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«E se a “scattare” fosse il merito?», di Giancarlo Cerini *

Motivi di urgenza
Non è facile riprendere il filo del discorso sulla valorizzazione della professione docente o, come si dice, sul merito. Pesa ancora il retaggio negativo della vicenda del “concorsone” di una decina di anni fa (beneficio permanente di 3.000 euro annuali da attribuire al 20% dei docenti, previa procedura concorsuale). Inoltre, le proposte di legge al momento sulla “piazza” (cfr. progetto di legge Aprea, n. 953, Atti Camera) sembrano forzare troppo gli attuali (seppur sonnolenti) equilibri, prefigurando una stratificazione permanente dei docenti su tre fasce di carriera (sul modello della docenza universitaria), e preannunciano una drastica riduzione delle prerogative sindacali in materia di contrattazione sulla professione docente. Non è un buon viatico.
E’ però urgente riprendere una riflessione su “merito, professione, carriera” , aprendo nel mondo della scuola un dibattito franco e leale sul futuro del nostro sistema educativo, introducendo tra le riforme necessarie anche elementi di dinamismo “virtuoso” nella professione docente. Per almeno tre buoni motivi:
1) non fosse altro, per riconoscere il lavoro di chi si impegna –nonostante tutto – con passione e competenza per il funzionamento e il miglioramento della scuola pubblica;
2) perché occorre esprimere (alle organizzazioni sindacali e alle forze politiche) qualche orientamento in merito all’utilizzo di quota-parte delle risorse che si “liberano” a seguito dei risparmi ottenuti con la manovra finanziaria del 2008;
3) perché intanto fervono “lavori in corso” per verificare se quanto previsto dal D.lgs 150/2009 (c.d. Decreto Brunetta) in merito alla valutazione delle performances ed alla erogazione di premi sia applicabile agli insegnanti (in proposito dovrà essere formulato un Decreto della presidenza del consiglio dei ministri) .

Alcune questioni di metodo
In via preliminare una proposta credibile per la valorizzazione ed il riconoscimento della professione docente deve rispondere ad alcuni requisiti di metodo che possono essere così riassunti:
– svilupparsi con la partecipazione attiva ed il consenso della grande maggioranza dei docenti interessati (anche attraverso un confronto serrato con le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali che, su questo punto, sono potenzialmente portatrici di interessi diversi);
– distinguere una prima fase sperimentale, che potrebbe consentire di affrontare il problema della gestione di parte del fondo del 30% sulla “premialità” (legge 133/2008) da una seconda fase – nel medio periodo – da impostare per via legislativa e contrattuale;
– verificare la possibilità di “riscrivere” (dopo l’esperienza positiva del 1973-74) uno stato giuridico nazionale della professione docente (contenente un profilo alto, costituzionale, della docenza, che espliciti i principi fondamentali di esercizio della professione: formazione, autonomia, sviluppo, diritti-doveri);
– garantire la permanenza di tavoli appropriati e diversi per la gestione dei rapporti di lavoro e quindi: al Parlamento la riserva di legge sulle questioni di tutela nazionale e costituzionale; al Sindacato la gestione dei contratti di lavoro sulle condizioni anche economiche; all’Associazionismo la delineazione di profili, standard professionali, modelli di formazione.

Effetto di squadra: quando il merito è “cooperativo”
Il fallimento delle precedenti ipotesi di valutazione/valorizzazione del merito si deve certamente alle procedure adottate (concorso con test), al meccanismo discriminatorio (solo il 20% in fascia di eccellenza), ma anche alla nebulosità del profilo di docente da “premiare”. Non possono essere né un test sulle conoscenze, né un curriculum che magari privilegia il “fuori scuola”, né una generica osservazione in classe a “scoprire” il merito.
Ma è lo stesso concetto di “merito” ad essere messo in discussione, per la sua ambiguità e la sua possibile carica ideologica . Soprattutto se il merito fosse interpretato come il carburante per una competizione antagonistica, che all’interno della scuola è fuori luogo. La specificità dell’insegnamento –scrive una fonte non sospetta come la Fondazione Agnelli – “risiede nell’importanza dell’intero corpo docente e delle interazioni di classe (il cosiddetto peer effect) nel determinare i risultati scolastici” . Il lavoro educativo è di tipo cooperativo, dunque meriti e premi dovrebbero essere attribuiti a gruppi piuttosto che a singoli. “Questa sorta di premio di risultato collettivo allo staff di una scuola dovrebbe poi essere ridistribuito internamente tra chi ha contribuito a tale successo, secondo i criteri che ogni scuola vorrà darsi” . E’ sempre il Rapporto della Fondazione ad esprimere perplessità nei confronti della proposta Aprea di articolazione individuale delle carriere, come fattore non in grado di per sé produrre quel “valore aggiunto” nelle competenze dei ragazzi e nelle loro capacità di relazione sociale, che ci si aspetta da una scuola che sappia fare il suo mestiere (democratico, aggiungiamo noi).
Dunque, le ipotesi sul merito da sperimentare dovrebbero tener conto di questa prospettiva e coniugare il riconoscimento di impegni e meriti personali, con il miglioramento complessivo del funzionamento della scuola.

