Ricordiamo il contesto. La bufera sui Grandi Eventi affidati alla Protezione civile era da poco iniziata. I giudici di Firenze avevano scoperto gli affari della «cricca», squarciando il velo su una nuova trama del malaffare, impressionante per il numero e il calibro dei personaggi coinvolti: alti funzionari pubblici, imprenditori, politici, magistrati. Mentre la Corte dei Conti denunciava che il cancro della corruzione, mai sconfitto in questo Paese, ci costa ogni anno 60 miliardi di euro. Comprensibilmente scosso, il Palazzo sembrò reagire. Il primo marzo di quest’anno il Consiglio dei ministri approvò una legge che conteneva disposizioni senza precedenti: l’ineleggibilità degli amministratori corrotti, tanto per citarne una. E il giorno dopo questo giornale gliene diede atto. Senza però sospettare che quel provvedimento anticorruzione, com’è invece accaduto, sarebbe finito nel dimenticatoio. Fermo in Senato da più di sei mesi, in compagnia, purtroppo, di tante altre leggi. Leggi importanti, che stanno però diventando altrettanti fantasmi nel disinteresse di una maggioranza paralizzata a causa di uno scontro interno condito da miasmi e veleni.
Qualcuno ha forse visto la famosa «legge sulla concorrenza », quella che dovrebbe essere fatta ogni anno (l’ha deciso questo governo) con lo scopo di rimediare alle storture del mercato denunciate dall’Antitrust? Doveva essere pronta prima dell’estate e ancora non se ne ha notizia. Del resto non c’è neppure chi dovrebbe firmarla: l’incarico di ministro dello Sviluppo economico è vacante dal 4 maggio. Per non parlare di altre cosette, come la riforma della professione forense, approvata dalla Camera e abbandonata quattro mesi fa in Senato. Oppure della legge che dovrebbe dare un colpo ulteriore all’usura, smarrita a Montecitorio dopo aver avuto il via libera di Palazzo Madama nell’aprile 2009. O ancora la riforma delle banche popolari, il cosiddetto «pacchetto professioni », l’«istituzionalizzazione » del 5 per mille dell’Irpef, la nuova normativa delle fondazioni… Si è perfino arenata la legge sugli indennizzi alle imprese italiane espropriate dal regime libico del colonnello Gheddafi, così amico del nostro presidente del Consiglio. L’inerzia politica è arrivata al punto di non riuscire a far decollare provvedimenti già approvati, ma che per essere attuati hanno bisogno di un decreto ministeriale o di un regolamento.
La legge che consente di mettere il marchio made in Italy soltanto sui prodotti fatti prevalentemente in Italia, per esempio: le norme per metterle in moto erano attese entro il 23 agosto. Termine trascorso inutilmente. Stesso destino ha avuto la riforma delle Camere di commercio. Il rilancio dell’energia nucleare aspetta invece, da molti mesi, la nomina dell’Agenzia per la sicurezza. Si potrebbe andare avanti con il riordino della Sace, la riorganizzazione dell’Enea, la delega governativa per l’intervento nelle crisi aziendali (di cui si sono perse le tracce nell’ottobre 2009). E qualche volta, per trasformare le leggi in fantasmi, basta soltanto ignorarle. Come è accaduto alle norme (le ennesime) sullo sportello unico per le imprese: approvate dal Parlamento il 22 giugno, non sono ancora apparse sulla Gazzetta Ufficiale. Che questa sia la nuova via della semplificazione normativa, al posto della pira del ministro Roberto Calderoli?
Da www.corriere.it