Nell´anno scolastico che sta per cominciare saranno circa l´11% di tutti gli iscritti alla prima elementare. Ma già nel 2015, secondo una stima della Fondazione Giovanni Agnelli, il loro numero salirà al 17%. Ossia centomila bambini, immigrati di seconda generazione, che approderanno tutti insieme sui banchi della scuola primaria.
Romeni, albanesi, cinesi, maghrebini, filippini, indiani, nati qui, nel nostro paese, nuovi italiani tra gli italiani, spesso ben integrati e bilingui, eppure ancora stranieri, perché senza cittadinanza e dunque con i diritti a metà. Bimbi e ragazzi made in Italy, con la pelle nera, gli occhi a mandorla, europei, asiatici, africani, simili e diversi insieme, figli di quel mini baby-boom dovuto all´immigrazione “residente” che negli ultimi anni ha fatto risalire il nostro avaro tasso demografico. C´è un nuovo mondo che bussa alle porte della scuola italiana, la fotografia del Paese che verrà, multietnico sì ma non ancora multiculturale, come sottolineano da tempo storici, demografi, insegnanti. Per i bambini immigrati infatti il percorso di studi sembra già “segnato” e accidentato sul nascere. Racconta Paolo Mazzoli, dirigente scolastico romano: «Le iscrizioni di quest´anno confermano che il numero degli alunni immigrati è in continua crescita, ma in modo disomogeneo tra i quartieri delle città, creando un impatto che la scuola spesso non riesce a gestire, sia per mancanza di risorse, ma anche per la mancanza di preparazione dei docenti, oggi a mio parere in profonda crisi di fronte a questa nuova sfida».
Eppure un cambiamento radicale è alle porte, come dimostra la ricerca della Fondazione Agnelli curata da Stefano Molina dal titolo “I figli dell´immigrazione nella scuola italiana”. Dove a fronte di flussi migratori in calo, si dimostra che la quota di alunni stranieri è invece “ancora destinata a crescere almeno per un decennio”. E se quest´anno su 590mila bambini italiani iscritti alla prima elementare 65mila saranno stranieri (di cui 45.700 nati nel nostro paese) il grande salto si avrà nel 2015/2016. Tra quattro anni infatti mentre il numero di baby studenti italiani resterà quasi identico, gli stranieri per cui si apriranno le porte della scuola primaria saranno 100.500. Un numero raddoppiato in pochissimi anni.
«Questi dati ci dimostrano che la gran parte dei bambini stranieri che si iscrive nelle nostre scuole – dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli – è in realtà nata in Italia. Si tende invece a parlare in modo indifferenziato di immigrati, soffermandosi soltanto sul problema linguistico, quando la gran parte di questi bambini l´italiano lo parla benissimo e magari con l´accento della città in cui vive. Il vero problema è la loro integrazione scolastica. In un certo senso è come essere tornati alla scuola degli anni Cinquanta, dove la differenza la facevano la classe e il ceto sociale. Questi ragazzi – aggiunge Gavosto – sono e si sentono italiani. E hanno diritto alla cittadinanza. A Torino il 30% dei bambini sotto i 5 anni ormai è costituito da stranieri nati qui: come possiamo non ritenerli italiani?». In un libro uscito di recente e dal titolo “La qualità della scuola interculturale” (Erickson) Milena Santerini, ordinario di Pedagogia Generale all´università Cattolica di Milano, racconta l´esperienza (virtuosa) di un gruppo di nove scuole ad alta percentuale di immigrati nel capoluogo lombardo. Spiega Santerini: «Nel mio viaggio all´interno di queste scuole primarie ho visto che davvero l´integrazione è possibile, ma servono fondi, strutture, e soprattutto un´idea di inclusione forte. In Italia sono stati fatti grandi sforzi, ma oggi è come se si stesse tornando indietro: basta vedere il tentativo di creare scuole soltanto di stranieri, una vera e propria strategia di segregazione. Il futuro passa attraverso la concessione della cittadinanza ai bimbi nati qui, e al coinvolgimento delle famiglie immigrate nel percorso di studio dei figli».
In realtà, come sottolinea Anna Granata, psicologa e ricercatrice di Pedagogia, «noi spesso immaginiamo i bambini e gli adolescenti immigrati divisi tra due mondi, in realtà si muovono benissimo tra due culture». «Molti di loro raccontano di aver scoperto di essere “stranieri” crescendo, perché mentre la scuola elementare include, le superiori separano. Così come la cittadinanza. È quando realizza di non avere i documenti in regola o di non poter partecipare alla gita di classe all´estero che un giovane, fino a ieri identico ai suoi coetanei italiani, capisce di essere un po´ meno italiano, e magari un cittadino di serie B».
Di minori e di minori immigrati, lo scrittore Fabio Geda nella sua attività di educatore si è occupato a lungo. Fino a raccontare nel libro “Nel mare ci sono i coccodrilli”, la storia vera, anzi l´odissea di un adolescente, Enaiatollah Akbari, fuggito bambino dall´Afghanistan dei talebani e approdato in Italia su un canotto di disperati. «Oggi Enaiatollah ha 21 anni, e ha deciso che vuole fare l´avvocato. E se la sua è una storia simbolo, di giovani immigrati con questa determinazione ne ho incontrati a decine. E spesso gli insegnanti raccontano – dice Geda – che sono proprio i bambini stranieri i più attenti e disciplinati in classe, pur arrivando da famiglie dove non si parla l´italiano, ma dove l´istruzione è considerata il salto verso un futuro migliore. Oggi però ci troviamo di fronte ad una scuola che non riesce a contenere nessun tipo di diversità, né la sfida multietnica, ma nemmeno l´handicap o il disagio sociale…».
La Repubblica 11.09.10