Il problema del Pd, anzi dell’Italia, è la letargia morale che affligge la società italiana. Quando il corpo sociale dorme non vede, non sente, non reagisce. Fortunatamente la patologia di cui parliamo non è di natura organica. È stata infatti indotta da dosi fortissime di anestetici politico–mediatici ed è, dunque, reversibile. allora urgente darsi una strategia per risvegliare il corpaccione che sta dormendo. «La gente non si indigna più», mi diceva un amico insegnante, pensando al dramma che sta vivendo la scuola italiana. Sì, è vero, però chiediamoci se noi stiamo facendo il possibile per reiniettare gli antidoti efficaci, se, insomma, per caso anche noi, sia pure involontariamente, non favoriamo questo sonno. Sappiamo infatti che l’indignazione è una reazione morale, che nasce quando esplode il conflitto fra ciò che è esterno e ciò che è interno alla persona. Il problema allora è quello di aiutare i cittadini a liberarsi dal materiale tossico assorbito in questi anni («il Berlusconi che è in me» come diceva Gaber), e sostituirlo con sostanze pregiate sotto il profilo etico. Non è facile contrastare il novanta per cento dei cannoni televisivi che continuano a sparare veleno. Quello che è certo è che non lo si può fare puntando solo sulle nostre cerbottane. Occorre cambiare gioco se ci si riesce.
Faccio tre esempi concreti, per indicare come non solo il linguaggio ma le strategie comunicative del Pd debbano cambiare.
Il primo: la scuola. Nei prossimi giorni andremo tutti (speriamo di essere in tanti) davanti alle scuole a fare volantinaggio e possibilmente anche qualche discussione. 150mila licenziamenti in tre anni, «il più grande licenziamento di massa della storia», come dice Bersani, 50mila cattedre ancora da assegnare che fanno prevedere un inizio di anno scolastico drammatico. Reagirà qualcuno? Se ne accorgeranno i genitori? Forse sì o forse no, perché nella frammentazione dell’organizzazione scolastica che si è determinata in questi anni tutto si confonde, ci saranno tanti insegnanti che corrono da un’aula all’altra, e tutto si maschererà. Occorre allora “coprire” la nostra campagna di volantinaggio che pure richiede uno sforzo organizzativo enorme, con una campagna politica, manifesti, spot radiofonici e televisivi in cui si sceglie di rivolgersi a un solo interlocutore: le famiglie (gli altri, studenti e insegnanti, lo saranno di conseguenza).
E ai genitori chiedere in termini duri: lo sai che tuo figlio è condannato a crescere nell’ignoranza? Non per colpa sua, ma per colpa tua che vedi e non reagisci! Lo sai che in questa scuola senza bidelli tuo figlio è abbandonato (droga, bulli…)? Cos’è per te la sicurezza, quella dei campi rom o quella di tuo figlio abbandonato nel cortile della scuola? Se non lo sapevi, adesso te lo abbiamo detto. E ti aggiungiamo che a noi tuo figlio preme, anzi è la ragione, l’unico vero senso della nostra azione politica.
Il secondo: la visita di Gheddafi. Sono giustamente state dette tutte le cose che si doveva. Ma l’argomento non può essere lasciato cadere, perché quella visita sintetizza in modo drammatico l’immagine dell’Italia, dell’italietta berlusconiana, e la questione non può lasciare indifferenti gli italiani che pensano al futuro dei loro figli. Ho provato a buttar giù quattro conti sul costo smisurato e assurdo di cui le casse dello stato italiano si sono dovute far carico per questi festeggiamenti hollywoodiani, in un tempo in cui a tutti viene chiesto di tirare la cinghia. Soldi buttati al vento per soddisfare il narcisismo di due vecchietti al tramonto che sognano di essere i padroni del mondo, spese coperte dal segreto di stato. Ho presentato al riguardo una interpellanza, ma sono sicuro che non mi risponderanno. Ci hanno già detto che business is business, ma quale business? Balle!: dicano quali imprese e da chi saranno pagate. Sì, ci sono alcune grandi imprese che andranno in Libia, pagate però dal governo italiano. Tutte, tranne quelle belliche. Sì, perché il “Colonnello” vuole sistemi d’arma moderni da usare eventualmente contro chi dice lui, semmai contro le portaerei Usa che in base ad accordi Nato stanno nel Mediterraneo, e che lui ha dichiarato – davanti al “sorriso Durbans” un po’ ebetito del nostro ministro degli esteri – di non volere. Ma poi, non spetta all’opposizione ricordare al governo che l’Italia ha una legge (la 185 del 1990) che vieta il commercio d’armi con paesi che violano i diritti umani, e la Libia è tra questi, non avendo mai ratificato la Convenzione sullo statuto dei rifugiati del 1951 e continuando ad impedire all’Onu di visitare i propri campi profughi? (Vedremo se mi risponderanno anche su questo punto).
Chissà se alzando e circostanziando il tiro delle polemiche in tutte le feste, nelle piazze italiane oltreché in parlamento, non riusciremo a far drizzare le orecchie a qualche italiano sonnecchiante.
Il terzo: le legge elettorale. Il dibattito che si sta sviluppando dalle nostre parti è un po’ inquietante. Non ne sono sorpreso, ma ne sono amareggiato. È partita una discussione a briglia sciolta, come se ci fossero già in questo momento pacifiche condizioni politiche per discutere e approvare una nuova legge elettorale. È evidente a tutti che quel piccolo spiraglio che potrebbe esserci viene immediatamente chiuso dal confronto fra liberi pensatori che affollano il nostro campo. Senza dire poi delle ricadute sul morale dei nostri elettori, quelli che non dormono e che non si sono berlusconizzati e che si rendono conto che in questo modo non arriviamo da nessuna parte.
Ieri sul Messaggero un giornalista, non un dirigente politico, Claudio Sardo, ci ha dato una lezione come sapeva fare Leopoldo Elia, per chiarirci le idee, e ricordarci che il nostro dibattito spesso appare surreale agli occhi di chi osserva dall’esterno un partito che, mentre pretende di ergersi a difensore della Costituzione, discute in modo disinvolto di sistemi elettorali che la stravolgono, senza porsi il problema, se è il caso, di riformarla. E ci ha spiegato anche come le formule su cui stiamo discutendo, compreso il modello tedesco, possono essere adattate alle esigenze di un bipolarismo sensato e non ideologico, e che un sistema uninominale maggioritario può sfociare in un presidenzialismo che, se lo si vuole, necessita di solide garanzie e contrappesi parlamentari di cui nessuno sembra farsi carico.
Confesso che condivido l’amarezza di Bersani e la sua sollecitazione ai dirigenti del Pd a un dibattito più responsabile. Ci sono sedi, modi e tempi per parlare di questi problemi, diversi da quelli visti in questi giorni. Sempreché ci interessi svegliare il corpaccione della società italiana anestetizzata dal berlusconismo, o anche solo evitare di indurla, appena si desta, a rivoltarsi dall’altra parte del letto.
Da Europa quotidiano 02.09.10