Il governo dà la colpa al peschereccio e rafforza i dubbi sui sistemi di Tripoli. Il ministro degli esteri Frattini riferirà oggi in parlamento su quanto è successo domenica fra la Sicilia e la Libia. Nel frattempo, però, dà la colpa al peschereccio italiano: «Sapeva benissimo di pescare illegalmente». La tesi sostenuta dai libici, i quali rivendicano una competenza territoriale sul Golfo della Sirte che la comunità internazionale non riconosce.
E il ministro dell’interno cerca di derubricare tutta la vicenda a semplice incidente, smentito dal comandante del peschereccio italiano aggredito dai libici. E spiega che forse c’è stato un errore di interpretazione: «Posso immaginare che abbiano scambiato il peschereccio per una barca con a bordo clandestini». Parole che suscitano inquietudine e il sospetto, nell’opposizione dem, di eventuali accordi segreti che possano autorizzare l’uso delle armi nei confronti dei clandestini.
da Europa Quotidiano 15.09.10
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“Gheddafi dilaga, nessuno lo ferma. E la Cei è dura”, di Fabrizia Bagozzi
Il comandante del peschereccio: «Sapevano che eravamo italiani»
Il ministro egli esteri riferirà oggi alla camera su ciò che è successo domenica fra Sicilia e Libia e che ha mosso anche il severo monito della Cei: «Preoccupa molto – ha detto monsignor Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio Cei per gli affari giuridici – che non ci sia alcuna iniziativa politica che metta mano quanto meno ad affrontare la questione della competenza circa le acque del mediterraneo. Siamo preccupati per la facilità con cui si mette mani alle armi e si attenta alla vita delle persone».
La vicenda mette il governo in forte imbarazzo perché dimostra nei fatti quanto Gheddafi abbia finora avuto mani libere nell’attuare a modo suo il famoso trattato di amicizia Italia-Libia. Fino ad arrivare a quello che il ministro dell’interno vorrebbe derubricare a semplice «incidente» – una motovedetta concessa dall’Italia alla Libia per contrastare l’immigrazione clandestina, con sei funzionari della guardia di finanza italiana, che spara a pescatori italiani – anche se Gaspare Marrone, il comandante dell’Ariete ribatte: «I libici sapevano benissimo con chi avevano a che fare».
L’imbarazzo però non impedisce a Frattini di dare ragione alla Libia, sottolineando che l’Ariete «sapeva benissimo di pescare illegalmente». Affermazione discutibile, visto che riguarda un’area, il Golfo della Sirte, che da sempre Gheddafi considera territorio di Tripoli (e nella quale punta a rosicare ogni miglio), anche se la comunità internazionale è ben lungi dal riconoscerlo. Questione annosa e non risolta, quella del Golfo della Sirte. Il diritto internazionale stabilisce infatti il limite delle acque territoriali a un massimo di 12 miglia dalla costa di uno stato. Gheddafi si è allargato fino a 62 miglia marine. È accertato che, al momento dell’attacco, l’Ariete era a 30 miglia a nord di Zuwarah, non lontana dalla Tunisia, e cioé, in teoria, 18 miglia fuori dalle acque territoriali libiche. Lì i libici hanno sparato. Per Maroni «c’è stato un errore di interpretazione, posso immaginare che abbiano scambiato il peschereccio per una barca con a bordo clandestini».
Parole che, dette da un ministro dell’interno, suscita inquietudine. E infatti nell’opposizione c’è chi si chiede che cosa volesse dire il ministro. I deputati dem Touadi e Sarubbi commentano: «Evidentemente, una clausola nascosta del famigerato trattato di amicizia Italia Libia autorizza a sparare su esseri umani qualora siano migranti». La segretaria confederale della Cgil Lamonica si chiede: «Se si fosse trattato di clandestini, sparare sarebbe stato legittimo?». E accusa: «Il ministro sa che le regole di ingaggio previste dall’accordo italo-libico prevedono di sparare sugli immigrati presunti clandestini violando tutte le norme internazionali dei codici civili e militari».
Il trattato di amicizia Italia-Libia firmato da Berlusconi riprende, nella parte relativa al contrasto all’immigrazione clandestina, quello siglato da Amato nel 2007, con protocolli aggiuntivi della gestione Maroni-Berlusconi non tutti noti. La versione Amato parlava di cessione temporanea di sei unità navali con equipaggi misti con compiti di controllo, ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito entro le acque libiche. Quella di Maroni lascia ai libici la titolarità delle motovedette. In nessuno dei due casi la guardia di finanza, che ha compiti di osservazione e supervisione dei mezzi, può intervenire: poiché le navi sono libiche, i nostri finanzieri sono cittadini italiani in territorio libico. Alla luce dell’«incidente», Maroni ieri ha lavorato alla possibilità di rendere possibile un intervento, in accordo con il comandante libico.
E in nessuno dei due casi sono previste armi a bordo per pattugliamenti che riguardano il contrasto all’immigrazione clandestina e non il rispetto di (non definite) aree di pesca. Armi che c’erano, e in presenza di funzionari della guardia di finanza italiana. Gheddafi sembra avere mano libera. Perché, nota una fonte informata, è anche determinante il modo in cui i Trattati si applicano, i limiti che si danno alle controparti. Politici e tecnici. Si tratta di capire se e come il governo ha intenzione di contenerlo.
da Europa Quotidiano 15.09.10
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