di Roma a Roma Capitale – Napolitano ha sottolineato come «nulla possa sottovalutare o rigettare la grandezza storica di Roma» e la forza della sua «capacità di accoglienza». E citando un discorso di Cavour del 1861, ha ricordato: «Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia».
Per Napolitano, «la forza dell’Italia come nazione e come sistema paese sta nella capacità di rinnovarsi rafforzando e non indebolendo la sua unità; sta nella scelta, che tutti dovremmo condividere, di rinnovare modernizzando ma non depotenziando lo Stato che della nostra unità, in tutte le sue articolazioni istituzionali, è essenzialmente tessuto connettivo».
Parole condivise dal primo cittadino della capitale, Gianni Alemanno che ha ricordato come sia «impensabile» distribuire le sedi centrali dei ministeri su tutto il territorio nazionale, «non solo – ha aggiunto – per i gravi danni organizzativi ed economici che questa disgregazione comporterebbe, ma perchè verrebbe così colpito il simbolo più importante dell’Unità nazionale». Tutti, ha proseguito, «dobbiamo contribuire a rigenerare queste istituzioni e questa politica con le riforme, la tensione ideale e la consapevolezza culturale e Roma farà la sua parte cercando di combattere ogni forma di parassitismo, assistenzialismo e illegalità».
Alemanno ha poi ribadito il suo pensiero su «Roma ladrona»: nel complesso, ha detto, «tra Irpef, Ires e Iva, la nostra città offre un gettito fiscale di circa 35 miliardi di euro, a fronte di trasferimenti statali di poco superiori a un miliardo e 600 milioni di euro: è chiaro che bisogna fare alcune tare rispetto a questo rapporto, ma è altrettanto evidente che qualsiasi forma di federalismo fiscale non può che portare a Roma ben altre risorse di quelle che noi oggi riceviamo. Altro quindi che Roma ladrona!».
Il Sole 24 Ore 21.09.10