Ancora nessuna via di uscita allo scontro tra ricercatori anti-Gelmini e vertici di ateneo scoppiato martedì a Bologna dopo l’annuncio da parte degli uni del blocco dell’attività didattica e degli altri della volontà di rimpiazzarli con docenti a contratto. Ieri è stato assordante il coro di «no» contro la decisione del rettore. A partire dal segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani che ha parlato di «regressione sul terreno delle libertà: si fa lo sciopero in una fabbrica Fiat – ha detto – e ti chiedono i danni; a Bologna ti sostituiscono gli scioperanti». A definire la scelta «molto grave» è stato anche il segretario Flc-Cgil Mimmo Pantaleo che ha lanciato una settimana di mobilitazione per i primi di ottobre e ha invitato «il rettore e il senato accademico a revocare la decisione presa che riteniamo di dubbia legittimità». Non è stato morbido neppure il Pd nei confronti del rettore. Per la senatrice Vittoria Franco si è trattato di una mossa «scorretta». Più conciliante Marco Meloni, responsabile Università e ricerca, che ieri ha incontrato sotto le due torri ricercatori e rettore: «Dionigi è senz’altro tra l’incudine e il martello ma chiedo che non ci sia un eccesso di zelo perché tentare di cominciare in tempo le lezioni reclutando personale non preparato sarebbe una presa in giro per gli studenti », chiarisce. Della serie: meglio slittare di qualche settimana ma iniziare bene. Le responsabilità principali per Meloni sono da attribuire al Governo visto che in Italia «ci sono 80mila persone che insegnano all’Università ma oltre la metà non sono docenti di ruolo e spesso sono precari». La riforma Gelmini invece, nonostante il «bisogno di docenti di ruolo, ne riduce il numero». «Il governo – sbotta Meloni – riunisca le parti e trovi soluzioni: noi proponiamo che si facciano selezioni affinché ricercatori preparati diventino presto professori».
LA GIORNATA DI DIONIGI E se una revoca non è arrivata, un passo indietro è stato fatto dal rettore, che però non ha fermato la volontà dei ricercatori di continuare con la protesta confermando – almeno il 50% – l’«indisposizione» a svolgere attività didattica. Domani si riuniranno a Roma, lunedì a Bologna. Dionigi, scosso dalla bufera scatenata da ogni parte contro di lui, ha scritto una nuova lettera ai ricercatori. E ha specificato che la richiesta di adesione o meno alla didattica non è un «ultimatum: né nei tempi, perché è chiaro che la ricostruzione del quadro informativo sull’intero ateneo richiederà tempo, almeno fino ai primi giorni della settimana prossima», e quindi «dopo le scadenze che attendono i ricercatori sia a livello nazionale, sia a livello locale; né nei modi, perché il senato accademico che ho intenzione di convocare per la prossima settimana deve ancora analizzare gli scenari e decidere quali soluzioni conseguenti adottare».Un passo indietro, quindi, se non altro sulla tempistica, visto che già domani i ricercatori dovrebbero rinviare al mittente le lettere in cui comunicare l’intenzione o no di fare lezione per quest’anno accademico.
L’Unità 16.09.10