Dal carabiniere che uccide la moglie al caso Fini, i rapporti di parentela sono al centro delle cronache Ma in un paese in cui ci si aspetta che tutti facciano i fatti propri, lo scandalo sembra ribadire che sono, siamo, tutti i uguali. La cronaca di queste ultime settimane ha riportato una serie di episodi che, pur nella loro grande diversità, testimoniano del lato oscuro della famiglia: verso l´interno, per ciò che succede ai singoli, ma anche verso l´esterno, per l´uso che si fa dei rapporti familiari in società. Solo negli ultimi giorni un carabiniere ha ammazzato la moglie che voleva separarsi da lui – ormai un drammatico “classico” della cronaca nera. E una nipote-badante, nonostante il doppio vincolo dell´essere una di famiglia e di ricevere un compenso, è stata colta a malmenare la parente di cui doveva prendersi cura. Anche questo un fenomeno purtroppo non raro. Sul versante dell´uso improprio dei rapporti familiari c´è, naturalmente, il caso dei familiari della compagna di Fini, che non hanno esitato a trarre ampio profitto da una siffatta prestigiosa “parentela di fatto”. È l´ultimo di una serie che ha visto appartamenti ottenuti da politici a condizioni molto favorevoli per figlie e figli, appalti pubblici vinti da familiari, contratti televisivi ottenuti da familiari improvvisamente divenuti “visibili” a causa delle loro parentele. Per non parlare di figli, mogli e mariti nominati assistenti parlamentari, o messi in lista elettorale e fatti eleggere, quando non presentati come propri delfini. Quei professori universitari che fanno vincere cattedre ai parenti sono in buona compagnia.
Che la famiglia non sia solo e sempre il luogo in cui si è al sicuro da aggressioni e attacchi alle spalle, ma anche che l´amore per i familiari possa tracimare in forme di nepotismo e “familismo amorale”, sono cose tanto note quanto solitamente derubricate a, deprecabili, eccezioni. Su cui si glissa quando si evoca la famiglia (al singolare e con la maiuscola) e la solidarietà famigliare come la panacea – dalla disoccupazione giovanile, alla cura dei bambini quando i genitori lavorano, o a persone non autosufficienti. Proprio questa cecità al lato oscuro della famiglia, alle piccole o grandi violenze che si producono al suo interno non solo quando c´è trascuratezza o abbandono, ma quando l´intimità diviene mancanza – o non riconoscimento – di confini tra le persone e il senso di appartenenza diventa pretesa di possesso, lascia particolarmente indifese le vittime di violenze famigliari. Per vergogna, indicibilità, speranza che le cose cambino, malinteso senso di pudore, esse spesso faticano a denunciarle e prima ancora a considerarle inaccettabili. E quando le denunciano, faticano a farle riconoscere dal loro intorno sociale. Analogamente, l´enfasi sulla necessità e univoco valore della solidarietà famigliare rischia di incentivare comportamenti e aspettative ove sparisce il confine tra la solidarietà e l´abuso, tra il prestare aiuto e il favorire anche a scapito delle regole e del bene comune.
Non succede solo in Italia, ovviamente. Ma in Italia entrambi i rischi – di lasciare indifese le vittime della violenza familiare e di un uso improprio di risorse pubbliche per favorire i familiari – sono forse maggiori che in altri paesi democratici, per almeno tre motivi. In primo luogo, l´enfasi un po´ asfissiante sulla famiglia come panacea universale rende più muti e ciechi quando le cose non vanno, salvo scandalizzarsi quando il dramma esplode. In secondo luogo, il troppo esclusivo affidamento alla famiglia come risorsa unica e inesauribile non consente di creare quegli anticorpi, quelle “antenne sociali”, che favorirebbero sia la richiesta di aiuto che la prevenzione. Allo stesso tempo, questo forte affidamento alla solidarietà famigliare sembra legittimare, agli occhi di chi lo fa, ma anche di chi collabora o osserva, ogni uso disinvolto di risorse pubbliche e private, ogni forma di nepotismo ed anche di uso delle proprie relazioni famigliari per trarre benefici per sé. Salvo scandalizzarsi quando qualcuno viene trovato con le mani nel sacco. Ma in un paese in cui ci si aspetta che tutti si facciano i fatti propri e dei propri familiari e famigli, lo scandalo serve più a ribadire che sono, siamo, tutti uguali. Con un po´ di invidia per chi riesce a farla franca, oltre che grossa. Anche così si uccide lentamente la cultura civica di un paese.
La Repubblica 12.08.10