La disoccupazione sale, i consumi ristagnano: la ripresa di autunno è una chimera.
Brutte notizie per chi aveva già archiviato la pratica della crisi economica, magari illuso dai primi segnali di ripresa dopo un paio di anni di buio profondo. Gli ultimi dati che arrivano sia di là che di qua dell’Atlantico gridano forte una verità indigesta: la recessione non è ancora finita. E a soffrire saranno soprattutto i lavoratori, visto che lo spettro della disoccupazione di lunga durata sta pericolosamente prendendo forma. Tanto che già si parla di sindrome giapponese, visto che il paese del Sol levante ha a lungo sperimentato il cocktail deflazionistico di bassa crescita e perenne disoccupazione.
Cominciamo da ciò che sta succedendo in America. Lì il mercato del lavoro annaspa e gli ultimi dati hanno gelato le previsione ottimistiche degli analisti. Riporta il Dipartimento del lavoro che nella settimana terminata il 7 agosto, le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono salite a 484mila, con un incremento di duemila unità. Gli analisti avevano invece calcolato un calo delle richieste a 465 mila dalle precedenti 479mila. Da segnalare, poi, il clamoroso boom delle richieste dei sussidi di disoccupazione d’emergenza, saliti in una settimana da circa 61mila a un milione. Un balzo però favorito dalla nuova legge, che ha ampliato la platea di soggetti idonei a ricevere il sostegno finanziario. Cifre che comunque fanno pericolosamente il paio con le fosche previsioni della Federal Reserve di martedì scorso. La Fed ha lasciato invariato il costo del denaro, ai minimi storici con il tasso sempre compreso fra lo 0 e lo 0,25 per cento. E la motivazione è che il ritmo della ripresa dell’economia Usa è rallentato molto negli ultimi mesi, tanto che nel breve periodo è destinato a essere più modesto del previsto. La banca centrale statunitense, poi, ha sottolineato le pessime condizioni del mercato del lavoro (confermate ieri), di quello immobiliare e di quello del credito bancario «che ha continuato a contrarsi ». Insomma, uno scenario da piena deflazione.
Che, purtroppo, somiglia molto a quello disegnato dalla Banca centrale europea sull’altra sponda dell’Atlantico. Nel suo bollettino mensile la Bce appare piuttosto pessimista: disoccupazione e difficoltà aziendali freneranno la “mini-ripresa” europea. L’economia dell’area euro, per la Bce, dovrebbe certo continuare a beneficiare della crescita globale e delle misure di sostegno al credito, tuttavia «ci si attende che la ripresa dell’attività sia frenata dal processo di aggiustamento dei bilanci aziendali in corso in diversi settori e dalle prospettive per il mercato del lavoro». Prospettive tutt’altro che rosee: Sul mercato del lavoro gli analisti dell’Eurotower hanno riveduto al ribasso, di 0,2 punti percentuali per il 2010 e di 0,1 punti percentuali per il 2011, le aspettative sul tasso di disoccupazione nell’eurozona, portandole rispettivamente al 10,1 e al 10,2 per cento. E fin quando la percentuale di chi non ha lavoro rimarrà in doppia cifra, non si potrà dire di aver scavallato la crisi.
Con queste previsioni, non stupisce la brutta giornata delle borse, anche se tutto sommato meno negativa di quella di mercoledì. A Milano il Footsie-Mib ha chiuso gli scambi al meno 0,19 per cento. In lieve calo anche Parigi (meno 0,20 per cento) e Francoforte (meno 0,31 per cento) mentre sul finale Londra è riuscita a spuntare un recupero del più 0,43 per cento dopo una seduta sempre in rosso.
Dello stesso tenore l’andazzo americano: dopo un avvio pesante Wall Street ha ridimensionato le perdite e a metà seduta il Dow Jones cedeva lo 0,34 per cento, il Nasdaq lo 0,72 per cento.
da Europa Quotidiano 13.08.10
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Negli Usa è boom di disoccupati. Allarme Bce: “Ripresa a rischio”
Si profila come un fuoco di paglia lo slancio atteso dall’economia europea sul secondo trimestre; i dati ufficiali verranno pubblicati domani da Eurostat ma negli ultimi giorni si sono moltiplicati segnali scoraggianti sulla dinamica che sta assumendo la ripresa: rallentamento. Non tanto in Europa, ma negli Stati Uniti. Solo che essendo il recupero del Vecchio Continente prevalentemente alimentato dal commercio globale la questione ha implicazioni deprimenti anche da questa sponda dell’Atlantico.