Gli indicatori di qualità per il lavoro dei docenti
Nella scuola c’è un lavoro d’equipe e ci sono le persone singole. I docenti ci tengono a “far vedere” e “pesare” le diverse caratteristiche del loro lavoro, in modo da poter “riconoscere” e valorizzare le reali condizioni di impegno e di insegnamento:
a) una prima categoria da considerare riguarda il contesto di esercizio della professione (aree a rischio, scuole connotate da forte turn-over, particolari modelli organizzativi con più ampia flessibilità di impiego; nello stesso novero di indicatori potrebbero rientrare – anche se di più difficile quantificazione- il numero delle classi/plessi di impiego, il numero degli allievi da seguire, la diversa tipologia dell’insegnamento; ecc.
b) un secondo blocco di indicatori riguarda il tempo effettivamente prestato all’attività professionale, che può riferirsi sia allo svolgimento di compiti aggiuntivi all’insegnamento (sull’esempio delle funzioni “strumentali” o assimilabili) o la scelta opzionale di un diverso regime orario di insegnamento (a tempo parziale, a tempo normale, a tempo potenziato);
c) un terzo elemento dovrebbe considerare la capacità di realizzare progetti di lavoro innovativo, in termini di imprese collaborative (da parte di un team docente, un consiglio di classe, un plesso, un dipartimento di disciplina, un gruppo di miglioramento) con la definizione concordata di obiettivi di qualificazione dell’insegnamento e la verifica del raggiungimento degli stessi;
d) infine, anche la “maturità professionale” conseguita a seguito di una esperienza di lavoro in classe, di formazione in servizio, di partecipazione a contesti innovativi e di ricerca, di documentazione e socializzazione delle conoscenze acquisite, potrebbe essere oggetto di un apprezzamento, mediante la costruzione di un port-folio personale o procedure di confronto e validazione nell’ambito della comunità scientifica.
Ovviamente un prerequisito trasversale ad ogni indicatore è la cura della propria professionalità attraverso la formazione in servizio, che dovrebbe far parte integrante del profilo di ogni docente. Non ci riferiamo solo alla sporadica partecipazione a qualche corso di aggiornamento, ma all’attitudine permanente all’autoformazione, alla riflessione sulla pratica, alla ricerca-educativa, alla progettazione e verifica collegiali, elementi che dovrebbero essere resi obbligatori o quanto meno riconosciuti all’interno di un portfolio o di un curriculum professionale che documenta “crediti formativi e professionali” .

Ma chi valuta? Il merito va affidato all’autonomia scolastica
Le 4 variabili della professione (condizioni di contesto, tempo di lavoro, promozione di azioni innovative, competenza personale) dovrebbero essere tenute ugualmente in considerazione, ma il loro peso potrebbe essere oggetto di specifica negoziazione, come pure le modalità di valutazione e documentazione (da differenziare in base alle diverse tipologie di variabili).
Mentre risulta abbastanza agevole ipotizzare degli standard quantitativi per i primi due indicatori, invece per la valutazione dei progetti collaborativi e delle competenze personali si richiede un apprezzamento qualitativo. Una proposta praticabile dovrebbe prevedere criteri di carattere nazionale, ma la sua gestione dovrebbe essere affidata alle singole unità scolastiche, sia per snellire e deburocratizzare le procedure, sia per incrementare la responsabilità e l’autogoverno delle singole unità scolastiche autonome.
Se si opta per questa ipotesi la valutazione dovrebbe essere affidata ad un nucleo (team o commissione) a composizione mista, con membri (es. 2 colleghi, dirigente scolastico, 1 esperto esterno) individuati sulla base di un esame comparato dei curricoli e della produzione didattica e scientifica.
Mentre l’esito dei primi tre indicatori porterebbe a degli incentivi temporanei, legati all’effettivo svolgimento di attività, la quarta tipologia potrebbe prefigurare l’individuazione –in ogni scuola- di un quadro intermedio di docenti “accreditati” ai quali assegnare compiti di supervisione e validazione scientifica della progettualità di istituto (nell’ambito dei dipartimenti disciplinari, dei nuclei di valutazione, dell’accoglienza dei neo-insegnanti, di tutoraggio e consulenza didattica).
A tali docenti andrebbe richiesta la garanzia di una permanenza pluriennale nell’istituto di appartenenza.

