Un dossier riservato del ministro Gelmini: congelati gli aumenti che dovevano premiare il merito
Sulla scrivania del ministro dell’Istruzione Gelmini è arrivato un dossier riservato che racconta il futuro dell’università italiana dopo i tagli voluti dal ministro dell’Economia Tremonti con il via libera dell’intero governo. Gelmini sa perfettamente che non è l’università che ha promesso in questi anni: le cifre raccolte per valutare gli effetti delle misure approvate porteranno al congelamento degli aumenti voluti per premiare il merito, saranno dimezzati gli aiuti agli studenti con le borse di studio, e i fondi a disposizione delle università dal prossimo anno renderanno impossibile pagare gli stipendi dei professori.
Innanzitutto il taglio agli aumenti di stipendio, che si riferisce sia agli incrementi automatici annuali legati ai salari del pubblico impiego sia agli scatti veri e propri. Una misura prevista con questa gravità solo per i prof universitari: non per i magistrati con i quali si è fatta marcia indietro e nemmeno per i prof di scuola a cui almeno è stato promesso di reinvestire i risparmi. Per i professori universitari la manovra approvata a luglio prevede soltanto che ogni docente si troverà nel 2014 nella classe di stipendio del 2010 come se tre anni non esistessero. In questo modo si dovrebbero creare economie di spesa di circa 299 milioni nel triennio 2011-2013 e economie di spesa strutturali per 543 milioni nei tre anni dal 2014 al 2016.
Se però si va a valutare il costo per ogni prof delle prime fasce di carriera ci si rende conto che i ricercatori e i docenti più giovani perdono circa 500 euro al mese.
Gli esperti in calcoli sono indecisi su chi ci perda di più. Se è vero, come sottolineano gli economisti Massimo Baldini e Enza Caruso in un calcolo pubblicato su Lavoce.info, che «il prezzo più elevato viene pagato dai ricercatori non confermati, per i quali la manovra assume un peso che va dal 26 al 34 per cento sul reddito netto». Insomma, un taglio di un terzo di quanto guadagnano. Oppure se i più penalizzati saranno coloro che hanno iniziato la carriera l’anno scorso: 7.659 euro all’anno in termini di mancati aumenti, il 32,7% dello stipendio annuale. Nell’intera carriera – hanno calcolato le associazioni di ricercatori – la perdita sarà di circa 400 mila euro.
Ma quel che più crea imbarazzi al ministro Gelmini è il fatto che gli scatti nelle università, per effetto della riforma da lei voluta, non sono più automatici e legati all’anzianità ma alla produttività scientifica e didattica. E quindi cancellarli vuol dire cancellare ogni possibilità di riconoscere i meriti di prof e ricercatori nonostante le promesse di valorizzare i più bravi.
E poi i tagli al Ffo, il Fondo di Finanziamento Ordinario, la principale forma di entrata per le università. Nel rapporto preparato per il ministro Gelmini è scritto con estrema chiarezza che i tagli faranno calare il fondo del 14%, da 7 miliardi e 206 milioni del 2010 a 6 miliardi e 130 milioni. Ed è scritto con altrettanta chiarezza che da gennaio le università non avranno soldi a sufficienza per pagare nemmeno i professori ordinari e associati.
Infine le borse di studio. Un grafico elaborato dalla Direzione generale dell’Università del ministero mostra che nel 2010 sono in calo di 146 milioni, e nel 2011 di altri 24 milioni; al minimo da dieci anni a questa parte.
Di fronte a questi effetti delle misure economiche del governo già a fine maggio il Cun, il Consiglio universitario nazionale, l’organo che ha il compito di fornire pareri al ministero, aveva criticato con forza le misure economiche del governo chiedendo una decisa marcia indietro. Il dossier ha solo confermato i loro timori
da La Stampa del 21-08-2010
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