Già martedì sera la Federal Reserve, la Banca centrale Usa, aveva “risvegliato l’Orso” (termine con cui i trader chiamano i sentimenti ribassisti sui mercati) rivedendo in peggio le prospettive di ripresa e riattivando alcune misure di stimolo. Il tutto ha innescato pesanti cali delle Borse, proseguiti anche oggi in misura però più modesta. Oggi altri segnali negativi sono giunti dal mercato del lavoro e dal settore immobiliare. Soprattutto hanno deluso le richieste di sussidi di disoccupazione negli Usa: invece di calare nell’ultima settimana sono salite, seppur di poco è bastato a farle tornare ai massimi da sei mesi.
La mancanza di lavoro si conferma il tallone di Achille di questa ripresa economica, negli Usa come in Europa minando così il contributo di consumi e mercato interno alla crescita. È uno dei problemi che secondo la Banca centrale europea tenderà a frenare la ripresa sui prossimi sei mesi, l’altro è il contraccolpo delle manovre di risanamento sui conti pubblici, comunque indispensabili. Nel secondo trimestre si è assistito a un «rafforzamento» dell’attività e «per il terzo si delinea un quadro migliore delle aspettative», ma nel bollettino mensile di oggi l’istituzione ha ribadito tutta la sua prudenza sui mesi a venire. «Ci si attende che la ripresa sia frenata dal processo di aggiustamento dei bilanci in corso in diversi settori e dalle prospettive per il mercato del lavoro».
Domani, prima di Eurostat il quadro delle Big dell’area euro si completerà con i dati sul Pil di Germania e Francia, se sulla prima è atteso uno scatto vigoroso, perfino più 1,2 per cento in media secondo gli analisti, dall’Esagono è previsto un più moderato più 0,4 per cento, livello in linea a quello riportato nei giorni scorsi dall’Italia. Sull’insieme di Eurolandia è atteso un più 0,7-0,8 per cento rispetto al trimestre precedente. Ma già la scorsa settimana il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet aveva avvertito che la ripresa si sta delineando «disomogena» tra paesi, e che proseguirà a ritmi «modesti». E poi aveva aggiunto: «Non cantiamo certo vittoria sull’economia». Guardando al mercato del lavoro, la Bce rileva alcune indicazioni in parte incoraggianti. La disoccupazione, al 10 per cento nell’area euro a giugno per il quinto mese consecutivo, resta ai massimi dal lancio della divisa unica. Ma dopo gli incrementi del 2009 nel primo trimestre si è stabilizzata «segnando un notevole miglioramento rispetto alle dinamiche fortemente negative registrate in precedenza». Ma nemmeno cala, e il dato giunto oggi dagli Usa mette in evidenza come la questione sia problematica anche oltre oceano.
Gli Stati Uniti hanno già pubblicato i dati sul Pil del secondo trimestre: la crescita, in questo caso su base annua, è ulteriormente rallentata al 2,4 per cento, dopo il più 3,7 per cento dei primi tre mesi e dopo un brillante più 5 per cento a fine 2009. Inoltre a giustificare le attese di una moderazione degli scambi globali si aggiungono anche i segnali di rallentamento anche dall’irruenta Cina, che infatti su giugno ha riferito di un netto ridimensionamento della crescita sulle importazioni. Durante il secondo trimestre la generale crescita del Pil cinese si è attestata al 10,3 per cento, rispetto al più 11,9 per cento dei primi tre mei. Intanto oggi Eurostat ha riferito di una battuta d’arresto a giugno dell’industria nell’area euro: dopo quattro mesi consecutivi in crescita la produzione è diminuita dello 0,1 per cento. La debolezza generale risente di un calo dello 0,9 per cento sulla produzione di beni di consumo durevoli, laddove gli altri raggruppamento sono rimasti espansivi. Il paragone su base annua resta comunque positivo, con un più 8,2 per cento sulla produzione totale.
La Stampa 13.08.10