Proposte nel breve periodo (con utilizzo dei fondi “premialità”)
Non ci nascondiamo le difficoltà di procedere verso questo tipo di proposte. L’alternativa, tuttavia, sarebbe la rigida ripartizione dei docenti in tre profili stabilizzati di carriera con procedura concorsuale (cfr. proposta Aprea) o la distribuzione di premi a tre fasce di docenti (cfr. proposta Brunetta). Qui ci ispiriamo piuttosto ad alcune suggestioni provenienti da agenzie di ricerca (come il gruppo Treellle o la Fondazione Agnelli ), che suggeriscono di adottare –intanto- un sistema di incentivi temporanei però consistenti e legati alla progettualità e agli impegni dentro la scuola.
Nell’attesa che maturino le condizioni per lo sviluppo di nuove politiche di valorizzazione del merito e della professionalità, ci sembrano comunque praticabili nel breve periodo (ad esempio, utilizzando la quota-parte dei fondi risparmiati con la legge 133/2008) alcune ipotesi che possono favorire il delinearsi di queste nuove prospettive:
a) incremento del fondo di istituto. Nella scuola dell’autonomia aumentano i margini di discrezionalità nella progettazione dell’azione formativa, nella gestione di più ampi spazi di flessibilità organizzativa, nell’allestimento di azioni di verifica interna. Tali impegni richiedono una più consistente disponibilità di tempi e di energie progettuali dei docenti (singolarmente o
in gruppi) che va riconosciuta anche sotto il profilo economico. E’ da valutare se è il caso di porre qualche forma di criterio nazionale per la distribuzione delle risorse finanziarie (ad esempio, tipologie delle azioni da ammettere al finanziamento per incentivare alcuni comportamenti auspicati: es. progettazione didattica e curricolare piuttosto che progetti di
accoglienza o viceversa, ecc.);
b) attivazione in ogni scuola di un fondo per l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo professionale. Si tratta di rendere disponibile un fondo ad hoc che renda possibile l’attivazione di misure di sostegno individuale alla formazione dei docenti. Il fondo dovrebbe consentire di: finanziare la partecipazione a stage e corsi esterni (iscrizione, soggiorni, supplenze, ecc.); di erogare borse di ricerca didattica, in relazione a progetti di innovazione proposti da docenti in collaborazione con istituzioni scientifiche e centri di ricerca accreditati; di finanziare le supplenze per coprire esoneri brevi (1-2 mesi) per la partecipazione a momenti di formazione; di erogare finanziamenti a docenti per l’acquisto di attrezzature informatiche, dotazioni librarie, iscrizioni a corsi ecc. ed altre misure assimilabili. Il merito si riconosce anche con benefit ed opportunità (non solo) simboliche;
c) individuazione di uno staff di docenti (5-6 insegnanti per ogni istituto scolastico) con il compito di promuovere e sviluppare la ricerca sui curricoli disciplinari, in relazione al progressivo riassetto delle indicazioni curricolari nel primo e nel secondo ciclo e della scuola (rilettura delle Indicazioni in termini di curricoli e didattica per competenze). L’assegnazione di un compenso dovrebbe stimolare funzioni di consulenza, documentazione, produzione di materiali, allestimento di prove di verifica formativa, ecc. L’attività non dovrebbe essere quantificata in termini temporali, ma di autorevolezza e supervisione scientifica a quegli insegnanti che in molti casi già svolgono questo ruolo di promozione, spesso a puro titolo di volontariato.

Queste misure potrebbero concretamente mostrare nuove possibilità di valorizzazione della professione docente, in sintonia con le aspettative degli insegnanti, collegando il miglioramento di alcune posizioni individuali al benessere organizzativo complessivo dell’istituzione scolastica.

*L’intervento, pubblicato ora su http://www.edscuola.it, fa parte di un più ampio saggio contenuto nel volume curato dal Cidi di Milano, edito da Mursia, sulla funzione del dirigente scolastico.
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