Ieri mi è arrivata la raccomandata della Fiat con le ultime buste paga e il conteggio della liquidazione. Sono fuori. Aspetto che il Tribunale fissi l’udienza, ma anche se vincessi la causa magari la Fiat mi lascerà a casa, com’è successo con i tre operai di Melfi». Pino Capozzi, 36 anni, è nato a Moncalierimaè originario della provincia di Avellino. Nel 1969la sua famiglia si trasferì a Torino, il papà Virgilio ha lavorato per vent’anni a Mirafiori. Pino è stato licenziato dalla Fiat il 13 luglio scorso. Prima che la cappa del silenzio, prima che il conformismo di stampa e televisioni abbiano il sopravvento, è bene che si continui a parlare dei lavoratori licenziati dalla Fiat. La loro è una battaglia di civiltà e di democrazia che meriterebbe l’appoggio esplicito del mondo politico, sindacale e dell’opinione pubblica.
Pino è iscritto alla Fiom e pure al pd, dal 1994 fa politica. È stato candidato al comune di Nichelino per due volte. È magro, il volto pallido, ha un eloquio preciso, sa usare le parole, ma non è un tribuno da assemblee in fabbrica. «Mi piace stare nel sindacato, sono un tipo tranquillo. I giornali, invece, descrivono la Fiom come se fossimo un gruppo di irresponsabili». Pino è davvero una persona equilibrata, un moderato.
La sua storia come dipendente Fiat inizia il 21 luglio 2008. Ma Pino non ha mai fatto domanda per essere assunto al Lingotto, è stata la Fiat a cercarlo e a proporgli una buona paga per strapparlo a un’altra azienda. «Lavoravo alla I.de.a Institute che aveva tra i suoi clienti anche la Fiat. Ero diventato il referente per alcuni progetti del gruppo, ho seguito il «Doblò». La Fiat aveva provato tre volte ad assumermi ma avevo sempre rifiutato. L’ultima volta ho accettato perchè l’offerta era vantaggiosa. Sono stato inquadrato come impiegato professional, una volta si chiamavano quadri, nel settore cost engineering, direzione tecnica. Con me lavoravano una quarantina di colleghi, entravo dalla porta 8 di Mirafiori.
Il mio lavoro era di valutare i costi per sviluppare le auto: l’azienda ti dà un budget e devi creare il progetto, gestendo le funzioni, meccanica, carrozzeria eccetera».
In questi anni di lavoro alla Fiat, Pino non ha mai avuto problemi. Il suo capo più volte gli aveva suggerito di prendere più permessi sindacali visto che non approfittava mai della sua condizione. All’improvviso è scoppiata la bufera. Pino è stato investito dall’onda Marchionne. «Sono stato sospeso il 6 luglio 2010 per sei giorni, il 13 luglio mi hanno consegnato la lettera di licenziamento».
Cosa è successo? «Il 21 giugno mi è arrivata una mail da una collega italiana, il messaggio proveniva dalla Polonia e conteneva la solidarietà dei lavoratori della fabbrica di Tychy a quelli di Pomigliano.Ho preso il messaggio e l’ho girato ai miei colleghi, aggiungendo una mia valutazione in cui chiedevo di“sensibilizzare” i lavoratori di Pomigliano affinchè potessero votare con coscienza. Non ho scritto di votare no, non ho istigato alla rivolta, ho espresso un’opinione». E l’azienda comeha scoperto questa mail? «Uno dei miei colleghi l’ha inoltrata al mio dirigente il quale ha detto che per motivi deontologici non poteva evitare di trasmetterla all’ufficio personale.
L’azienda mi ha detto che era venuto a mancare il rapporto di fiducia, mi ha rinfacciato la parola “sensibilizzare” e di aver minato la credibilità del vertice. Insomma, un reato di lesa maestà».
Forse è stata una leggerezza usare la mail aziendale perun volantino critico con Marchionne? «Forse ho sbagliato a usare la posta interna, ma non scherziamo… lo fanno tutti, allora andrebbero licenziati migliaia di dipendenti. In quei giorni tutti abbiamo ricevuto i messaggi di altri sindacati che invitavano a sostenere
il “sì” a Pomigliano.Nonsta nè in cielo nè in terra che uno venga licenziato per quello che ho fatto io, è un attacco alla libertà di espressione, la Fiat vuole colpire la Fiom perchè è un sindacato che non sta zitto, vuole dare un segnale e ci sta riuscendo visto cosa ha fatto Federmeccanica». Solidarietà? «Quella della Fiom, naturalmente. Cisl e Uil si sono rifiutati di firmare un volantino con la Cgil a mio favore. Poi c’è stata una mezza dichiarazione di solidarietà della Fim-Cisl.Mihanno telefonato Di Pietro, Bersani. Vendola, qui a Torino, mi ha detto di “non mollare”. I deputati Boccuzzi, Esposito e Rossomando hanno presentato un’interrogazione. Ma chi mi sta più vicino è la gente normale, quelli di “Libera” di Don Ciotti. È commovente». E il sindaco Chiamparino? «L’ho incontrato. Mi ha detto che ho ragione e che posso vincere». I colleghi? «Sono spaventati. Ci sono quei quattro, cinque colleghi che mi chiamano sempre. Gli altri hanno paura, mi dispiace, ma un po’ li capisco».
E ora, Pino, cosa succede? «Aspetto il Tribunale e mi guardo attorno. Trovare un lavoro è difficile per tutti, pensa per uno di 36 anni cacciato dalla Fiat, con il controllo che impone la Fiat sulla città. Mi piacerebbe vincere la causa per gridare che non si può licenziare così in Italia nel 2010. Mi batterò fino in fondo».
da L’Unità